Cajkovskij Ilic Petr

Manfred Symphony op. 58

Questa partitura è accattivante e commovente al pari delle grandi composizioni cajkoschiane come la “Symphony “Pathetique” e il “Concerto n. 1 per pianoforte e orchestra”. Riccardo Muti giganteggia sul podio della Philharmonia Orchestra. Audio buono. Registrazione eseguita nel 1982. Altamente raccomandato.

Cajkovskij: Sinfonia Manfred

La storia della sinfonia Manfred di Cajkovskij inizia con l’ultima tournée in Russia fatta da Berlioz, che nel novembre del 1867 si era recato a Pietroburgo per dirigere sei concerti. Uno dei suoi programmi comprendeva la symphonie fantastique, e un altro Harold en Italie: ciò provocò dunque grandi discussioni sulle symphonie a programma nei circoli musicali russi. Il critico Stasov – che per tutta la vita fu una sorgente inesauribile di idee per i suoi amici compositori – abbozzò un programma per una sinfonia Manfred e lo diede a Balakirev:

questi però, anziché utilizzarlo egli stesso, lo ricopiò integralmente, e senza nemmeno accennare al fatto che il programma non era suo. Lo inviò a Berlioz pregandolo di servirsene. Ma era troppo tardi: Berlioz era mortalmente ammalato – sarebbe infatti morto sei mesi più tardi – e Balakirev mise da parte il programma.
La corrispondenza con Cajkovskij a proposito del Romeo e Giulietta che fu dedicato a Balakirev, gli riportò alla mente quattordici anni dopo il progetto del Manfred: nel settembre del 1882 egli scrisse infatti al giovane compositore dicendogli che avrebbe voluto “comunicargli il progetto di una sinfonia”, e più o meno un mese dopo ricopiò o parafrasò il vecchio programma di Stasov, unendovi una lettera di accompagnamento: “Il soggetto di cui vi avevo scritto fu in origine proposto da me a Berlioz, che declinò però l’invito a causa dell’età e della malattia… La vostra Francesca mi ha suggerito che voi potreste realizzarlo brillantemente… Si tratta del “Manfred” di Byron”. Balakirev specificò che la sinfonia avrebbe dovuto avere una idée fixe che rappresentasse lo stesso Manfred, e che essa avrebbe dovuto comparire in tutti i movimenti: quindi scrisse per esteso il programma (che qui abbreviamo leggermente): “Parte prima – Manfred vaga tra le Alpi. La sua vita è in sfacelo… nulla gli rimane se non i ricordi. La figura ideale di Astarte ossessiona i suoi pensieri, ed egli la invoca invano. Solo l’eco dei picchi montagnosi ripete il suo nome. I ricordi ed i pensieri lo ardono e lo rodono. Egli cerca disperatamente l’oblio, che nessuno può dargli (Fa diesis minore, secondo tema Re maggiore e Fa diesis maggiore).
Parte seconda – La vita dei cacciatori delle Alpi, semplice, naturale e patriarcale. Adagio pastorale (La maggiore). Manfred scopre questo modo di vita che rappresenta per lui un forte contrasto. Parte terza – Scherzo fantastique (Re maggiore). La fata delle Alpi appare a Manfred in un arcobaleno originato dagli spruzzi di una cascata. Parte quarta – (Finale) Fa diesis minore. Un selvaggio e sfrenato Allegro che rappresenta il palazzo di Arimane (l’inferno), dove Manfred si è recato per rivedere Astarte. Contrastante con quest’orgia infernale sarà l’evocazione e apparizione dell’ombra di Astarte (Re bemolle maggiore, la stessa idea che era comparsa in Re maggiore nella Prima parte, solo che allora l’idea era breve… mentre qui la stessa idea compare in forma completa e finita. La musica deve essere leggera, trasparente come l’aria, ideale e verginale). Quindi di nuovo una ripetizione del pandemonium, e poi il tramonto e la morte di Manfred”.
Sfortunatamente la reazione di Cajkovskij al programma inviatogli difficilmente avrebbe potuto essere più scoraggiante, anche se il compositore disse che non avrebbe preso una decisione finale sino a che non avesse letto una traduzione del poema di Byron: “Il vostro programma potrebbe servire efficacemente come traccia per un sinfonista disposto ad imitare Berlioz… Ma esso mi lascia assolutamente freddo”. Balakirev tacque, ma solo per il momento. Due anni più tardi Cajkovskij si recò a Pietroburgo per la messa in scena di Eugenio Onegin, e Balakirev non mancò l’occasione per stimolarlo di nuovo a proposito del Manfred.

Mili Alekseievich Balakirev

Egli gli diede ora il programma originale di Stasov, con le sue note a margine a
proposito dello schema delle tonalità. Per alcuni aspetti esso differisce dai suoi primi suggerimenti: ora la Sinfonia doveva essere in Si bemolle minore, e concludersi con un Requiem e un accordo di Si bemolle maggiore.
Cajkovskij rispose che, prima di partire per la Svizzera il giorno successivo, sarebbe andato in una libreria a comprare il Manfred, e da Davos riferì che aveva letto il poema ed aveva “riflettuto a lungo su di esso”. Promise inoltre che la Sinfonia sarebbe stata scritta” non più tardi dell’estate”. E mantenne la parola. Manfred venne abbozzato durante l’aprile ed il maggio del 1885 – ignorando praticamente tutte le istruzioni di Balakirev a proposito delle tonalità appropriate, ed invertendo l’ordine dei movimenti centrali – e la partitura completa venne scritta tra giugno e settembre. Cajkovskij mugugnò che era “mille volte più piacevole scrivere senza un programma”, e che questo era “vasto, serioso, difficile, alle volte estremamente faticoso”. Ma nel contempo “una voce interiore mi dice che non sto faticando invano”. Subito dopo la prima esecuzione – avvenuta a Mosca sotto la direzione di Max Erdmannsdorfer il 23 (l’11, secondo l’antico calendario giuliano) marzo del 1866 – egli scrisse a Nadezda von Meck: “Mi sembra la migliore delle mie composizioni sinfoniche”.
Più tardi avrebbe sostenuto che solo il primo movimento era una delle sue cose migliori. E quando Manfred venne eseguito a Pietroburgo alcuni mesi più tardi, il compositore e critico Cesar Kjui confermò la sua opinione: “Il primo movimento, insieme a Francesca, è tra le pagine migliori scritte da Cajkovskij, per quel che riguarda la profondità della concezione e l’unitarietà dell’elaborazione”. È interessante il fatto che Kjui citi il poema sinfonico Francesca da Rimini, dato che egli non poteva certo sapere che, accanto all’abbozzo del tema di Astarte del Manfred Cajkovskij aveva scritto “Nessun dolor…”, un riferimento ai famosi versi di Francesca nell’Inferno dantesco: “Nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice nella miseria”.

Gerald Abraham. 1982 (Traduzione: Franco Sgrignoli)

Fu Mili Alekseievich Balakirev, un compositore del famoso Gruppo dei Cinque, a consigliare Ciajkovskij di scrivere una sinfonia sul poema drammatico Manfred di lord Byron, artista particolarmente letto e ammirato nell’Ottocento per la sua accesa fantasia romantica. Anzi, in un primo momento Balakirev aveva parlato di questa sua idea a Berlioz, durante il viaggio che il musicista francese aveva compiuto in Russia nel 1867; ma Berlioz aveva declinato l’incarico, dicendo di essere troppo vecchio (contava allora 65 anni) per poter affrontare un progetto artistico così ambizioso. Ciajkovskij invece si mostrò interessato a questa proposta di lavoro e nell’aprile del 1885, durante un soggiorno nella tenuta di Maidanovo, lesse e studiò il poema di lord Byron. In

una lettera del giugno dello stesso anno alla sua amica e protettrice, Nadiezda von Meck, egli così scriveva: «Il librettista Spajinskij non mi ha ancora inviato il primo atto dell’opera L’ammaliatrice e sto lavorando da un paio di mesi attorno alla sinfonia sul Manfred di Byron. E’ un soggetto molto serio e complesso, tanto da procurarmi molta fatica». In una seconda lettera del mese di agosto, indirizzata alla stessa persona, il musicista aggiungeva: «Sono preso interamente dalla composizione della sinfonia del Manfred, un argomento di carattere tragico. Mi sento triste e abbattuto spiritualmente, ma ardo dal desiderio di finire l’opera al più presto». Infatti la sinfonia Manfred fu terminata in ottobre e il 25 marzo 1886 venne eseguita a Pietroburgo in un concerto in onore di Nicolai Rubinstein. Alla fine della prova generale l’orchestra applaudì l’autore, il quale dopo «la prima» in pubblico annotò sul suo diario: «Quasi un successo e alla fine anche un’ovazione», aggiungendo, in una terza lettera alla signora von Meck, che l’esecuzione era stata eccellente e si sentiva tranquillo per aver scritto una composizione sinfonica ben fatta. In verità i giudizi dei musicologi e degli studiosi della musica di Ciajkovskij sono piuttosto contrastanti su questa pagina, dalle caratteristiche più del poema sinfonico che della sinfonia. Alcuni sostengono che il Manfred è un capolavoro per la ricchezza del materiale tematico e la varietà del linguaggio melodico, perfettamente in linea con lo stile creativo del musicista (è la tesi di Ralph W. Wood nel suo libro edito nel 1946 a New York su Ciajkovskij); altri, come Edwin Evans e Ivanovich Jurgenson, ritengono questo lavoro molto enfatico e decorativo sotto il profilo strumentale e sovraccarico di effetti orchestrali, pur non escludendo la validità di trovate armoniche e timbriche di penetrante forza espressiva.
Il Manfred di Byron, apparso nel febbraio 1887, è un poema dialogato in versi sciolti, il cui protagonista, Manfredi appunto, è ossessionato dal fantasma della donna amata e scomparsa giovanissima, Astarte, con la quale non riesce a comunicare, nonostante il ricorso agli spiriti della terra e alle divinità infernali. Manfredi, che è l’emblematico simbolo dell’uomo romantico sempre alla ricerca di se stesso, non trova pace nell’isolamento della natura tra le vette nevose dello Jungfrau, né sa calmare la propria ansia e insoddisfazione attraverso la fede religiosa. Alla fine egli viene trovato morto in una torre, mentre studia un libro sulle arti magiche. Goethe, stimatore di Byron tanto da giudicarlo il maggiore poeta inglese dopo Shakespeare, recensì il Manfred nel 1820 nella sua rivista «Kunst und Alterthum», (Arte e antichità) con le seguenti parole: «Questo singolare e ingegnoso poeta ha preso il mio Faust e ne ha tratto il più strano nutrimento per il suo umore ipocondriaco; si è servito a suo modo dei miei principii fondamentali per raggiungere i suoi scopi, così che neppure uno rimane inalterato; ed è proprio per questa ragione che io non mi sazio di ammirare il suo genio ».

Lord Byron

Ciajkovskij si attenne, anche se con qualche aggiunta, al testo di Byron e stese in calce alla partitura della sua opera il seguente programma:

1. Manfred vaga per le Alpi in preda ad una grande tristezza. Ricorre alle scienze occulte per vincere il dolore e trovare una ragione alla propria esistenza. Il ricordo della bella Astarte lo perseguita e non gli da pace.
2. La fata delle Alpi appare a Manfred nella luce dell’arcobaleno che si innalza da una cascata di acqua pura e zampillante dalla roccia.
3. Atmosfera pastorale e di pace silenziosa tra i montanari.
4. Manfred partecipa ad un baccanale nel sotterraneo palazzo dello spirito del male, Arimane (è una divinità infernale della mitologia persiana). Egli invoca l’ombra di Astarte che gli predice la fine delle sue sofferenze terrene. La morte di Manfred.

Su questi episodi il compositore ha costruito e sviluppato una musica densamente descrittiva e di ampie proporzioni, della durata di cinquantacinque minuti. La sinfonia si apre (Lento lugubre) con il tema appassionato e pensieroso di Manfred, una vera e propria idea fissa, come l’avrebbe concepita Berlioz, e ricorrente in tutta la composizione. La frase affidata ai fagotti e al clarinetto basso si allarga e si irrobustisce con l’intervento degli archi e degli strumenti a fiato, in una insoddisfatta tensione psicologica, secondo lo stile e l’inventiva tipici del musicista. Il tema di Astarte, intriso di un lirismo dolce e carezzevole, viene indicato dai violini e ripreso con ricchezza di armonie da tutta l’orchestra, in uno slancio di straordinaria pienezza fonica con trombe e timpani in massima evidenza. Il secondo movimento (Vivace con spirito) ha l’andamento dello scherzo, brillante e fosforescente nel ritmo strumentale.
Il Trio è caratterizzato da una melodia affettuosa e inconfondibilmente ciajkovskiana annunciata dai violini con l’accompagnamento degli archi; ritorna quindi il tema leggero e danzante dello scherzo in una delicata atmosfera timbrica. Il suono morbido dell’oboe indica il tema principale della pastorale del terzo tempo (Andante con moto) poi ripreso dagli archi. Il clarinetto nella chiave di basso sottolinea il secondo tema, quasi a mettere in evidenza certe ombre che pesano sul paesaggio apparentemente calmo della natura. Infatti riappare sul fortissimo degli ottoni la frase musicale, una specie di leit-motiv, sulla personalità di Manfred. La voce del clarinetto si richiama al tema pastorale e gli archi concludono con accordi filiformi il movimento. Il quarto tempo (Allegro con fuoco) riassume in un’esaltante e travolgente virtuosismo orchestrale le varie sfaccettature dell’intera sinfonia. Ritorna il tema di Manfred espresso dai fagotti e dal clarinetto; l’orchestra descrive con vigorosa plasticità di ritmi la scena del baccanale (un quadro suggerito, si ritiene, da Balakirev e non previsto nel poema di Byron); non manca l’accenno al tema di Astarte cantato dai corni e dagli archi, sul glissando dell’arpa; l’idea fissa di Manfred raggiunge il massimo del parossismo, fino all’intervento in tonalità maggiore dell’organo, in una poderosa cattedrale di suoni; un senso di mestizia avvolge la morte di Manfred.

Riccardo Muti