Chopin Fryderyk

Composizioni varie

Registrazione eseguita nel 1972. Audio ottimo. Imperdibile!

Arturo Benedetti Michelangeli interpreta Chopin

“Il pianoforte è il mio alter ego”: questa frase di Chopin potrebbe anche essere dell’artista che ha qui registrato tutta una serie di composizione chopiniane, di Arturo Benedetti Michelangeli. Il suo io, la sua personalità si rivelano così compiutamente nel suo pianismo che la persona privata con tutte le piccole bizzarrie o singolarità cui talvolta si accenna, diventa del tutto indifferente. Nessuno dei grandi pianisti del nostro tempo può a maggior ragione di lui celarsi alla curiosità pubblica: egli si identifica con la sua arte pianistica a tal punto che sembra quasi egli esiti ad esibirsi per timore di svelare troppo di sé. Di Chopin si sa che, al contrario di Liszt, il quale aveva bisogno della grande sala da concerto per esprimersi, suonava preferibilmente in un ambiente intimo, più di fronte ad una “società” che davanti a un “pubblico”, che per lui l’universo sonoro delle sue composizioni era più nitidamente espresso in un salotto che sul palcoscenico.
Dire che per questo egli non fosse un compositore salottiero è lapalissiano, come pure che Arturo Benedetti Michelangeli non è un pianista da salotto. Il termine “salotto” sta qui per quel tratto aristocratico che contraddistingue sia Chopin che il suo interprete, per la loro cultura spirituale, per la loro sensibilità, il loro gusto nobile – per tutto ciò che esclude l'”effetto”, sia pure brillante, ma non (e ciò si potrebbe abbinare ad una parola così spesso equivocata come “salotto”) il grande sentimento, il fuoco, il vigore, la passione. Chi ai pezzi che vengono qui presentati associasse l’aggettivo “femmineo” avrebbe completamente frainteso Chopin.
Con quelle piccole gemme – piccole soltanto nelle dimensioni – che sono le Mazurche, Arturo Benedetti Michelangeli mostra come deve essere capito Chopin. Come un ineguagliato maestro della caratterizzazione nell’ambito della stessa forma, come un lirico romantico che ha nel sangue, eredità della sua origine mista, il tratto cavalleresco francese e il temperamento polacco.
E quale varietà anima questi brani! Dalla fantasticheria si risveglia un’improvvisa voglia di danza, per ricadere subito dopo nel clima trasognato (op. 67,2); un impulso di danza vigoroso, dagli accordi trionfanti, quasi rustico, si scioglie di colpo in un raffinato gioco ornamentale di linee con figure di crome che corona l’una contro l’altra sotto ampie legature (op. 56,2); nell’op. 68, pubblicato postumo, sono abbinati due canti di danza del tipo più diverso – l’incantevole brano giovanile, (n. 2) nel quale l’elegiaco, quasi un po’ capriccioso la minore si spinge “poco più mosso” ad un galante la maggiore (ma anche questo non dura a lungo), e l’ultima composizione chopiniana, dettata sul letto di morte, la Mazurka in fa minore (n. 4) di una malinconia profonda, nella quale il ritmo di danza è solo un pallido ricordo dietro nebulose cortine.

Tutto ciò avviene nell’ambito di una inventiva melodica duttile e affascinante (il che rientra psicologicamente nei criteri di ciò che noi definiamo “di danza” e che, nel caso delle Mazurche chopiniane, ci affascina forse più che la loro origine dal folklore polacco) e un’armonia che a buona ragione è stata definita “cromatismo pretristanico” e che precorre le ricerche sul suono di Debussy.
La scelta dei tre pezzi più ampi operata da Arturo Benedetti Michelangeli – egli si è basato fra l’altro, come per alcune Mazurche, su edizioni da lui ritrovate a Varsavia e autorizzate dal compositore, le quali sono praticamente sconosciute in Occidente e divergono dai testi qui finora pubblicati – mette in luce alcuni tratti fondamentali della natura creativa di Chopin; quello lirico, nel Preludio in do diesis minore, op. 45, pubblicato come brano singolo nel 1841, che lo stesso Chopin apprezzava particolarmente per le sue “belle modulazioni”; quello romantico, con tutte le sue fluttuazioni di stati d’animo, dal fosco-malinconico al sognatore-meditativo, dal sereno-enfatico al selvaggio-drammatico, nella Ballata in sol minore, op. 23, formalmente simile ad un movimento in forma- sonata molto libero e con una coda terminante in una tragica concitazione; quello fantastico, infine, nello Scherzo in si bemolle minore, op. 31, che è un brano di un’arguzia veramente demoniaca.

Arturo Benedetti Michelangeli

Sembra invitare impazientemente, con un brioso valzer, l’ascoltatore alla danza, nel mezzo dello slancio lo mette di fronte a un poetico Intermezzo in la maggiore, “con fuoco” e con ghirlande di bravura lo getta fuori anche da questa atmosfera, ripete con maggiore insistenza l'”invito alla danza”, dopo che il valzer si è di nuovo opulentemente dispiegato, lo incalza con un piacere veramente diabolico fino alla stretta e alla repentina conclusione.
Nel contempo egli porta alla luce anche il “corpo sonoro” del pianoforte con uno splendore sensuale ignoto prima d’allora. Così scrive – suona – soltanto qualcuno per cui il pianoforte è l’alter ego.

K. H. Ruppel
(Traduzione: Mirella Noack-Rofena)