Cajkovskij Ilic Petr

Concerti per pianoforte e orchestra nn. 1 – 3

Quando fu pubblicata questa incisione i critici hanno denigrato questa registrazione e sinceramente ho delle difficoltà e capirne il motivo. La mia impressione è la seguente: molti musicofili sembrano essere del parere che questa brillante partitura Cajkovskiana debba essere interpretata in un solo modo, ovvero come un pezzo virtuoso. Ciò che ho trovato immensamente espressivo durante il mio primo approccio a Richter & Karajan, negli anni 1961-62, è stata la loro evidente determinazione nel trattare questo concerto come un’opera d’arte. Pertanto, secondo il mio modesto parere, questa incisione è, ancora dopo tanti anni, una delle migliori registrazioni di sempre, in termini sia virtuosistici che espressivi. Registrazioni eseguite dal 1960 al 1962 e rimasterizzazione effettuata nel 1986. Audio ottimo. Imperdibile!

Cajkovskij: Concerto n. 1 per pianoforte e orchestra

Cajkovskij stesso parla di un “Concerto per pianoforte eccezionalmente difficile” ed è appena irritato quando Nikolaj Rubinstein, il direttore del Conservatorio di Mosca, respinge il Concerto in si bemolle minore (composto nel 1874/75) dichiarandolo ineseguibile. Tuttavia Cajkovskij non vi cambia neanche una nota, e ha la soddisfazione di vedere il giovane pianista russo Sapelnikov riportare uno strepitoso successo con il suo Concerto in una esecuzione ad Amburgo sotto la propria direzione.
L’idea di affidare dapprima all’orchestra il tema principale con carattere di motto e di farlo accompagnare dallo strumento solista con poderosi e ampi accordi come se fossero uno scampanio, è veramente insolita nel suo piglio ostentato. Quando il tema passa al pianoforte, l’orchestra si riduce a un semplice accompagnamento in pizzicato. Lo strumento solista non solo presenta il tema, ma al tempo stesso lo amplia con delle elaborazioni che a poco a poco danno vita a figurazioni di un incontenibile virtuosismo, fino a che l’orchestra fa di nuovo suo il tema sostituendosi al pianoforte. Un suono tenuto del corno fa da passaggio al secondo tema. Esso, suonato dapprima con tocco leggero, viene ammorbidito dal suono scherzoso dei flauti prima che gli archi sviluppino per esteso la cantabilità di questa idea musicale. Il movimento vive di contrasti netti, a volte addirittura stridenti, che vengono attraversati da esplosive strutture che fanno crescere di intensità il discorso musicale.
L’Andantino semplice comincia con un pensiero in forma di Lied eseguito dal flauto, che il pianoforte riprende mutandolo alla terza nota con un enfatico slancio. È solo una minuscola sfumatura, che però lascia trasparire il carattere d’improvvisazione insito nella struttura compositiva di questo movimento. Con sempre nuove variazioni di colore Cajkovskij muta il carattere degli sviluppi tematici, sostenuti e incorniciati da mutevoli figurazioni di accompagnamento. Il terzo movimento attacca senza cesure con veementi movenze di danza. Dopo una breve introduzione orchestrale lo strumento solista fa proprio il ritmo di danza e conduce al controtema, che fiorisce negli archi ed è manifestamente imparentato col tema introduttivo. Cajkovskij esercitò un influsso durevole sullo stile pianistico dei suoi contemporanei e lasciò profonde tracce nella musica leggera e da film del 20o secolo.
Come era inteso nell’Ottocento, il Prélude, e cioè preludio, aveva perso già da molto il suo senso letterale e significa oggi un libero pezzo per pianoforte di proporzioni limitate. I Preludi per pianoforte op 23 di Sergej Rachmaninov, dedicati al suo maestro Siloti, e i Preludi op 32 sono stati composti nel 1903 e nel 1910, e furono concepiti soprattutto per un’esecuzione da parte dello stesso autore. Rachmaninov non fa mai mistero di voler tener viva la tradizione di Chopin, Liszt e Cajkovskij, pur essendo ben consapevole di portare così nel 20o secolo tratti stilistici che nella storia sembravano essere stati già da molto tempo accantonati. Nonostante i cromatismi variamente disseminati nelle sue opere, Rachmaninov resta in fondo un compositore diatonico. Il cromatismo è per lui un accessorio ornamento coloristico, ma che non giunge mai a coinvolgere la sostanza dello stile. I piccoli pezzi, che nella loro complessità hanno a volte un carattere di studio, rispecchiano nel loro virtuosismo e nel loro volume sonoro sovraccarico il raffinatissimo stile pianistico di Rachmaninov. Però talvolta la melodia si perde, restando impigliata nel reticolo di un’ampia filigrana sonora. Solo di rado la melodia raggiunge un profilo capace di sostenere il discorso musicale, apparendo piuttosto come un’aggiunta o un supporto cantabile con funzione sempre subordinata nell’economia globale dell’opera.

Heinz Becker
(traduzione: Antonio Cremonese)

Concerto per pianoforte n. 1 si bemolle minore op. 23

Un’opera di Cajkovskij è sempre un’emozione intensa: si rimane avviluppati nelle trame di un tessuto fatto di sensazioni tenere e drammatiche, di gesti e dinieghi che innalzano l’anima per poi sprofondarla nella cupa drammaticità dell’abisso. La crisi dei sentimenti, il dolore del confronto di un’anima con il mondo è in Cajkovskij motore di ogni azione; la crisi è poi fuga, o da se stesso, dalla propria diversità, o dalla Russia, alla ricerca di un altro mondo, probabilmente di un’Europa dostoevskianamente concepita. La semiblerie cajkovskiana, frutto ed al contempo effetto del sentimento della crisi, ha poi dato vita a quella comunemente diffusa interpretazione delle opere del compositore russo secondo cui la sua opera si caratterizza per l’invenzione melodica «abbondante […] a volta a volta felice oppure volgare», per la strumentazione «brillante», per la forma «solida sotto apparenze rapsodiche», per la capacità di emozionare il pubblico grazie ad un «senso infallibile dell’effetto» ed un «lirismo destinato a commuovere facilmente le masse popolari e piccolo-borghesi, effusione quindi di natura non molto elevata». Le parole fra virgolette sono di Alfredo Casella, e definiscono in generale l’opera e lo stile di Cajkovskij parlando in particolare proprio del Concerto n. 1 in si bemolle minore per pianoforte e orchestra op. 23.
Scritto tra la fine del 1874 e gli inizi del 1875, il Concerto n. 1 op. 23 è senz’altro, insieme alla Sesta Sinfonia, “Patetica”, ed al balletto Lo schiaccianoci, la più nota delle composizioni di Pètr Il’ic Cajkovskij; per alcuni aspetti ha poi assunto nell’immaginario popolare i tratti del “tipico” concerto romantico, divenendo emblema di uno stile caratterizzato da forte espressività legata a melodie di grande impatto emotivo, e da un virtuosismo strumentale a volte brillante, a volte drammatico o malinconico, erede delle conquiste del pianismo lisztiano.

Hans von Bulow

L’andamento rapsodico dei tre movimenti che lo compongono, così come scriveva Casella, dà l’impressione all’ascoltatore che il brano sia scaturito di getto dalla penna dell’autore sull’onda di un’irruenta ispirazione; questo senso di

facilità comunicativa lo rende estremamente vicino a colui che vi si accosta anche senza conoscere la musica, la sua storia, gli stili ed i periodi. Seppur frutto d’ispirazione, Cajkovskij ritornò su questo concerto per perfezionarlo facendone in tutto tre versioni, di cui l’ultima, nel 1889, fu quella definitiva ed attuale; il lavoro di lima e trasformazione ovviamente riequilibrò l’immediatezza della prima giovanile stesura, allo stesso tempo aggraziata e barbarica, che proprio per la sua struttura a blocchi e per le particolari soluzioni virtuosistiche della tastiera, fece dichiarare a Nikolaj Rubinstein che il concerto era ineseguibile.
Nikolaj Rubinstein, valente pianista e fratello di Anton con il quale Cajkovskij aveva studiato a Pietroburgo, aveva chiamato Pétr Il’ic a Mosca nel 1865 per insegnare armonia alla Società Musicale Russa da lui diretta e che nel 1866 si trasformò in Conservatorio; l’attività di Cajkovskij al fianco di Nikolaj Rubinstein durò per ben 11 anni, e fu proprio quest’ultimo ad incitarlo nel 1866 a scrivere la sua Prima Sinfonia, l’opera 13, “Sogni d’inverno”. Fatto sta però, che quando Cajkovskij nel 1875 presentò a Rubinstein il suo Primo Concerto per pianoforte e orchestra in cerca d’approvazione e consiglio, la risposta del musicista fu di inesorabile condanna, e neanche l’aver letto che il Concerto gli era stato dedicato riuscì a stemperare le critiche verso il giovane compositore. Cajkovskij ritirò ovviamente la dedica a Rubinstein, e girò il concerto ad Hans von Bülow che, lusingato, lo inserì con piacere nel suo repertorio facendolo esordire a New York nello stesso 1875. Essendo difficile ritenere che Rubinstein potesse avere dell’ostilità nei confronti di Cajkovskij, il suo atteggiamento dovette essere senz’altro motivato dalla carica innovativa della composizione che evidentemente si scontrava con gli schemi e le abitudini del pianismo tradizionale della metà dell’800 al quale egli si era formato. Esponenti di una cultura di tradizione tedesca, Anton e Nikolaj Rubinstein studiarono composizione a Berlino con Siegfried Dehn, e furono interpreti di un pianismo di derivazione beethoveniana, con gli influssi più salottieri dello stile chopiniano, e quelli virtuosistici del primo Liszt; fu dunque loro estranea la tendenza verso la formazione di uno stile essenzialmente “russo” caratterizzantesi nell’uso di soggetti storici da narrare, e nell’inserimento di melodie di origine popolare nel discorso tematico e ritmico, stile che invece si stava delineando nelle opere del pietroburghese Gruppo dei Cinque.
Sebbene tra i due fratelli Rubinstein, Nikolaj passasse per il più aperto e progressista, il lavoro operato da Cajkovskij nel suo Concerto sul pianoforte, sia nelle parti solistiche che in quelle di dialogo con l’orchestra, dovette suonare come una sfida troppo forte al comune gusto del pubblico moscovita per essere accettata; i famosissimi accordi con cui Cajkovskij introduce il pianoforte nel tema del primo movimento affidato agli archi, erano uno schiaffo alla tradizione

ed inspiegabili secondo le consuetudini compositive accettate da Rubinstein, prese ad esempio nel Conservatorio da lui diretto. Altro punto incomprensibile a Rubinstein fu senza dubbio l’uso di un tema popolare ucraino, La canzone dei ciechi, adoperato nella seconda parte del primo movimento, l’Allegro con spirito, in cui la brillante figura ritmica deriva proprio dalla vivace melodia popolare a cui Cajkovskij si era ispirato.
Nell’Andantino semplice del secondo movimento il compositore dà massimo spazio al gioco orchestrale dei timbri fra archi e fiati in una scena di sognante lirismo, preludendo alla seconda parte del tempo, il Prestissimo, in cui il compositore ravviva il discorso melodico e ritmico grazie a brillantissimi scambi fra pianoforte ed orchestra su di una reminiscenza dalla melodia popolare, questa volta francese, Il faut s’amuser (brano non casuale, bensì legato al repertorio della cantante belga Désirée Artot della quale Cajkovskij si era invaghito nel 1868 nel corso di una sua tournée in Russia), e conduce l’ascoltatore al travolgente rondò del terzo movimento, Allegro con fuoco. Costruito con estrema cura per dare salda struttura ad un discorso apparentemente rapsodico, l’Allegro si presenta come una tipica danse à la russe, caratterizzata da slancio ritmico, limpida inventiva melodica e brillante colorismo orchestrale, in cui il tema passa dal solista all’orchestra intrecciandosi in proposte e rimandi che lo rendono veemente anche grazie ad un policromo virtuosismo pianistico.
Il Concerto n. 1 op. 23 per pianoforte e orchestra segnò lo spartiacque fra un primo periodo cajkovskiano, ricco di fermenti ed influenze, e quella seconda età delle grandi opere universalmente note, in cui la raggiunta maturità espressiva però non rinnegherà il “percorso russo”, ma anzi ne darà realizzazioni di grande respiro e profondità, quali le due opere su testo di Puskin, Evgenij Onegin del 1878, e La dama di picche del 1890.

Victoria Postnikova è una grande interprete di Tchaikovsky. Ha eseguito splendide esecuzioni dei due concerti per piano con la Wiener Symphoniker, sotto la direzione di suo marito, Gennadi Rozhdestvensky. La sua lettura è tipicamente estesa, appassionata, attenta al dettaglio ed estremamente romantica. Mentre il suo approccio non è perfetto nel secondo concerto, funziona alla perfezione per il primo, incluso anch’esso in questo CD. La Postnikova ci regala qui un’esibizione davvero commovente, al punto che potrebbe posizionarsi tra le migliori versioni sul mercato. Registrazione eseguita nel 1984

Concerto per pianoforte n. 1 in si bemolle minore op, 23

Nonostante Ciaikovski fosse un ottimo pianista, il pianoforte non fu mai al centro della sua attività compositiva. I piccoli pezzi salottieri di derivazione schumanniana e una ambiziosa quanto discontinua Sonata in sol maggiore, per limitarsi alle opere più conosciute, non possono certo essere annoverate tra le creazioni emblematiche del mondo ciaikovskiano. Una fortunata eccezione è costituita dal Concerto in si bemolle minore op. 23, il primo e il più popolare dei tre lavori dedicati da Ciaikovski al genere del Concerto per pianoforte e orchestra (il secondo, op. 44, di gran lunga inferiore, è raramente eseguito e il terzo, op. 75, rimase incompiuto). Il Concerto in si bemolle minore resta
dunque a buon diritto l’unico lavoro pianistico entrato a far parte dei capolavori del musicista russo e può essere indicato come una tra le opere più importanti e originali del genere nell’epoca del tardo romanticismo.
Ciaikovski intendeva dedicarlo a Nicolai Rubinstein, direttore del Conservatorio di Mosca, dove insegnava, e celebre pianista. Così ne scriveva al fratello Anatol in una lettera del 3 settembre 1874: «Ora sono assorbito dalla composizione di un Concerto per pianoforte e orchestra. Sono ansioso che Rubinstein lo esegua. Il lavoro progredisce lentamente e non riesce bene. Comunque mi attengo alle mie intenzioni e martello al pianoforte quei passaggi che mi escono dalla mente: il risultato è una eccessiva irritabilità… ». Terminata la partitura tra continui dubbi e ripensamenti, fu organizzata una audizione privata al Conservatorio durante la quale Rubinstein avrebbe potuto conoscere e giudicare il lavoro che gli era stato dedicato. Ma la serata ebbe un esito disastroso. Rubinstein, prima perplesso poi addirittura infuriato, diede un verdetto negativo e Ciaikovski, profondamente offeso, decise di cancellare la dedica. Pubblicato con nuova dedica a Hans von Bülow il Concerto fu da questi eseguito durante una tournée americana a Boston il 25 ottobre 1875. Il successo fu immediato e travolgente e uguale esito ebbe, pochi giorni dopo, la prima a Pietroburgo affidata al pianista Gustav Kross. La rivincita era completa. Lo stesso Rubinstein qualche anno più tardi ebbe modo di ricredersi e inserì il Concerto stabilmente nel suo repertorio di concertista. D’altra parte Ciaikovski nel 1889 pubblicò una nuova definitiva versione profondamente modificata che è quella oggi normalmente eseguita.
Le critiche di Rubinstein si erano incentrate soprattutto sulla scrittura pianistica giudicata addirittura ineseguibile e anche nella stesura definitiva il Concerto in si bemolle minore conserva difficoltà tecniche impressionanti. Tra i modelli presenti a Ciaikovski accanto ai Concerti di Liszt deve essere ricordato il Primo concerto di Brahms, dove il rapporto tra solista e orchestra sembra risolto più in opposizione che in dialogo secondo una concezione squisitamente romantica accolta senza riserve dal compositore russo. Lo stesso Ciaikovski così si era espresso riguardo allo stile concertante in una lettera a Nadezda von Meck: «I rapporti del piano e dell’orchestra sono del tutto differenti. Qui i colori dell’uno non si saprebbero mescolare con quelli dell’altra perché i suoni percussivi del pianoforte suonano sempre indipendentemente da ogni altra combinazione sonora. Tuttavia, il conflitto scoppia fra due avversari di forze uguali perché alla potenza dell’orchestra e alla sua infinita varietà di colori tiene testa questo avversario minuscolo, inverosimile ma risoluto, il quale riuscirà vittorioso se il pianista è dotato. In questa lotta risiedono dei tesori di poesia e molte possibilità esaltanti per un compositore». Centro gravitazionale del Concerto è il primo movimento esteso per una durata che supera la metà di tutto il lavoro.

Nadezda von Meck

Si apre con una introduzione (Allegro non troppo e molto maestoso), nel modo maggiore, lunga oltre cento battute e dominata da un tema ampio e perentorio che resta tra le invenzioni melodiche più geniali e popolari di tutta la musica ciaikovskiana. L’enfasi retorica irresistibile di questa idea introduttiva, che peraltro non si farà più sentire durante tutto il Concerto, sembra depauperare l’evidenza del vero primo tema nel seguente Allegro con spirito: una melodia scherzosa di carattere popolaresco che Ciaikovski, stando agli scritti del fratello Modest, avrebbe ascoltato al mercato di Kamenka. Comunque questa melodia appare di natura squisitamente strumentale e virtuosistica elaborata in un fitto dialogo con l’orchestra. La seconda sezione tematica (Poco meno mosso) si presenta con due diverse configurazioni melodiche in un’atmosfera più intima e sognante. Su questi elementi è incentrato il lungo sviluppo dove al virtuosismo spettacolare del pianoforte si contrappongono gli interventi coloristici di un’orchestra forse ancora trattata con mano un po’ pesante ma ricca di saporite invenzioni strumentali. Al termine della ripresa con la tradizionale cadenza del solista una coda elabora le figurazioni del secondo tema arricchite da fitti arabeschi pianistici fino a chiudersi con una cascata di ottave.
Nel secondo movimento sembrano concentrate le caratteristiche proprie al tempo lento e allo Scherzo di una Sinfonia. Vi si alternano un Andantino semplice con carattere di raffinata Berceuse e un fantastico Prestissimo con rapide e leggere volatine del pianoforte. Sono queste le pagine emblematiche dell’originalità compositiva ciaikovskiana, della sua instabilità nevrotica, del suo decadentismo malato e affascinante.
Il finale Allegro con fuoco è un Rondò costruito su due temi: il primo, una danza paesana ucraina arricchita da interessanti sfasature ritmiche, il secondo, più aperto e cantabile, al quale Ciaikovski affida la conclusione trionfante del Concerto. Uno sguardo complessivo al materiale tematico del Concerto in si bemolle minore e al suo impianto formale può sollevare accuse di scarso controllo stilistico, di eccessiva enfasi retorica, di esteriore sentimentalismo, ma sono proprio questi evidenti squilibri, lasciati da parte i paraocchi devianti di un improponibile rigore classico, a rivelare gli aspetti caratteristici del mondo di Ciaikovski: una smodata sincerità espressiva in bilico tra affermazioni perentorie e ripiegamenti pessimistici, col senso finale della contemplazione narcisistica delle proprie debolezze. E forse proprio qui deve essere cercato il suo messaggio più autentico e moderno.

Concerto per pianoforte n. 3 in mi bemolle maggiore op. 75

Nonostante l’immenso successo di pubblico che ha sempre sorretto ovunque, in terra russa e fuori, la sua ricca opera teatrale, sinfonica e cameristica, Cajkovskij è stato spesso guardato con diffidenza e con un certo distacco dalla critica, che si è lasciata fuorviare da preconcetti polemici nei confronti di un
artista ritenuto a torto di gusto salottiero ma che invece aveva una forte personalità musicale. Si è voluto contrapporre, con forzature a volte arbitrarie, il creatore della «Patetica», sensibile alle squisitezze formali e alle eleganze melodiche della tradizione musicale occidentale, allo storico «gruppo dei cinque», considerato la punta avanzata della cultura musicale russa ottocentesca, improntata ai modi melodico-ritmici del canto popolare. È vero che la strada percorsa dal «gruppo dei cinque» fu diversa da quella imboccata da Cajkovskij, il cui temperamento eclettico e morboso fu suggestionato sin dal periodo degli studi giovanili dagli esempi di Mozart, di Schumann, di Liszt e dell’opera italiana e francese, ma non si può negare una componente slava, se non un russismo autentico, nella musica ciaikovskiana, riconoscibile nella natura stessa della melodia, spesso malinconicamente medidativa, e in quel descrittivismo sentimentale e pittoresco che si ritrova nella migliore arte di Musorgskij e Rimskij-Korsakov. Certamente, in misura maggiore di questi ultimi due autori, in Cajkovskij c’è una accentuazione più spiccata verso l’effusione lirica e i languori elegiaci, frutto di una inquietudine interiore derivante dalla crisi degli ideali romantici, ma bisogna riconoscere che questo singolarissimo e originale musicista ha saputo esprimere una tematica esistenzialista legata saldamente alla cultura del suo paese e principalmente alla poesia tormentata e dai complessi risvolti psicologici di Lermontov e di Puskin.
E frutto di tormenti e di ripensamenti è il Concerto n. 3 in mi bemolle maggiore per pianoforte e orchestra, scritto nel 1893, poco dopo il famoso balletto Lo schiaccianoci e prima della celeberrima Sesta sinfonia, nota a tutti come «Patetica» e ritenuta tra le espressioni più emblematiche della genialità del compositore. O meglio, il Concerto op. 75, che è in un solo movimento della durata di poco più di 15 minuti, è ricavato dal primo tempo di una Sinfonia in mi bemolle maggiore non portata a termine dall’autore, che lasciò allo stato di abbozzo e senza completare l’orchestrazione. Recentemente, nel 1961, Semyon Bogatirev rielaborò e ricostruì tutto il materiale, compreso l’Andante e il Finale, della Sinfonia in mi bemolle maggiore e diede ad esso il nome di Sinfonia n. 7, raramente eseguita e senza troppa fortuna. A suo tempo anche Sergej Taneev trovò tra le carte di Cajkovskij due brani incompiuti, un Andante e un Allegro, e ritenendo che fossero il secondo e il terzo tempo del Concerto li orchestrò e li pubblicò con il numero d’opus 79, con il titolo di Andante e Finale. Lo stesso Taneev fece eseguire il Concerto sia nella versione in un tempo, nell’inverno del 1895 a Pietroburgo sotto la direzione di Napravnik, e sia nella versione in tre tempi, ma senza quel successo che egli sperava. Maggiore attenzione da parte del pubblico e dalla critica il Concerto l’ottenne nel 1946, quando il celebre coreografo George Balanchine ne ricavò un balletto spigliato ed elegante intitolato Allegro brillante.

Petr Ilic Cajkovskij

In effetti il Concerto in un tempo solo in mi bemolle maggiore, dedicato al pianista francese Louis Diémer, maestro di Cortot e di Casadeus, non presenta quelle caratteristiche tipiche di lavori del genere con il pianoforte dialogante e in contrapposizione all’orchestra. Il pianoforte invece svolge un ruolo di solista dell’orchestra, sin dall’inizio in tempo allegro, su ritmi vivaci e taglienti, in una progressione di larga cantabilità, ad un certo punto si abbandona in una “Cadenza, a suonare con brio e anima” di taglio virtuosistico alla Liszt e ricco di figurazioni di gusto romantico. L’orchestra riprende poi il sopravvento, sorreggendo e lanciando il pianista in un piacevole gioco ritmico di stampo ballettistico, dalle sonorità asciutte e martellanti, preannuncianti vagamente lo stile di Prokof’ev. Un lavoro certamente “non finito”, ma indicativo di un pianismo inquieto e ricco di interessanti intuizioni timbriche, nel contesto di quella sensibilità rapsodica riscontrata già, e in misura maggiore, nella troppo dimenticata Fantasia da concerto in sol maggiore per pianoforte e orchestra op. 56 composta nel 1884 e ricca di temi di danza, pur tra languori sentimentali ed elegiaci di indubbio effetto psicologico.