Brahms Johannes

21 Danze Ungheresi

Un CD essenziale per tanti motivi. Le 21 Danze Ungheresi sono state composte prima per pianoforte a quattro mani e poi orchestrate da vari autori (Brahms stesso, Dvorak, Parlow, Hallén, Gál etc..). Hanno chiaramente due componenti: quello della genesi dalla melodia popolare zigana, conoscenza maturata da Brahms nelle sue esperienze di Amburgo, e l’aspetto appunto di “danza”. Nelle Ungheresi ancora una volta il concetto di danza si lega a doppio filo e con un risultato meraviglioso alla vena popolare. Entrambi gli aspetti vengono resi da Claudio Abbado con maestria: la vena ritmica e melodica sono evidenziate senza mai entrare in contrasto, la musicalità fluisce libera e naturale, il tutto in uno schema globale che mantiene un incedere incalzante e preciso di danza. L’equilibrio tra sforzato e rubato rasenta la perfezione.
Poi ci sono i Wiener Phlilharmoniker. Orchestra meravigliosa, con una timbrica peculiare e un approccio unico al rubato ed ai vibrato. La direzione di Abbado è sempre chiara e spumeggiante. Il risultato ha una raffinatezza che personalmente mi ricorda un’altra musica “popolare”, quella Viennese dello stesso periodo. Ovviamente le radici tematiche qui sono ben differenti e non vengono snaturate, ma il risultato musicale ha una grazia che risuona di echi inaspettati. Registrazioni eseguite dal 1982 al 1984. Audio eccezionale. Imperdibile!!!

Claudio Abbado

Raffinata sensibilità timbrica

Nel 1959, l’anno in cui Theodor W. Adorno pubblicava Klangfiguren, uno studio sulla musica moderna, Herbert von Karajan e i Berliner Philharmoniker davano vita in due produzioni discografiche per la Deutsche Grammophon a “figure sonore” di tutt’altra natura, ma di fascino non certo minore, che si inserivano non già nello spazio un po’ spoglio della riflessione teorica ma piuttosto nelle movenze danzanti evocate in un linguaggio sinfonico.
Karajan e la sua Filarmonica avranno certo sentito, più d’ogni altro sodalizio artistico di tale livello e fama, una particolare vocazione ad interpretare con tutto lo sfarzo, lo splendore e la bravura richiesti, con tutta la caratteristica pregnante ed energia ritmica le Danze Ungheresi di Brahms e una scelta delle Danze slave op. 46 e op. 72 di Antonin Dvorák.
E come fu già rilevato al loro primo apparire, queste registrazioni lasciavano intendere la chiara ascendenza popolareggiante di queste musiche che pur sempre rimanevano il frutto di intendimenti compositivi.
Questa istanza di raffinatezza si può cogliere molto chiaramente nei due cicli di Danze slave op. 46 e op. 72 del compositore ceco. Su pressione dell’editore Simrock, che aveva già ricevuto da Brahms nel 1880 una seconda serie di
Danze ungheresi, Dvorák compose anche lui la seconda serie di Danze e nell’annunciarla all’editore nel 1886 rilevò: “Credo che queste saranno completamente diverse”. Come giustamente sottolineava Ingo Harden nelle sue note introduttive ad una precedente pubblicazione su CD di questa registrazione di Karajan, le Danze slave op. 72 denotavano rispetto agli accenti schietti dell’op. 46 un “mutamento di prospettiva, intesa piuttosto a suggestive introspezioni e ad atteggiamenti di nostalgica malinconia”.
Le Danze ungheresi di Brahms e le Danze slave di Dvorák furono composte in un primo tempo per pianoforte a quattro mani. Dvorák realizzò ben presto la versione orchestrale delle sue composizioni, che da un punto di vista tematico non si rifacevano a materiale popolare autentico, ma imitavano alla perfezione i caratteri delle musiche della sua terra.
Brahms invece si mostrò assai più esitante nei confronti delle sue Ungheresi. Delle 21 Danze che gli procurarono in vita senz’altro il successo più grande, trascrisse per orchestra solo le nn. 1,3 e 10, mentre le altre furono orchestrate – anche più volte – da autori ormai caduti nell’oblio, come Martin Schmeling, Hans Gal o Albert Parlow.
Le Danze nn. 17-21 furono trascritte peraltro da Antonin Dvorák, del quale Brahms seguì con costante interesse e cordiale attenzione l’evoluzione compositiva e l’attività artistica.
Herbert von Karajan non fece mai differenze tra le grandi e impegnative opere del repertorio sinfonico e le musiche popolari, “leggere” e di grande divulgazione nel loro carattere di elevato intrattenimento e di svago. Avversioni e giudizi negativi verso l’una o l’altra composizione di questo genere non sono mai mancati, ma nel nostro caso già l’impostazione della questione si rileva errata: sono stati proprio i più grandi compositori, da Bach fino all’epoca attuale, ad elaborare nelle loro opere elementi di musica popolare e d’intrattenimento.
Brahms, che pure era stato l’autore di quattro magistrali Sinfonie, di carattere “serio”, aveva un debole per la musica degli zingari ungheresi; in questa sua predilezione si avvicinava anche a Franz Liszt, le cui Rapsodie ungheresi rivelano in alcuni passaggi affinità tematiche con le Danze ungheresi del suo più giovane collega. Karl Schumann ha rilevato giustamente che dalle musiche tzigane diffuse in tutta Europa da orchestrine di zingari riecheggiava sempre un senso di libertà, di esuberante vitalità e schietta semplicità, oltre alle suggestioni paesaggistiche della puszta ungherese. La maggior parte delle melodie tzigane erano anonime; si trattava in parte di melodie popolari ungheresi rielaborate dai suonatori, in parte di danze folcloristiche che qualcuno aveva cominciato a divulgare. “Tale patrimonio anonimo fu intimamente recepito da Brahms e finì per confluire nel suo linguaggio sonoro”.
Lo Scherzo capriccioso op. 66 di Dvorák fu registrato da Herbert von Karajan e dai Berliner Philharmoniker nel 1971. Questo brano assai vivace è uno dei quegli scherzi romantici che oltre ad una esuberante gioia di vivere lasciano trasparire un chiaro intento di emancipazione formale. Ai tempi di Dvorák lo scherzo, che si era sviluppato dal più posato minuetto, occupava ancora un posto sicuro nell’ambito della tradizionale articolazione di una Sinfonia o di una Sonata.

Herbert von Karajan

Ma ai compositori, già a partire da Schubert, non erano mancati validi motivi per proporlo come movimento autonomo.
Irrefrenabile gioia di vivere e slancio teatrale possono senz’altro esprimersi in accenti assolutamente alieni da tratti rozzi e grossolani: se ne occorre la prova, basti ascoltare questa registrazione di Karajan. Edmund Gleede, nella sua recensione del 1973 sulla rivista discografica FonoForum, rilevava a tale proposito: “Karajan, insieme ad un’orchestra che ha del favoloso, raggiunge qui una tale economia dinamica e una tale raffinatezza timbrica che la musica acquista un pregio veramente straordinario”.
Registrazioni eseguite dal 1960 al 1972 e rimasterizzazione effettuata nel 1995. Audio super. Imperdibile!!!

Peter Cossé
(Traduzione: Gabriele Cervone)