George Bizet

Symphony in C.

I collezionisti e non solo collocano questa rappresentazione tra le più belle e orecchiabili registrazioni del XX secolo insieme alle Suites 1 & 2 dall’opera “L’Arlésienne” . Intensa e brillante la direzione di Sir. Thomas Beecham sul podio dell’Orchestra National de la Radiodiffusion Francaise e la Royal Philharmonic Orchestra. La registrazione risale al 1961 e la rimasterizzazione è del 2000. Il suono risulta corposo e vivido. Raccomandato.

Sinfonia in do maggiore

Composta nel 1855, la Sinfonia in do maggiore di Georges Bizet rimase del tutto sconosciuta fino al 1933, quando Reynaldo Hahn, che ne aveva ricevuto in dono il manoscritto dalla vedova del compositore ma che non gli aveva attribuito alcun valore, l’affidò alla biblioteca del Conservatorio di Parigi, dove non sfuggì a Jean Chantavoine, uno dei pochi critici francesi a dedicare a Bizet qualcosa di più d’un interesse superficiale, in un’epoca in cui i suoi compatrioti consideravano volgare la Carmen e frivola la restante sua musica. Immediatamente Chantavoine riferì la sua scoperta in un articolo, attirando su questa sinfonia l’attenzione del celebre direttore d’orchestra Félix Weingartner, che la giudicò «graziosa e molto raffinata nella forma e nell’orchestrazione, sebbene un po’ povera d’energia» e ne diresse il 26 febbraio 1935 a Basilea la prima esecuzione assoluta, con vivo successo, ribadito anche dalle numerose altre esecuzioni succedutesi in breve giro di tempo nei principali centri musicali d’Europa e d’America.
Certamente, se questa Sinfonia fosse stata eseguita nel 1855, neanche un ascoltatore dotato di spirito profetico avrebbe potuto indovinare che quel compositore imbevuto di gusto classicheggiante e un po’ retro avrebbe scritto, vent’anni dopo, la Carmen. Ma oggi, col senno di poi, si possono già rintracciare in quel precocissimo capolavoro la felicità melodica, il gusto per i vari colori vivaci ma limpidi e leggeri, lo spontaneo senso della forma e l’elegante nonchalance che sempre più appaiono le coordinate stilistiche fondamentali di Carmen, ormai finalmente liberata (ma non ancora completamente) dalle interpretazioni in chiave verista o folklorica o “areniana” che l’hanno sfigurata per un secolo.
Bizet, che aveva allora diciassette anni e studiava composizione al Conservatorio di Parigi con Halévy, iniziò la Sinfonia in do maggiore il 29 ottobre 1855 e alla fine di novembre l’aveva già completata. Non si sa altro sull’origine di questo suo primo importante lavoro, ma è più che probabile che lo stimolo a cimentarsi con un genere impegnativo come la sinfonia sia venuto da un compito d’una certa responsabilità che aveva appena disbrigato, la trascrizione per pianoforte a quattro mani della Sinfonia n. 1 in re maggiore di Gounod, affidatagli dall’autore stesso: infatti è chiaro che il promettente allievo del Conservatorio è debitore al ben più esperto e maturo compositore di alcuni suggerimenti melodici e soprattutto di ben precise soluzioni formali. Fu proprio questa la ragione per cui Bizet considerò la sua Sinfonia un semplice lavoro d’apprendistato e non la presentò mai in pubblico: eppure aveva superato il suo modello non soltanto per freschezza e vitalità – cosa non sorprendente da parte d’un giovane genio entusiasta e ribollente d’idee – ma anche per equilibrio e concisione.
Se Gounod fu un’utile fonte di suggerimenti di pronta applicazione, i modelli ideali di Bizet furono però i classici Haydn, Mozart e Beethoven e soprattutto il più classico dei romantici, Mendelssohn, tanto che questa Sinfonia è stata anche definita un “calco mendelssohniano”; invece le analogie con Schubert – che ad un ascoltatore moderno appaiono così importanti ed evidenti, devono essere considerate puramente fortuite, perché le sinfonie dell’autore dell’Incompiuta, erano allora del tutto ignote in Francia. La familiarità di Bizet con i classici si rivela subito nell’Allegro iniziale, il cui primo tema, energico e basato sull’arpeggio ascendente dell’accordo di do maggiore, rimanda a simili incipit di Haydn e Beethoven; il crescendo che segue, con i tremoli degli archi e la ripetizione d’uno stesso inciso ritmico da parte delle trombe, potrebbe essere una reminiscenza di Rossini, che si era appena stabilito definitivamente in Francia ed era un personaggio di spicco nel mondo musicale parigino; quando si ascolta il secondo tema, ben contrastante con il primo, si pensa invece a Schubert, per la sorprendente ampiezza della melodia affidata all’oboe e per l’oscillazione tra modo maggiore e minore: ma tutte queste reminiscenze vengono assorbite e rifuse da Bizet con la massima naturalezza e non si ha assolutamente l’impressione di un patchwork stilistico. Il movimento prosegue quindi secondo la tradizionale forma-sonata, con uno sviluppo basato sui due temi e con una ripresa leggermente accorciata della prima parte.
Il secondo movimento, un Adagio in la minore, è il vero gioiello della Sinfonia. Dopo una breve introduzione, che crea una sottile atmosfera d’attesa, l’oboe intona un tema incantato e nostalgico su un accompagnamento in pizzicato delle viole: melodie dal carattere simile torneranno in altre opere di Bizet, come Les pécheurs de perles e L’Arlésienne, dove però assumeranno un colorito esotico che qui manca. L’eleganza e l’espressività con cui questo tema viene sviluppato rivelano – tanto più che per la totale naturalezza e semplicità – l’abilità già magistrale del giovanissimo autore. La sezione centrale del movimento è costituita da un fugato, basato sulla figura ritmica dell’introduzione: l’idea, un po’ accademica ma condotta con grande perizia, deriva indubbiamente da un analogo passaggio della citata Sinfonia di Gounod. Il ritorno della melodia dell’oboe, arricchita di nuove sfumature, conclude l’Adagio.
Il successivo Allegro vivace in forma di Scherzo è forse il movimento più perfetto dal punto di vista formale: il tema iniziale contrassegnato da un ritmo vivido e marcato, viene utilizzato da Bizet anche per contrappuntare il secondo tema, un’affascinante melodia degli archi, e poi fornisce il materiale tematico anche al rustico Trio posto al centro del movimento.
Il finale è un esuberante Allegro vivace in forma-sonata: il primo tema e la transizione al secondo tema preannunciano alla lontana due momenti di Carmen (rispettivamente la musica che accompagna la corrida nel quarto atto e il tema dei monelli nel primo), mentre il grazioso secondo tema è stato poi riutilizzato da Bizet nell’opera comica Don Procopio. E un movimento breve e sapido, ma formalmente un po’ debole, perché i temi vengono non tanto sviluppati quanto ripetuti in diverse tonalità: ma anche qui non si ha affatto la sensazione d’un sia pur minimo impaccio da parte dell’autore, perché quest’opera sembra avere tutti i pregi della giovinezza senza nessuno dei suoi limiti.

Sir Thomas Beecham

Altra registrazione meravigliosa della Sinfonia in Do maggiore e una esibizione elegante di composizioni notissime di vera musica francese. Bernard Haitink è un perfetto esecutore e l’Orchestra suona come una delle migliori al mondo. La registrazione Philips è precisa e dettagliata. Le registrazioni sono state eseguite dal 1977 al 1979. Audio più che buono. Concludendo c’è l’imbarazzo della scelta. Buon ascolto.

Bernard Haitink