Grieg Edvard

Concerto in La minore op. 16 per pianoforte

Nel 1974 Sviatoslav Richter stava per compiere 60 anni ed entrare nella sua ultima fase eccentrica, durante la quale ha eseguito meno registrazioni in studio e poteva apparire improvvisamente in piccole città dalla Siberia al sud della Francia, generalmente con breve preavviso, improvvisando e scegliendo stanze buie con la sola illuminazione di una lampada da lettura accanto alla tastiera per leggere la partitura davanti ad un pubblico emozionato sia per la presenza di questo istrione sia per l’ambientazione inusuale. Nel 1975 la registrazione dei concerti per piano di Grieg e Schumann rivelano quale genio fosse ancora il pianista . In ogni battuta Richter è così originale che vi sembrerà di non aver mai ascoltato un concerto di Grieg prima. Il suo approccio è molto schietto e chiaro, senza alcun tentativo di virtuosismo. La magia è tutta nel fraseggio, dove Richter è impeccabile, e ovviamente nella padronanza del tono. Lovro von Matacic , la Monte Carlo Orchestra e la National Opera Orchestra seguono le direttive di Richter; la loro collaborazione è eccezionale rendendo difficile ascoltare qualche altra esecuzione di queste due partiture. Registrazione eseguita nel 1975 e rimasterizzazione effettuata nel 1986. Audio ottimo. Imperdibile!!

Il popolarissimo Concerto per pianoforte e orchestra di Edvard Grieg fu composto nel 1868, durante una vacanza nel villaggio danese di Sölleröd, a nord di Copenhagen. In questa città il concerto venne eseguito per la prima volta il 3 aprile 1869 dal pianista Edmund Neupert, a cui la partitura è dedicata. Il Concerto si distingue per la freschezza delle idee musicali e per l’eleganza della orchestrazione, articolata secondo il personalissimo stile di Grieg. Ascoltando questa composizione non si può fare a meno di pensare al grande pianismo di Chopin, Schumann e Liszt, ma ciò non toglie nulla alla personalità creatrice del compositore che sa benissimo come esprimere il proprio mondo interiore.

Sviatoslav Richter

Una dolce serenità melodica caratterizza il primo movimento, ma è soprattutto il tema dell’Adagio, affidato all’orchestra e ripreso con sognante delicatezza chopiniana dal pianoforte, a coinvolgere emotivamente l’ascoltatore con quelle tenerezze timbriche tipiche del lirismo nordico. Il terzo tempo ha una dinamica particolarmente varia ed è concepito con spigliata brillantezza sonora e su ritmi di danza norvegese, di tipo binario e ternario. Liszt, ammiratore di questo Concerto, aveva proposto alcune modifiche nella parte orchestrale, ma successivamente è prevalsa l’edizione originale scritta da Grieg, più equilibrata nel rapporto tra solista e orchestra.

Concerto in la minore per pianoforte e orchestra, op. 54

Il periodo creativo del Concerto in la minore op. 54 di Schumann si colloca tra il 1841 e il 1845, uno dei meno drammatici e tormentati della vita del musicista, che aveva potuto sposare Clara Wieck, pianista di notevole talento e preziosa collaboratrice del genio del marito. Nel 1841 Schumann scrisse l’Allegro per pianoforte e orchestra con il titolo di Fantasia, che sarebbe diventato poco dopo il primo tempo dell’op. 54; successivamente il compositore, su consiglio della stessa Clara entusiasta della freschezza tematica della Fantasia, aggiunse un Intermezzo e un Finale, completando il più romantico dei concerti pianistici di tutta la letteratura musicale. Schumann informò Mendelssohn del lavoro compiuto con una lettera del 18 novembre 1845 da Dresda che diceva: «Il mio Concerto in la minore si divide in allegro affettuoso, andantino e rondò. I due ultimi brani vanno eseguiti senza interruzione; forse lei potrebbe indicarlo nel programma di sala».
Il concerto, dedicato a Hiller, venne presentato per la prima volta a Lipsia nel gennaio 1846 nella interpretazione di Clara Schumann e sotto la direzione d’orchestra di Mendelssohn; quindi fu lo stesso Schumann a dirigerlo a Vienna e a Praga, suscitando maggiori consensi tra il pubblico che non nei critici. Questi ultimi infatti non mancarono di sottolineare lo scarso virtuosismo pianistico presente nel lavoro, contrariamente alla moda concertistica del tempo, sottomessa al cosiddetto gusto decorativo della tastiera. Naturalmente questo giudizio puramente formale si è modificato con il passare degli anni e tutti ormai sono concordi nel considerare il Concerto in la minore tra le espressioni più autentiche della personalità schumanniana per la qualità e la varietà dell’invenzione musicale. Il primo tempo (Allegro affettuoso) è costruito su due temi: il primo affidato ai legni dopo tre battute di scale discendenti del solista e il secondo indicato dai violini, accompagnati dagli accordi arpeggiati del pianoforte. Dallo sviluppo della seconda frase si arriva ad una versione in tono maggiore del primo tema, espressa dal solista e poi ad una nuova variante dello stesso soggetto con le sonorità dei clarinetti; anche l’oboe fa sentire la sua voce, utilizzando frammenti del materiale tematico usato in precedenza e riproposto ancora dal pianista. Di qui si diparte una nuova, melodia avviata dal solista e immersa in un clima psicologico di straordinaria intensità nel dialogo con il clarinetto, per poi sfociare in un esaltante e turbinoso sviluppo, culminante in un’assorta e fantasiosa cadenza di succosa densità armonica scritta dallo stesso Schumann, che si dissolve in una coda di vivace e appassionata musicalità.
Il secondo tempo (Andantino grazioso) è un Lied molto cantabile, nella cui parte centrale i violoncelli svolgono un tema ampio e ricco di affettuosa sentimentalità, ripreso dai clarinetto e dalle viole e continuamente interrotto dai pungenti interventi del pianista. E’ un momento di raccoglimento intimistico, non privo di risonanze beethoveniane. Di straordinario effetto armonico- timbrico è il passaggio all’ultimo tempo (Allegro vivace) con il tema in la maggiore introdotto dal pianoforte, con il secondo tema in mi maggiore spiegato dagli archi e il terzo inciso affidato all’oboe. Il finale irrompe trionfalmente tra brillanti e splendenti sonorità a tutta orchestra, sfocianti in una stretta di vorticosa forza propulsiva, un tipico Schwung (slancio) dell’anima schumanniana, inebriata di amore e di gioia per tutto ciò che di più nobile e generoso esiste nella vita.

Ferdinand Hiller

Altra esecuzione di tutto rispetto. Registrazione in DDD eseguita nel 1981. Audio eccezionale. Altamente raccomandato.

Grieg – Schumann Concerti per pianoforte

Il Concerto in la minore per pianoforte e orchestra di Grieg fu composto nel 1868 ed eseguito per la prima volta il 3 aprile 1869 a Copenhagen.
Quando fu presentato in Germania, ebbe in un primo tempo giudizi prevalentemente negativi; il critico musicale di Lipsia Eduard Bernsdorf lo definì “con la sua fattura frammentaria e del suo intricato “scandinavismo” mescolato a Schumann e Chopin…… un pezzo infelice e non gradevole”.
La risonanza che il Concerto ha avuto nel corso di ormai cento anni ha smentito questo verdetto, infatti questo pezzo è indubbiamente uno dei Concerti per pianoforte del Romanticismo che godono oggi di maggiore popolarità.
Anche la critica ripetutamente espressa, che Grieg si è orientato dal punto di vista formale al Concerto di Schumann (soprattutto nel primo movimento), non ha avuto alcuna ripercussione sul favore del pubblico.
In effetti Grieg non intendeva confrontarsi con problemi formali generali o dare priorità all’elaborazione tematica e motivica.

Chystian Zimerman

Pur tuttavia questo Concerto ha un suo fascino, originato dalla coincidenza di diversi fattori: dapprima le figure melodiche ingegnose ed orecchiabili, con una spiccata preferenza per le brevi frasi, che vengono frequentemente ripetute e presentate in sequenza; quindi le armonie raffinate e colorite, dove si può rilevare il chiaro influsso della scuola neotedesca; infine alcuni dettagli stilistici carpiti dal folclore norvegese, come la nota sensibile che salta nella quinta, come i passaggi modali, i bassi sul tipo del bordone, il ritmo del movimento conclusivo, che Grieg trae da un vivace tipo di danza norvegese.
Non bisogna naturalmente dimenticare che anche la parte solistica, di grande effetto, contribuisce considerevolmente a rendere popolare questo Concerto. La parte pianistica è complessivamente più vincolata a Listz che a Chopin: per esempio la cadenza del primo movimento con la sua virtuosistica elaborazione del tema principale non sarebbe pensabile senza le nuove conquiste lisztiane. Pur tra i molteplici influssi che si possono ravvisare in quest’opera, sarebbe errato definire per questo Grieg come un eclettico: anche se non mancano le critiche, non si può certo contestare a questo Concerto una propria individualità di fisionomia.
Schumann scrisse il suo Concerto per pianoforte e orchestra sulla base di una “Fantasia” in la minore in un unico movimento composta quattro anni prima (nel 1841), cui aggiunse altri due movimenti.
La prima esecuzione assoluta ebbe luogo a Dresda il 4 dicembre 1845; al pianoforte suonava Clara Schumann, il direttore era Ferdinand Hiller. In questo Concerto Schumann si distacca intenzionalmente da quel tipo di concerto virtuosistico allora in voga, il cui unico scopo era quello di permettere al solista di far mostra di sé, mentre la parte dell’orchestra veniva degradata ad una funzione di sfondo.
Schumann si rifece piuttosto a quella specifica forma di concerto che era stata sviluppata dai Classici Viennesi e che nella sua dialettica doveva dimostrarsi ricca di future possibilità.
In questo Concerto tuttavia si può sentire ovunque la mano del romantico Schumann. Così l’idea principale del movimento iniziale fa sentire le sue tracce nella conformazione tematica dei movimenti successivi, con minore evidenza nell’intermezzo, ma con chiarezza tanto maggiore nel Finale (inizio sulla terza, movimento per gradi ascendenti, salto d’ottava); questo elemento compositivo inteso a generare un legame formale, si incontra anche nella musica sinfonica. Si può considerare come caratteristica dello stile schumanniano quella tecnica compositiva di sviluppo che è tipica della fantasia e che sta pressappoco a mezzo tra la tecnica beethoveniana dell’elaborazione analitica ed il libero
impianto rapsodico di Liszt.
Tale tecnica è riconoscibile ad esempio nella sezione di sviluppo del primo movimento. La venerazione di Schumann per Johann Sebastian Bach ha lasciato le sue tracce anche in questa composizione e ci riferiamo non solo a certe figure che compaiono nella cadenza del primo movimento, ma piuttosto alle numerose parti costruite polifonicamente, alle imitazioni e alle strette che mostrano appunto anche qui il magistero compositivo di Schumann, spesso poco considerato a causa del grande fascino esercitato dal suo melos romantico. Così questo Concerto si innalza al di sopra di numerose composizioni della medesima epoca.

Norbert Christen

(Traduzione: Gabriele Cervone)

Concerto in la minore per pianoforte e orchestra, op. 54

“Quanto al concerto, ti ho già detto che si tratta di un qualcosa a metà tra sinfonia, concerto e grande sonata. Mi rendo conto che non posso scrivere un concerto da ‘virtuoso’ e che devo mirare a qualcos’altro”. Questo brano di una lettera del 1839 a Clara Wieck testimonia quali fossero le intenzioni del compositore nei riguardi di un’idea (un “grande” concerto per pianoforte e orchestra) che già da qualche tempo lo attraeva. Pur giunto alla sua piena maturità, dopo prove sensazionali nel trattamento del pianoforte, Schumann esitò a lungo prima di dare corso al suo progetto; tanto che per scrivere quello che sarebbe diventato uno dei più celebri concerti di tutto l’Ottocento gli sarebbero occorsi ben cinque anni: dal 1841, cui risale il primo movimento, al 1845, per il secondo e il terzo.
Il Concerto in la minore è una delle opere più dense di Schumann, il tentativo più ardito di fondere in una singola composizione tutte le suggestioni e le ansie espressive che lo assillavano di fronte a una creazione di vaste proporzioni, costretta a confrontarsi con la tradizione classica. Più che proseguire quella tradizione, però, si avverte la volontà di superarla e di trascenderla, in una immaginazione che non si impone limiti ben definiti. La caratteristica di ‘unicum’ che il Concerto riveste nella letteratura del suo genere è programmatica, e deriva in gran parte proprio da questo accavallarsi di intenzioni che ne permea la struttura e ne esaspera le tensioni, quasi evitando la risoluzione formale. E d’altro canto recensendo nel 1839 il Concerto op. 40 di Mendelssohn sulla “Neue Zeitschrift für Musik” Schumann aveva scritto: “Dobbiamo aspettare di buon grado il genio che ci mostri in modo brillante come si possa unire l’orchestra al pianoforte”, sottintendendo qualcosa di diverso dai modelli della tradizione. Lo avrebbe dimostrato lui stesso. La scrittura pianistica del Concerto, per esempio, che in un virtuosismo ad alta definizione amplifica le possibilità tecniche ed espressive già inventate e utilizzate prima, tende ad accentrare su di sé il peso del dialogo con l’orchestra, e se mai a distenderlo per converso in rarefatti equilibri, nello spirito di una feconda, reciproca libertà.

Edvar Grieg

D’altra parte, tutto il Concerto è anche dominato da un calore che ci rimanda allo stile dello Schumann più estroverso, in un impeto appassionato che si dispone, in sbalzi vertiginosi di umori, su una vasta gamma di gradazioni e che non è certo alieno da svagati ripiegamenti e da sospensioni poetiche.
Il primo movimento, Allegro affettuoso, si apre, dopo la strappata di tutta l’orchestra, con una scrosciante cascata di accordi del pianoforte solo, un gesto imperioso che sembra volere concentrare su di sé il carico di una brillante presentazione. Ma non è sulla via del contrappunto tra pianoforte e orchestra che si svilupperà il percorso del Concerto. Anche sul piano formale il secondo tema deriva dal primo e ne è per così dire uno svolgimento governato dalla dialettica fra modo minore e relativo maggiore.
Questo monotematismo latente impedisce una vera e propria sezione centrale di sviluppo basata sul contrasto, e tende invece a configurare, in un gioco di mutamenti e di scambi fra solista e orchestra, un processo di elaborazione simile a quello delle variazioni. Nel bel mezzo di questo processo s’inserisce una sorta di ‘intermezzo’ in tempo Andante espressivo e nella tonalità di la bemolle maggiore, nel quale si innesta il dialogo fra pianoforte e orchestra, particolarmente con i due flauti e il clarinetto; generalmente il pianoforte accompagna l’arco melodico con arpeggi, secondo una tecnica che conferisce all’insieme una continua mutevolezza di armonie e di colori. Bruscamente le ottave del solista riportano al tempo e alla tonalità iniziali, cui seguono la ripresa (Più animato, passionato), una estesa cadenza interamente scritta, e una coda (Allegro molto) nuovamente basata sull’idea primaria.
L’Intermezzo, Andantino grazioso in fa maggiore, è avvolto in un’atmosfera di delicata intimità, in cui il pianoforte si sprofonda dialogando sommessamente con l’orchestra. Quando dai violoncelli si innalza un canto spiegato che a poco a poco si propaga a tutta l’orchestra, il pianoforte da solo si sottrae a questa nuova idea tematica, quasi proseguendo a parte un suo corso di pensieri. Ed è proprio il pianoforte che conduce, attraverso un passaggio di straordinaria successione armonica e timbrica, all’ultimo tempo, Allegro vivace, che presenta un materiale tematico affine a quello del primo. Qui viene però presentato un secondo soggetto distinto, e una grande varietà ritmica lo contraddistingue nei suoi sviluppi. Ancora audaci figure del pianoforte concludono il Concerto, che nella coda finale può ora slanciarsi liberamente a toccare traguardi schiettamente virtuosistici, assecondato dall’orchestra.
Il Concerto fu eseguito per la prima volta da Clara Wieck a Dresda il 4 dicembre 1845 sotto la direzione di Ferdinand Hiller.

Clara Wieck