Bach Johann Sebastian

6 Brandenburgiske Konzerte

Karl Richter è stato un grande bachiano, dotato di singolare tecnica e straordinaria intelligenza interpretativa. I suoi Concerti Brandeburghesi costituiscono dunque un documento molto interessante, riflesso di una stagione – quella degli anni Sessanta – che appare ormai così lontana. Non si possono non ammirare i calibratissimi intrecci di flauto dolce, oboe e violino nel secondo Concerto o gli accenti di grande poesia che si impongono nel tempo centrale del Quinto (soave il flauto di Aurele Nicolet) o ancora il virtuosismo della cadenza cembalistica nel primo tempo dello stesso Concerto.

In questa registrazione del 1964/68 tutto è regolare e compatto dal punto di vista timbrico: al sontuoso legato degli archi fa riscontro la rigorosissima scansione ritmica del basso continuo affidato al clavicembalo modello Neupert dalle sonorità non usuali che possiede, indubbiamente, un fascino particolare. In questo cofanetto sono incluse le quattro Ouvertures e il famoso Tripelkonzer BWW 1044 per flauto, violino, clavicembalo e orchestra d’archi magnificamente interpretati. Registrazione effettuata nel 1964-68 e rimasterizzazione eccezionale con un audio pulitissimo e dettagliata presenza di tutti gli strumenti effettuata nel 1981. Altamente raccomandato.

Breve analisi dei sei concerti brandeburghesi

Per un musicista e compositore dell’epoca barocca il posto di maestro di cappella presso una corte principesca rappresentava il raggiungimento di uno dei gradi più elevati dell’ascesa sociale. Anche il giovane Bach vi aspirava. Però, dopo che alla corte ducale di Weimar da organista di corte era avanzato a primo violino solista, alla morte del vecchio maestro di cappella Drese (nel 1716) non riuscì a divenirne il successore. Ma poco dopo ottenne la posizione desiderata: nel dicembre 1717, all’età di 32 anni, fu chiamato a ricoprire l’ufficio di maestro di cappella alla corte del Principe Leopold di Anhalt-Kothen. Qui gli si aprirono in un primo tempo tali condizioni di lavoro e di vita, che più tardi considerò questi anni tra i più felici della sua vita. Al Principe, più giovane di lui di nove anni, era legato da sincera amicizia; dato che Leopold aveva un gusto musicale competenze ed era un esecutore di tutto rispetto, era anche in grado di giudicare equamente ed apprezzare l’attività del suo nuovo maestro di cappella. Nel riconoscimento delle proprie qualità umane ed artistiche, Bach sentì accrescere il proprio impulso creativo, come non avrebbe quasi mai più provato in seguito. Mentre alla luterana corte di Weimar la musica sacra aveva un posto di primo piano (conformemente alla tradizione protestante), nella Kothen calvinista la musica era bandita dalle chiese: qui si coltivava la “musica da camera”, che nell’accezione consueta dell’epoca includeva anche composizioni per orchestra e concerti. Il giovane Principe, che aveva assunto il governo soltanto nel 1715, s’impegnò con grande ambizione nella creazione di un eccellente ensemble di musicisti.

Nel 1716 aveva ampliato la sua orchestra di corte, sì che ora comprendeva 17 strumentisti. Dopo il periodo trascorso all’Accademia dei giovani nobili a Berlino, aveva mantenuto buoni rapporti con i circoli di musicisti di quella città, e così gli riuscì di attirare a Kothen quelli strumentisti berlinesi che Federico I di Prussia, il re soldato, aveva licenziato, quando per risparmiare aveva ridotto drasticamente le attività artistiche alla sua corte. I “conti di corte” del Principe Leopold offrono la prova che là, a Kothen, non si risparmiava denaro per favorire l’attività musicale. Spesso venivano chiamati da fuori altri musicisti, soprattutto suonatori di corno, che mancavano a Kothen. Nel 1719 il Principe mandò a Berlino il suo maestro di cappella perché ritirasse in suo nome un clavicembalo che vi aveva fatto costruire. Per lo stesso periodo è documentato l’acquisto di due violini “costruiti a Innsbruck”.
Anche i nomi dei degli strumentisti solisti di Kothen sono documentati. Per loro Bach ha scritto le opere ivi composte, e dalle esigenze tecniche di questi Concerti e Sonate si può immaginare la loro abilità esecutiva: per quell’epoca devono essere stati dei veri e propri virtuosi. Spesso il Principe stesso prendeva parte alle esecuzioni; avevano studiato canto, suonava il clavicembalo e la viola da gamba. Bach preferiva la viola da braccio e dirigeva i concerti dal leggio della viola. In tali casi Leopold deve aver suonato il clavicembalo. Nel Quinto Concerto Brandeburghese Bach ha suonato senza dubbio la grande parte del clavicembalo sul nuovo strumento costruito a Berlino. Sulla base del Sesto Concerto, infine, si può ricostruire con precisione la prassi esecutiva alla corte di Kothen in una cornice intima: la direzione era affidata alle viole (suonate soltanto da solisti), al primo leggio delle quali era Bach. Il Principe suonava poi una delle due viole da gamba, e per questo Bach ha scritto queste parti in maniera facilmente eseguibile, ma pur sempre musicalmente accurata. Così i Concerti di Bach di questo periodo fanno comprendere in modo chiaro quella che era la “situazione musicale” alla corte degli Anhalt-Kothen.
Karl Richter

Qui Bach ebbe anche modo per la prima volta di scrivere concerti e di confrontarsi col nuovo genere del concerto solistico italiano, affermatosi per merito del veneziano Antonio Vivaldi ed accolto con grande entusiasmo dal pubblico appassionato di musica. Già a Weimar Bach era venuto a conoscenza delle composizioni vivaldiane e ne aveva fatto proprio lo stile e la struttura formale, trascrivendo alcuni concerti per l’organo o per il clavicembalo. Ma soltanto ora poteva occuparsi direttamente di quel genere nuovo in tutte le sue peculiarità formali. I suoi celebri Concerti per violino e per diversi strumenti ne dando testimonianza eloquente. Bach applica la forma del concerto solistico vivaldiano anche al concerto per vari strumenti, al concerto grosso cioè, per il quale valevano come modello e canone i Concerti di Corelli.
Però Bach modificò e variò la forma vivaldiana, diminuendo il contrasto fortemente accentuato tra ritornelli del “tutti” ed episodi solistici, avvicinando le caratteristiche formali proprie di quei due elementi ed arricchendo la scrittura musicale di moduli polifonici e relazioni motiviche. Viene modificata anche la tipica successione dei movimenti (allegro-adagio-allegro), mentre ancora più frequenti sono le modifiche alla costruzione formale dei movimenti veloci. Così si dispiegano qui in maniera esemplare la fantasia creativa di Bach e la sua abilità nell’assimilare in maniera originale e nello sviluppare ulteriormente uno stile musicale di efficacia unica.

Il Primo Concerto Brandeburghese è scritto per tre gruppi strumentali: corni -oboi con fagotto – archi; probabilmente fu composto per un’occasione particolare, a causa della partecipazione dei suonatori di corno. Questi erano però ingaggiati così spesso da altre città, che Bach non ritenne necessario di eliminare le parti dei corni della redazione originaria (a noi tramandata), quando scrisse la versione definitiva per questo Concerto. In questa rielaborazione Bach aggiunse all’organico strumentale anche il violino piccolo, che risuona una terza minore più in alto di come è scritto; pure per questo strumento ha composto appositamente il terzo movimento, che originalmente mancava, affidandogli importanti compiti solistici.
Dai diversi gruppi strumentali vengono poi scelti a volte singoli strumenti, perché concertino solisticamente col violino piccolo come in un duo, sì che questo Allegro si avvicina al carattere del concerto solistico. Il primo movimento è costruito secondo un altro principio compositivo: qui i tre gruppi strumentali formano delle unità relativamente omogenee, che si alternano a vicenda, a meno che non siano fuse nel “tutti”, ed in tal modo lasciano riconoscere l’antica tecnica policorale. L’Adagio, in cui i corni tacciono, è un duo tra primo oboe e violino piccolo, dove i due strumenti solisti dapprima si alternano, quindi suonano in canone. L’ abbreviata ripresa del tema dei bassi rappresenta un elemento mutuato dal rondò nell’ambito della forma strofica variata. Questo movimento è particolarmente affascinante per le sue oscillazioni
tonali: re minore come tonalità fondamentale appare solo marginalmente; il movimento inizia e termina nella tonalità della dominante la maggiore, cosicché all’inizio la tonalità fondamentale rimane un po’ velata, mentre alla fine viene creato un passaggio pieno di tensione, che immette nel terzo movimento. Originalmente appare anche la combinazione di concerto e di suite. Già con il suo carattere di giga, il terzo movimento (in sei ottave), presenta un elemento tipico della suite. Nel seguente ciclo del Minuetto in sette parti, con due diversi Trii ed una Polacca nel mezzo, manca qualunque riferimento allo stile ed alla tecnica del concerto. È un’appendice autonoma, che si può spiegare soltanto se si tiene presente che la genesi di questo Concerto è tuttora sconosciuta.

Nel Secondo Concerto Brandeburghese ha ripreso in maniera abbastanza esatta il tipo del concerto grosso dell’alto barocco, sebbene anche qui, nella costruzione formale del primo movimento, si possa risalire al modello del concerto solistico vivaldiano. Nel concertino Bach unisce tromba, flauto (a becco), oboe e violino, e li fa suonare da soli, in coppia, a tre o tutt’insieme, in maniera tale che si possano profilare sempre di fronte al ripieno degli archi. La scrittura trasparente è anche un segno caratteristico dell’ultimo movimento, in cui Bach collega la forma del concerto con il principio compositivo della fuga. Nell’Andante flauto, oboe e violino si uniscono in un terzetto solistico, accompagnato da un movimento regolare di crome nel basso. Le parti tematiche, che, per la condotta canonico-imitativa degli strumenti solisti hanno una notevole densità di tessitura, sono alleggerite dall’alternanza di motivi con fraseggio “a sospiro” ripetuti due volte.
Questo modo di configurare un movimento lento si rinviene più frequentemente nella tradizione della sonata che il quella del concerto.

Nel Terzo Concerto Brandeburghese concertano tre gruppi di archi in sé omogenei: violini, viole e violoncelli. Oltre a questi tre gruppi c’è il basso continuo. Qui Bach dà forma al principio timbrico della policoralità veneziana in maniera assai più evidente che nel Primo Concerto, dimostrandosi consapevole della tradizione in un atteggiamento quasi arcaicizzante, ma impiegando allo stesso tempo una scrittura musicale “straordinariamente moderna” per quell’epoca, e precisamente la tecnica della scissione motivica sviluppata in modo esemplare da Vivaldi, e che sarà una delle radici della successiva elaborazione tematica classica. Così si fondono qui in modo originale elementi antichi e nuovi. Nella costruzione formale dei due movimenti Bach unisce il principio concertante con la forma di rondò. Questa è facilmente riconoscibile nell’ultimo movimento, ma del primo è talmente velata da vari fattori, da scomparire quasi del tutto nello sviluppo globale del movimento; qui colpisce particolarmente l’inserzione di un nuovo tema nella parte centrale. I due movimenti veloci sono uniti tra loro mediante due battute in Adagio, che sono da intendere come uno spunto per una libera improvvisazione solistica.

Il Quarto Concerto Brandeburghese, dove gli strumenti solisti sono un violino e due flauti (a becco), dà inizialmente l’impressione di essere un concerto per diversi strumenti, ma nei suoi due movimenti estremi, per la preferenza data al violino, si rivela chiaramente come un camuffato concerto solistico. Nelle figurazioni solistiche si riconosce con evidenza il modello vivaldiano; invece nell’impianto del primo movimento con due tempi solistici indipendenti, Bach si è allontanato di molto dai concerti del compositore veneziano. Il Finale – come nel Secondo Concerto – è una fuga concertante. La scrittura dell’Andante è orientata ai corrispondenti movimenti dei celebri Concerti grossi di Corelli. I flauti (a becco) risaltano con effetti d’eco; il loro timbro, anche nel movimento iniziale, contribuisce a destare l’impressione di una musica di carattere pastorale.
Munchener Bachchor and Orchestra

Il Quinto Concerto Brandeburghese, con il concertino costruito da flauto traverso, violino e clavicembalo, nel suo primo movimento mosta ancor più chiaramente del Quarto Concerto la tendenza a trasformarsi in concerto solistico. Nel corso del primo movimento il clavicembalo è talmente messo in rilievo, che questo Allegro può essere considerato il primo concerto pianistico della storia della musica. Il punto culminante di questo processo di trasformazione in senso solistico è costituito dalla cadenza di 65 battute del clavicembalo, che precede l’ultimo ritornello del “tutti”.
Nell’Affettuoso i tre strumenti solisti suonano senza l’accompagnamento dell’orchestra, nello stile dell’antica sonata a tre; però anche qui Bach fonde l’antico col nuovo in maniera originale, scrivendo spesso per il clavicembalo una parte elaborata a due voci. Nel Finale tutti e tre i solisti sono impiegati in modo tradizionale. Il movimento riceve un’impronta particolare della sua complessa costruzione formale, dove forma col “da capo”, fuga e concerto sono combinati con elementi tipici del rondò.

Il Sesto Concerto Brandeburghese, che rispecchia in modo così evidente la prassi esecutiva alla corte del Principe Leopold, presenta la concezione timbrica più unitaria; qui suonano infatti soltanto gli strumenti ad arco del registro grave. Sebbene l’organico, che prevede due viole da braccio, due viole da gamba, violoncello e basso continuo, ricordi il principio policorale, nella struttura Bach ha seguito il modello del concerto per diversi strumenti, dove il concertino è formato per lo più dalle due viole da braccio. Però anche gli altri strumenti vi sono impiegati solisticamente, cosicché l’istrumentazione non rappresenta qui un criterio univoco per differenziare i ritornelli del “tutti” dagli episodi solistici. Il concertino, non opponendosi al “tutti” come un gruppo strumentale autonomo e fisso nel numero dei suoi componenti, diviene una grandezza variabile. Anche qui si può scorgere ancora una volta con quale ricchezze di fantasia Bach sia riuscito a trovare forme sempre nuove, nelle quali trasformare originalmente elementi tipici e tradizionali.

Negli anni tra il 1718 e il 1720 Bach compose un gran numero di Concerti: tra questi scelse nella primavera del 1721 queste sei opere, le dispose in un determinato ordine, non corrispondente alla loro cronologia, ne riscrisse la partitura in bella copia e dedicò questo esemplare al margravio Christian Ludwig di Brandeburgo a Berlino. A questa dedica i Concerti devono la loro denominazione odierna. In tal modo Bach esaudì un desiderio del margravio, che aveva conosciuto nel 1719 durante il suo soggiorno a Berlino; ma tale desiderio deve essere stato espresso in modo così generico, che Bach non si era sentito obbligato ad esaudirlo subito. Ma forse si potrebbe pensare ad un altro motivo per spiegare la reazione così tarda da parte del compositore. È possibile che agli inizi del 1721 i suoi rapporti con Principe Leopold (inizialmente così buoni) conobbero tensioni tali, che Bach pensò fosse di lasciare Kothen, già in quel periodo, e non soltanto dopo il matrimonio di Leopold con una principessa qualificata come “Amusa”. Così il testo della dedica dei Concerti Brandeburghesi dovrebbe essere inteso come un’offerta dei propri servigi da parte di Bach al margravio, ed in tal modo si potrebbe anche spiegare questa
raccolta – del tutto atipica per quei tempi – di pezzi dell’organico strumentale tanto vario: Bach mostra qui ad un nuovo potenziale signore quale ricchezza di mezzi timbrici egli sapesse raggiungere con un piccolo gruppo di strumenti. Questo ciclo rappresenta dunque una specie di candidatura per un nuovo posto di maestro di cappella. Però il margravio non reagì – nel 1723 Bach andò a Lipsia come Cantor della Chiesa di San Tommaso.
(Tradotto dal tedesco)