Luigi Cherubini

Messa dell’Incoronazione

La Messe du Sacre di Luigi Cherubini fu scritta per la consacrazione di Carlo X a re dei francesi. La cerimonia, che avvenne nella cattedrale di Reims il 29 aprile del 1825, fu improntata al massimo sfarzo ed alla più grande solennità; con questo rito, ispirato alla liturgia di consacrazione degli antichi re merovingi, la monarchia francese celebrava di fronte all’intera Europa l’inizio di una nuova fase storica, programmaticamente fondata sulla negazione dei valori liberali e borghesi propugnati dalla Rivoluzione, in nome della restaurazione di un assetto arcaico del paese, che aveva i suoi punti di riferimento nella corte, nella nobiltà, nel clero e nell’esercito.

La Messa di Cherubini fa dunque parte essenziale di una cerimonia intesa a glorificare l’aspetto sacrale del potere regale, in una cornice di fasto e di magnificenza nella quale i simboli di un passato arcaico (Carlo X fu unto con l’olio della sacra ampolla fortunosamente ritrovata dopo la Rivoluzione, antichi marescialli di Napoleone gli offrirono la spada di Carlomagno, Talleyrand gli calzò le pantofole bianche ricamate di fiordalisi d’oro) erano utilizzati come espliciti segnali di una radicale svolta storico-politica.

Il tono espressivo e l’impianto strumentale della Messa risentono evidentemente della particolarissima occasione celebrativa cui l’opera fu destinata.

L’organico vocale prevede un coro di soprani, tenori e bassi (la mancanza dei contralti non potè essere determinata da occasioni pratiche, quanto dal desiderio di richiamare il simbolo della Santissima Trinità); in due episodi.

L’Offertorio Propter veritatem e l’O salutaris hostia, il coro è sostituibile, ad libitum con tre voci sole. L’orchestra prevede, oltre agli archi, un flauto, un ottavino, due oboi, due clarinetti, due fagotti, quattro corni, due trombe, tre tromboni, oficleide (sostituibile con un fagotto), timpani. L’imponenza dello strumentale e soprattutto la tecnica audacissima del trattamento delle singole famiglie strumentali, con l’enfasi del tutto inconsueta conferita ai fiati, la novità della strutturazione del testo sacro in una serie di episodi fortemente
contrastanti, anche se unificati da una lucidissima logica formale, spiegano il senso di meraviglia e di sgomento che l’opera produsse per parecchi decenni sugli ascoltatori, e la larga eco che la sua sontuosa monumentalità di concezione (in molti episodi vicina alla Nona sinfonia o alla stessa Missa solemnis di Beethoven, il quale non a caso considerava Cherubini come il più grande musicista vivente) ebbe sul Guillaume Tell di Rossini, su Meyerbeer, su Berlioz e sul Tannhauser di Wagner.

Caratterizzata da uno straordinario equilibrio di scrittura e da un timbro che possiede, anche nei momenti di maggior enfasi sonora, una luminosa trasparenza, la Messa riesce a fondere la più intensa drammatizzazione soggettiva del testo sacro (così evidente in episodi come l’Incarnatus ed il Crucifixus) e la più estroversa teatralità, in un tono austeramente contemplativo, insieme sereno e grandioso.

Di particolare interesse è il giudizio che Schumann diede nel 1837 della Messa N. 4 in Do maggiore di Cherubini, giudizio questo che vale anche per la Messa dell’Incoronazione: “La si chiami adatta alla chiesa, stranamente meravigliosa o ch’altro si voglia, qualsiasi termine sarà inadeguato a definir l’impressione che il lavoro produce nel suo insieme, ma ancor più nelle singole parti. Talora la musica, mentre sembra risuonar dalle nuvole, ci fa tremare e rabbrividire. Persino quello che si direbbe mondano, bizzarro e quasi teatrale, appartiene come l’incenso al cerimoniale cattolico, che colpisce la fantasia, in modo che si ha innanzi tutta l’imponenza del rito. In quanto ad arte armonica, la Messa sorpassa forse anche il Requiem in Do minore…..”.

La Messa possiede una sorta di appendice strumentale, una Marche religieuse, destinata ad accompagnare Carlo X al momento della comunione.

Riccardo Muti

Berlioz ha lasciato un commento entusiastico di questo brano: “La Marche religieuse rappresenta l’espressione mistica in tutta la sua purezza, in tutta la sua contemplazione ed estasi cattolica. Traspira unicamente amor divino, fede scevra di dubbi, serenità d’animo in presenza del proprio creatore. Nessun suono terreno perviene a turbare la sua calma trascendentale che fa spuntare le lagrime sull’occhio di chi l’ascolta. Ma non lagrime così dolci ch’egli vien trasportato al di là della semplice idea artistica, del ricordo del mondo attuale, e permane quasi ignaro della propria emozione. Se mai la parola sublime trovò un giusto impiego, questo è il caso della Marche religieuse di Cherubini”.