Ludwig Van Beethoven

Sinfonia n 3 Eroica

La registrazione dell’”Eroica”

Secondo Carlo Maria Giulini, uomo nel quale passione ed intelletto si amalgamano con rara armonia l'”Eroica” deve essere proposta all’ascolto da un punto di vista coerente. Già, ma da quale punto di vista? Giulini aveva 46 anni quando nel 1960, in vista di alcuni concerti europei introdusse la Terza Sinfonia nel suo repertorio. Insoddisfatto dei risultati raggiunti, mise da parte il capolavoro beethoveniano. Prima di dirigerlo di nuovo17 anni più tardi alla testa della Chicago Symphony ristudiò la partitura con una meticolosità superiore a quella normale impiegata da un direttore alle prese con una pagina così celebre. Giulini infatti si mise ad esaminare le fonti. Il manoscritto originale dell'”Eroica” andò perduto nel corso dell’Ottocento, ma la Gesellschaft der Musikfreunde di Vienna ha in suo possesso una copia della partitura con correzioni di Beethoven, scritta di suo proprio pugno: vi figura anche, cancellata, la dedica a Napoleone. Giulini consultò anche i manoscritti delle singole parti strumentali approntate per la prima. Il direttore italiano incluse l'”Eroica” nel repertorio della sua prima stagione alla testa della Los Angeles Philharmonic, eseguendola dapprima a metà novembre del 1978 e poi nel corso di una tournée nella parte occidentale degli Stati Uniti.

Questa serie di concerti diede modo all’interpretazione di maturare nel corso del tempo e delle esecuzioni: il produttore e la squadra tecnica della Deutsche Grammophon, inoltre, poterono ascoltare la Terza Sinfonia diretta da Giulini più volte e furono così in grado di pianificare una strategia atta a trasferire l’esecuzione su disco con la massima fedeltà possibile. Alla fine della tournée la copia di Giulini della partitura, meticolosamente annotata dal direttore, era familiare a tutti coloro che avrebbero preso parte alla registrazione, il che si avverte chiaramente all’ascolto dell’incisione: basti pensare alla cura posta nel raggiungere un equilibrio fra le varie sezioni tale che le impressionanti progressioni armoniche della partitura beethoveniana possono risuonare chiare ed evidenti. Quando il 24 novembre Giulini e l’orchestra si disposero sul palco dello Shrine Auditorium di Los Angeles per la prima seduta d’incisione si poteva avvertire bene come l’intero processo della registrazione fosse ormai passata ad una seconda fase: dalla teoria alla pratica.
Los Angeles Philharmonic Orchestra

Osservando poi il modo in cui Giulini, il produttore e i tecnici lavoravano insieme diveniva chiaro come le precauzioni adottate e la lunga preparazione fossero ben giustificate. La giusta collocazione dei microfoni al fine di ottenere la qualità sonora desiderata fu questione di un momento. Il lavoro procedette con quella concentrazione così tipica delle sedute di registrazione unita ad un senso di sicurezza derivante dal fatto che ciascuno conosceva bene il proprio lavoro e che, per quanto implacabile fosse lo scorrere delle ore, v’era comunque un margine di tempo ampiamente sufficiente a condurre l’impresa al meglio. Giulini è fermo nella sua determinazione a registrare esecuzioni reali, senza soluzione di continuità tra i vari movimenti e riducendo al minimo gli interventi in fase di montaggio.
In qualche sporadico caso si dovette procedere ad inserire piccole correzioni per errori secondari in quella che va comunque considerata quale una piena e riuscita interpretazione del capolavoro beethoveniano. Quest’incisione testimonia quindi piuttosto fedelmente delle capacità interpretative e della qualità sonora della Los Angeles Philharmonic nel primo mese della direzione di Giulini.

“Ero Ercole al crocicchio”: così Beethoven descrive se stesso riferendosi al 1803, il periodo in cui creò l'”Eroica”. La tonalità di mi bemolle, il soprannome dell’opera, nonché molte osservazioni dell’autore, sembrano indicare che l’eroismo costituisse l’idea centrale e propulsiva della Sinfonia. Com’è tipico di Beethoven, però, la sua concezione del pezzo si attua e prende forma a diversi livelli. Nel 1937 Toscanini a Londra, nel corso di un famoso scoppio di rabbia, stavolta di fronte all’orchestra della BBC che stava provando il primo movimento della Terza Sinfonia, esclamò: No! No! Non è Napoleone! Non è Hitler! Non è nemmeno Mussolini! È un Allegro con brio!”. Questa però nel complesso è una visione alquanto riduttiva.
L'”Eroica” è incentrata sull’eroismo e sul destino personale, sul potere e sul suo esercizio. Nel dar forma all’opera Beethoven aveva posto di fronte a sé quali fonti d’ispirazione, quali modelli, l’eroismo del giovane Napoleone e quello di colui che rubò il fuoco e sfidò gli dèi, Prometeo: a questi riferimenti contemporanei e classici egli aggiunse il suo eroico sprezzo della sordità e la sua incipiente disperazione. L'”Eroica” è costruita su vasta scala, con proporzioni grandiose.

Il primo tempo è il movimento d’apertura più lungo in tutt’ e nove le Sinfonie beethoveniane, il più lungo in assoluto di tutto il ciclo, eccezion fatta per il finale con soli e coro della Nona. Da principio la mera lunghezza dell'”Allegro con brio” (691 battute) indusse Beethoven ad avere ripensamenti circa l’opportunità di ripetere l’esposizione, cosa che porta il numero complessivo delle battute a 846.
Ma quali che fossero le preferenze dei suoi contemporanei più timorosi, Beethoven non aveva scelta se non quella di riconoscere che la vasta sezione di sviluppo e l’ampio raggio coperto dalla coda ben equilibrano una costruzione in cui la ripetizione dell’esposizione è sin dall’inizio parte integrante della struttura generale.
Quanto si è detto finora è rilevante al fine di comprendere l’interpretazione di Giulini. Nessun direttore, a parte forse Klemperer, si è sforzato più eroicamente nel cercare di definire per noi la portata epica dell'”Eroica” di quanto abbia fatto Giulini: un’esecuzione dal respiro straordinariamente largo e al tempo stesso superbamente tagliente e penetrante. Si potrebbe obiettare che il respiro è appunto troppo largo, che il movimento d’apertura suona più come un “Allegro” che come un “Allegro con brio”: ma ciò significherebbe ignorare il principio secondo il quale impeto e slancio non sono tutto, e anche il fatto che l’eccezionale profusione di idee offertaci da Beethoven nell’esposizione del primo tempo necessiti proprio dello spazio concessoci da Giulini per potersi imprimere adeguatamente nella nostra mente e dar quindi vita agli sviluppi successivi con logica e coerenza.
Carlo Maria Giulini

Tempo. Spazio. È interessante notare come i grandi musicisti creino da sé il proprio spazio, diano vita a loro proprie aree temporali. Sotto questo profilo Giulini non costituisce un’eccezione. Alcuni rimasero sorpresi quando egli accettò l’offerta della Los Angeles Philharmonic di divenire direttore principale, e lo rimasero ancor di più quando videro con quanta rapidità Giulini avesse impresso il suo marchio sull’orchestra. In effetti, ben di rado fu insegnato più velocemente ad una grande compagine americana come suonare con rinnovata energia, con colori nuovi e, soprattutto, con tale e tanta pazienza e perseveranza. Uno dei più pregevoli e stimati assistenti di Giulini a Los Angeles fu il suo direttore ospite principale, Simon Rattle: “Quel che cela la gentilezza dei modi di Giulini è la velocità alla quale la sua mente lavora. In prova sembrava quasi che stesse creando un arazzo, facendo tangenzialmente capolino qui è là, puntando a determinati passaggi-chiave e lavorandovi dettagliatamente con grande intensità. E mentre procedeva a tutto ciò, si poteva sentire chiaramente come il suono cambiasse: mediante il fraseggio, mediante la produzione dei suoni di diversa corposità, si perveniva ad altri tipi di suono. Per tutta la durata delle prove si avvertiva che ciò accadeva perché Giulini affrontava l’essenza della musica in questione, ma anche perché incoraggiava costantemente gli orchestrali a respirare, a prendere il tempo necessario a tirare il fiato e a respirare normalmente, e dar origine così ad una dizione musicale naturale. Prendere il tempo necessario a dire ciò che v’era da dire”.

Rattle aggiunge: “L’approccio di Giulini portava ad una grande elasticità: si trattava però di un’elasticità che aveva luogo in un quadro di enorme disciplina. Ciò è particolarmente evidente nell’esecuzione dell’ouverture “Manfred” di Schumann. È vero, vi sono state interpretazioni di questa pagina più febbrili della presente: interpretazioni ove ci si è concentrati su un aspetto dell’eroe di Byron nella presentazione propostaci da Schumann, quello della volubilità, della nevrastenia, e ciò a spese di tutte le altre caratteristiche; quindi un Manfred (o un Byron, se volete) amante della natura, necromante, sconfitto, vittima della propria stessa passione incestuosa. Pure, come Beethoven nell’ “Eroica”, anche Schumann vede il proprio argomento, il proprio eroe in questo caso, nella sua interezza. Nessun lavoro, scrisse il compositore, gli richiese una più strenua applicazione delle sue energie o un più appassionato impegno dello spirito. Certo nessuna delle opere schumaniane è articolata con maggiore attenzione, e nessuna è orchestrata con maggiore efficacia ed espressività, il che potrebbe essere sorprendente per alcuni, considerando che proprio la supposta scarsa capacità di scrivere per l’orchestra è stata sempre considerata il tallone d’Achille di Schumann.

Ad ogni conto, il richiamo minatorio proveniente dall’oltretomba rivolto a Manfred dalle tombe è fra le pagine più agghiaccianti di tutta la musica ottocentesca. Giulini dà piena espressione a tutto ciò in una lettura che ci offre una visione globale dell’opera. V’è qui una passione fremente, ma soprattutto, v’è una spietatezza memore dell’ Ouverture “Coriolano” di Beethoven e che fa presagire l’inevitabilità della futura caduta di Manfred nel precipizio del vuoto fisico e morale. Qui, sempre quasi suggerirci Giulini, il protagonista è incalzato dalle Furie. Nell'”Eroica” l’eroe, animato da forte volontà e grande sicurezza morale, fissa il suo destino negli occhi, e il destino è costretto ad abbassare lo sguardo; in Manfred l’eroe, prototipo di una coscienza completamente incentrata sul sé, quasi introflessa, più “moderna”, è colto nel mezzo delle tribolazioni causate dalla sua stessa turpitudine morale.
Registrazioni eseguite dal 1979 al 1982 e rimasterizzazione effettuata nel 1996.