Franz Joseph Haydn

La Creazione

Premetto che questa registrazione già l’avevo acquistata in vinile quando ero giovane ma la trasposizione in CD è stata una rivelazione per l’eccellente resa acustica e per la potenza e purezza del suono. Devo ammettere la mia affinità nei confronti di Herbert von Karajan come conduttore, nonostante le diverse ingiustizie attribuite alla sua personalità irremovibile. La brillantezza e la profonda religiosità che trasmette questa incisione del 1969, con un giovane Karajan che aveva da pochi anni preso nelle sue mani le redini della BPO e dalla quale era stato nominato direttore stabile a vita, è strabiliante. Le interpretazioni della soprano Gundula Janowitz, dei tenori Fritz Wunderlich e Werner Krenn, del baritono Dietrich Fischer-Dieskau, del Coro Wiener Singverein e dei mitici Berliner Philharmoniker di quegli anni sono eccezionali. Imponente il finale a cui segue una fuga per soli, coro e orchestra magnifica. Ritengo “La Creazione” degna erede del “Messia” di Handel, solo per fornirvi qualche spunto. Sovente ascolto oratori, ma questa musica è talmente bella che mi ha colpito profondamente. Audio eccezionale. Registrazioni eseguite dal 1966 al 1969 e rimasterizzazione effettuata nel 1997. imperdibile!!

“E la luce fu”: la “Creazione” di Haydn con Herbert von Karajan

Herbert von Karajan fu un direttore che non solo sapeva creare atmosfere suggestive, ma sapeva anche agire con suprema autorevolezza. Oltre alla capacità di valorizzare proporzioni ed equilibri musicali, possedeva anche quella di dispiegare un sommo talento organizzativo. Come pochi altri della sua generazione Karajan aveva una straordinaria abilità nella predisposizione di strutture timbriche dalla forte carica emotiva.
Dotato di un sesto senso per tempi e misure, amava l’organizzazione, anche applicata alle questioni più banali, come le date e la durata delle sue registrazioni.
Se per esempio acconsentiva a rispondere alle domande di un intervistatore, era lui stesso a stabilire non soltanto i temi da trattare, ma anche la durata delle risposte. Ed esperienze del genere sono anche capitate a me: trascorso il tempo concordato – non importava se un quarto d’ora o tre quarti d’ora – metteva fine alla conversazione esattamente all’ora prevista, senza gettare il minimo sguardo sul suo orologio da polso, che peraltro si trovava non nel lato esterno, ma in quello interno del suo avambraccio.
Karajan sapeva sfruttare con il suo preciso senso dell’organizzazione ogni minuto della sua lunga giornata lavorativa.
Momenti di inattività o riposo non esistevano quasi mai per lui, e se c’erano erano programmati con assoluta esattezza.
Nel suo “lavoro” – così si può senz’altro definire la sua attività direttoriale – non c’era spazio per quanto non fosse stato predisposto in precedenza.
Persino la mezz’ora di macchina tra il suo albergo berlinese e gli studi di registrazione (preferibilmente a Dahlem, nella Jesus Christus-Kirche) era utilizzata per colloqui di lavoro.
Una volta, durante un viaggio del genere discussi con lui il progetto di un libro e ci accordammo di continuare le trattative sui vari dettagli in tempi successivi. Per lui tutto doveva procedere nell’ordine previsto.
Assai indicative delle doti organizzative di Karajan furono le sedute di registrazione della Creazione di Franz Joseph Haydn.
Alla fine del febbraio 1966 ebbe luogo la registrazione della Missa solemnis di Beethoven.
Il Singverein di Vienna era venuto appositamente a Berlino: perché non approfittare dell’occasione e registrare anche i numeri corali della Creazione? Nel verbale di questa registrazione DG si può leggere dunque che dal 23 al 28 febbraio 1966 – una volta per un’ora, poi per due ore – furono frapposte alle registrazioni della Missa solemnis anche le registrazioni preliminari con coro e
orchestra dell’Oratorio di Haydn.

Herbert von Karajan

Tra il marzo 1966 e l’agosto 1968 non si ebbero però altre registrazioni, che furono poi riprese tra il 26 e il 30 settembre di quell’anno per due o tre ore quasi ogni giorno. Il 21 novembre 1968 fu la volta di un’incisione sincronizzata del coro a Vienna e il 29 aprile 1969 di registrazioni supplementari.
Mancavano soltanto le operazioni di taglio e la revisione finale, terminate infine il 13 maggio di quell’anno. La pausa prolungata tra il 1966 e il 1968 fu dovuta alla tragica morte per incidente del tenore Fritz Wunderlich, il 17 settembre 1966. Fu necessario un po’ di tempo per trovare un tenore al quale affidare i recitativi e i numeri d’insieme che ancora mancavano.
La scelta cadde su Werner Krenn. Timbricamente Krenn si avvicinava a Wunderlich, e questo era un fattore assai importante, dal momento che Wunderlich non aveva registrato i suoi brani così come si succedono nella composizione, ma ne aveva scelto sette da varie parti dell’Oratorio; aveva però cantato l’importante parte iniziale, e cioè il recitativo di Uriele dopo l’imponente introduzione con l’audace e mirabile passaggio “Und Gott sah das Licht”, splendidamente rilevato da Karajan, e l’aria seguente “Nun schwanden vor dem heiligen Strahle”.
A Gundula Janowitz furono affidate le due parti di soprano e cioè Gabriele e Eva, mentre le parti baritonali (Raffaele e Adamo) furono divise. Per l’occasione si poteva disporre di Walter Berry e Dietrich Fischer-Dieskau: era veramente un gran lusso poter impegnare due voci tanto celebri e incisive per un Oratorio che in genere era cantato da un’unica voce di baritono.
Inoltre, nel quartetto dei solisti nel coro finale si rendeva necessaria anche una voce di contralto, per la quale la scelta cadde nientemeno che su Christa Ludwig.
Già allora fu un’impresa di non poco conto quella di impegnare in tempi circoscritti solisti tanto celebri e un coro e un’orchestra altrettanto illustri. Alla fine fu però merito di Karajan, che seppe saldare organicamente tutto l’insieme, se all’ascolto di questa Creazione i diversi tempi di registrazione non si avvertono come fattore negativo.
Karajan ha saputo qui realizzare quell’interazione a lui assai congeniale di raffinatezza e spontaneità, imprescindibile premessa di un’ideale interpretazione di quest’Oratorio, che dalla rappresentazione orchestrale del caos, condotta sulla base di crude dissonanze, fino al coronamento della doppia fuga del coro finale (“Des Herren Ruhm, er bleibt in Ewigkeit!”) evoca con straordinaria plasticità l’immagine della creazione degli animali e degli esseri umani (Adamo e Eva) e alla fine la sintetizza idealmente e musicalmente nella suggestiva omofonia di “er bleibt in Ewigkeit”.
Haydn aveva ricevuto il primo stimolo alla composizione della Creazione durante il suo soggiorno in Inghilterra, quando gli fu consegnato un testo – destinato originariamente a Handel – del compositore Linley (o Lidley), a sua volta basato sul Paradiso perduto di Milton.
E in una delle prime esecuzioni della sua Creazione Haydn confessò poi: “Non sono mai stato tanto devoto come nel periodo in cui ho lavorato alla Creazione; ogni giorno cadevo in ginocchio e pregavo Iddio che mi concedesse la forza di portare felicemente a compimento l’opera”.

Wolf-Eberhard von Lewinski (Traduzione: Gabriele Cervone)

Altra pubblicazione di tutto rispetto. Registrazione live eseguita nel 1987.

Franz Joseph Haydn: “La Creazione” – di Hans-Gunter Klein

Quando Joseph Haydn, ai primi di settembre del 1795, fece ritorno a Vienna dopo il suo secondo viaggio in Inghilterra, aveva con sé nel bagaglio anche il libretto d’un Oratorio, regalatogli da Johann Peter Salomon, il suo agente di concerti di Londra.
Salomon sperava che Haydn lo mettesse in musica e ritornasse poi a Londra con l’opera compiuta: con un nuovo Oratorio, un genere assai popolare in Inghilterra, il compositore avrebbe potuto riscuotere forse successi ancora maggiori di quelli che vi aveva ottenuto con le Sinfonie.
Era un progetto che avrebbe potuto tradursi senz’altro in realtà; infatti a Londra Haydn aveva avuto modo di assistere ad esecuzioni di Oratori di Handel, e questo diretto contatto con quell’ininterrotta tradizione musicale l’aveva profondamente impressionato.
Il libretto che gli era stato regalato da Salomon era però in inglese, una lingua di cui Haydn aveva solo una conoscenza assai imperfetta; per questo il compositore in un primo tempo non si occupò di questo progetto.
Ma a Vienna intervennero poi due circostanze a far sì che Haydn tornasse ad interessarsi di questo libretto.
Da una parte il grande successo riscosso dalle sue “Ultime sette parole del Redentore”, nella versione vocale da lui approntata nell’inverno 1795/96; dall’altra i tentativi compiuti dal bibliotecario di corte Gottfried van Swieten (1734 – 1803), che cercava di introdurre Haydn a comporre un Oratorio.
Van Swieten, che aveva un ruolo di primaria importanza nella vita musicale viennese di quei tempi, si offrì di scrivere il libretto di questo Oratorio, e promise inoltre che avrebbe provveduto a farlo eseguire e a far ricompensare il compositore con una somma considerevole. Così Haydn gli consegnò il libretto che aveva portato con sé dall’Inghilterra: van Swieten lo tradusse, lo rielaborò e gli dette il titolo “Die Schopfung” (La Creazione).
L’originale inglese del libretto è andato perduto, e il suo autore è rimasto sconosciuto. Lo stesso Haydn durante una conversazione fece a riguardo il nome di Lidley, dietro il quale si cela forse Thomas Linley sen. (1733 – 1795). Ma non si tratterebbe allora dell’autore del libretto, bensì di colui che aveva fatto da mediatore. Linley era infatti co-direttore del Drury Lane Theatre, dove erano pure conservati tanti manoscritti già di proprietà di Handel; tra questi si trova forse anche il libretto in questione, giacché era stato destinato a Handel che però non l’aveva messo in musica.
Oppure l’interlocutore di Haydn ha interpretato male il nome, tanto più che il compositore l’avrà pronunciato in maniera erronea; e dietro questo nome potrebbe allora celarsi Mary Delany (1700 – 1788), che aveva scritto per Handel un libretto d’Oratorio tratto da “Paradise lost” (Paradiso perduto), di John Milton. Le ipotesi sono tante, e la questione della paternità dell’originale librettistico inglese non può che rimanere aperta.
Haydn cominciò a mettere in musica il testo, nella versione tedesca di van Swieten, quando non era ancora finito l’anno 1796. Non appena la composizione fu compiuta, van Swieten ne organizzò anche la prima esecuzione nella “Gesellschaft der Associierten” (Società degli Associati) di Vienna.
Questa era costituita da un gruppo di nobili che nelle loro case davano concerti privati; in tali occasioni avevano già fatto eseguire Oratori di Handel nelle rielaborazioni che ne aveva compiuto Mozart.
Gli aristocratici della “Società” provvidero anche al pagamento dell’onorario promesso a Haydn; egli ricevette infatti la considerevole somma di 500 ducati, equivalente a 2.250 fiorini – si può avere un’idea dell’entità di questa somma se si pensa che per esempio la paga mensile di un carpentiere era di 10 fiorini.
Il palazzo Schwarzenberg ospitò il 29 aprile 1798 la prova generale della “Creazione” dinanzi ad un pubblico di invitati, e il giorno seguente vi ebbe luogo la “prima”. Nel maggio successivo l’Oratorio fu eseguito ancora due volte nella medesima cornice. La prima esecuzione pubblica si ebbe infine il 19 marzo 1799. In ogni sua esecuzione “La Creazione” riscosse un successo travolgente.

Il testo

Così come lo possiamo leggere nella versione di Gottfried van Swieten, il testo della “Creazione” tradisce tre fonti diverse. La scarna narrazione dei singoli giorni della creazione è tratta dall’inizio della Genesi, dal primo libro di Mosé. La tecnica di riprendere quasi alla lettera il testo biblico quando si trattava di narrare i singoli momenti dell’atto della creazione, rimaneva nel solco di quella tradizione che era stata già del “Messia” di Handel e delle Passioni di Bach, e alla quale van Swieten si era anche rifatto quando aveva introdotto nel suo testo la figura di un unico narratore, in questo caso “un angelo” non altrimenti specificato (come si può rilevare nel suo originale manoscritto).
Solo in seguito questa parte del narratore fu per così dire smembrata e suddivisa fra tre angeli indicati per nome.
Haydn compone queste parti in recitativo secco, in conformità ai modelli. Le sezioni in cui vengono illustrate le diverse situazioni sono invece nello stile del recitativo accompagnato.
I testi di quest’ultime sezioni, come quelli delle arie, si ispirano fin nelle singole espressioni al “Paradiso perduto” di Milton. I cori invece fanno chiaro riferimento al testo di Salmi biblici. Infine, i recitativi e arie della terza parte dell’Oratorio sono in sostanza delle libere invenzioni poetiche.
I rapporti fra il libretto della “Creazione” e l’epopea di Milton, compiuta nel 1665, sono stati a volte sopravvalutati. La seconda metà del secolo 18o aveva visto in Geremia un rinnovato interesse per Milton, e tra i passi più popolari e più tradotti del “Paradiso perduto” c’erano proprio quelli ripresi dal testo di van Swieten. Qui tuttavia gli assunti concettuali e le idee religiose risultano assai differenti che in Milton.
Se l’epopea del poeta inglese è incentrata sulla lotta tra il bene e il male, sul peccato originale e la colpa ereditata dal genere umano, nel testo di van Swieten non c’è traccia di tutto ciò. Così nella sua terza parte viene raffigurata la felicità del paradiso, l’esistenza vi è celebrata nei suoi aspetti gioiosi e festosi: “Ogni istante è una gioia…… con te ogni gioia s’accresce, con te posso goderne doppiamente “, cantano Adamo ed Eva (n. 30).
L’ultimo recitativo di Uriele “O coppia felice” (n. 31) non è una larvata concessione alla teologia dogmatica, ma è piuttosto un rifiuto della medesima, infatti il peccato originale cui si fa qui allusione è visto solo come una forma possibile dell’agire umano; l’accenno alla libertà di decisione della coppia dei progenitori sembra quasi indicare che nell’ermeneutica teologica si è introdotto un elemento kantiano.
C’è qui lo spirito dell’Illuminismo, che lascia la sua impronta anche sui versi in cui è raffigurato il primo uomo: “pieno di dignità e nobiltà……” (n. 24). E si rimarrebbe strettamente aderenti al senso espresso in questi versi se si continuasse: “…… dotato di bellezza, vigore, ragione” (dove il testo dice: “coraggio”).

La creazione di Adamo

Poi si legge: “eretto verso il cielo, ecco qui l’uomo”, che non sta dunque umilmente inginocchiato al suolo. Viene in tal modo celebrato l’uomo cosciente e padrone di sé, che può intendere se stesso come una riconoscente creatura di Dio, ma che dalla consapevolezza di essere fatto a Sua immagine e somiglianza trae in fondo la coscienza della propria autonoma responsabilità.
Pervasa di spirito illuministico è anche la reinterpretazione in chiave naturalistica della caduta degli “spiriti infernali”, che Milton intendeva come un conflitto metafisico; nell’Oratorio invece il male è bandito dal mondo con la creazione della luce (n. 3).
Nel “raggio divino” si avverte un’eco di quella concezione metaforica della luce, così significativa nel pensiero filosofico del Settecento, che era stata avviata nel secolo precedente da Leibniz il quale a sua volta l’aveva mutuata dal neoplatonismo.
La luce era considerata simbolo della ragione, il cui trionfo era visto come un segno di quella volontà divina espressa nel “fiat lux” biblico. Che questo trionfo venisse considerato come un atto irreversibile, risponde in pieno allo spirito ottimistico dell’Illuminismo: il nuovo mondo sorge dalla parola divina quale eterno stato paradisiaco.
Quest’idea rimane una delle più grandiose visioni dell’Illuminismo, e in un secolo come il nostro, sconvolto da due guerre mondiali, che vede l’umanità sempre più minacciata, ha acquistato rinnovato vigore e validità.

Struttura globale della “Creazione”

Nella prima e seconda parte dell’Oratorio v’è la rappresentazione di sei giorni della creazione. Nella terza parte è raffigurata invece la felicità dell’eden; quest’ultima parte consta essenzialmente di due ampi duetti fra Adamo ed Eva. Il racconto della creazione è disposto in modo che nella prima parte dell’Oratorio si fa la narrazione dei primi quattro giorni, nella seconda parte invece del quinto e sesto. Sia il librettista che il compositore hanno chiaramente cercato di dare una certa stringatezza e pregnanza alla prima parte, presentando nei singoli numeri musicali gli eventi in una veste relativamente fitta e serrata, anche perché nel racconto dei singoli giorni non si creasse l’impressione di un certo schematismo.
Mentre la rappresentazione del primo giorno ha quasi carattere di preludio e si distingue per la sua straordinaria originalità, per ciò che riguarda gli altri giorni della creazione la narrazione procede in linea di massima secondo il modulo seguente: alle parole della Bibbia segue un’aria, quindi l’ultima parte della narrazione è in stile recitativo; a concludere trionfalmente l’episodio il coro degli angeli intona infine un canto di lode a Dio.
Il racconto del terzo, quinto e sesto giorno sono divisi in due parti, corrispondentemente al testo biblico: nel terzo giorno si fa dapprima menzione del mare e dei fiumi, e quindi delle erbe e degli alberi; nel quinto giorno la creazione degli uccelli e dei pesci è narrata separatamente, così come quelle degli animali e dell’uomo al sesto.
Poiché nella narrazione del secondo giorno (con la creazione del cielo) e del quarto (con la creazione della luce celeste) al posto dell’aria c’è un recitativo accompagnato (seconda parte del n. 4 e il n. 13), la prima parte assume una configurazione relativamente serrata. Invece nella seconda parte non si può negare una certa tendenza alla prolissità: è vero che anche qui al posto d’un’aria (sui pesci) c’è un breve recitativo accompagnato (n. 17); d’altra parte però ai cori conclusivi del quinto e sesto giorno (n. 19 e n. 26) si aggiungono i terzetti dei solisti, e poi tra le parole del racconto biblico e l’aria sulla creazione degli animali è inserito un ampio recitativo accompagnato (n. 21).

L’assunto descrittivo nella “rappresentazione del caos”

Il recitativo n. 21 “Gleich offnet sich der Erde Schob”, che è come un’introduzione alla successiva aria di Raffaele, è uno dei brani più famosi della “Creazione” – anche se la sua è anche una “cattiva” fama.
Non solo van Swieten, ma anche Haydn avevano una certa predilezione per gli effetti descrittivi: nel loro Oratorio essi hanno mostrato abbastanza spesso tale predilezione, e per questo sono stati spesso anche criticati. All’ascoltatore di oggi l’enunciazione dei singoli animali, preceduta ogni volta dalla loro “rappresentazione” musicale, può apparire un po’ ingenua. Forse, nell’adottare tale tecnica illustrativa Haydn si è mostrato troppo arrendevole ai desideri del suo librettista, sebbene egli stesso disponesse di tecniche di descrizione musicale molto più differenziate e anche assai più sofisticate. Abbiamo qui un aspetto di incidenza determinante nella musica della “Creazione”, ma rimane perlopiù integrato nei rispettivi ambiti espressivi o impiegato in modo tale che un effetto illustrativo, pur informando di sé la musica, non si rivela però espressamente come un “effetto”.
Fra tutte le parti di tipo illustrativo della “Creazione”, quella più significativa è l’introduzione, la “rappresentazione del caos”, che è forse il brano descrittivo più ingegnoso di tutta la letteratura musicale. Gli schizzi rimasti dimostrano come questa musica creasse grandi difficoltà a Haydn. La raffigurazione di uno stato di “disordine” per mezzo di un linguaggio artistico, basato dunque su istanze costruttive in certo senso “ordinate”, deve essere stata già in sé un problema sostanziale per un compositore come Haydn che aveva contribuito in modo così rilevante agli sviluppi di questi principi linguistici “ordinati”, per la significativa parte da lui avuta nella definizione dello stile classico viennese.
La soluzione compositiva adottata da Haydn è stata di infrangere per così dire le norme del proprio dettato stilistico: qui egli evita infatti strutture periodiche, configurazioni melodiche unitarie, corrispondenze ritmiche, cesure e soprattutto un linguaggio armonico di tipo funzionale articolato da cadenze.
Nelle 59 battute della “rappresentazione del caos” il fattore d’integrazione unitaria è dato dall’adozione di procedimenti musicali anomali: regolari cadenze “d’inganno”, accordi di settima diminuita sviluppati in modo non ortodosso, risoluzione di dissonanze in altre dissonanze, sono qui i moduli linguistici che rendono l’idea del “caos”.
La tonalità fondamentale di do maggiore viene raggiunta nella sua forma piena e integra attraverso una cadenza solo alla fine, nella penultima battuta. Nel corso del brano viene sfiorata la tonalità di re bemolle maggiore, anzi la nota di re bemolle viene mantenuta nel basso per quattro battute consecutive come un pedale; ma la struttura armonica delle voci superiori non consente all’ascoltatore di sentire il re bemolle come punto fisso di riferimento tonale.
Vengono sfiorate anche altre tonalità, che risuonano però con la quinta in basso, sì che viene evitata una salda definizione tonale. Questi effetti armonici “vaganti” sono ulteriormente sottolineati dall’istrumentazione, che per il modo in cui riesce a creare colori sbiaditi e a rendere un’immagine di vuoto e disordine, si pone come un autentico saggio della grande maestria di Haydn. Quest’arte di caratterizzazione si mostra chiaramente in tutta la sua pienezza e grandezza solo se si considerano quest’introduzione e il recitativo e coro che seguono come un tutt’uno.

E ciò non tanto per i motivi legati alla tematica del “caos”, che risuonano ancora nel recitativo di Raffaele, e neanche per l’interpretazione programmatica che il testo di questo recitativo dà a posteriori della musica dell’introduzione; ma per i principi di “ordine” costruttivo che presiedono ora alla composizione, e per il grandioso momento d’irruzione della luce (nella tonalità di do maggiore) – un episodio semplice e al tempo stesso d’effetto travolgente, che sta a testimoniare la grande sensibilità artistica di Haydn. Qui la luce irrompe nel “caos”, gli dà una forma ordinata e ne fa comprendere la natura.
Rispetto alla musica del “caos”, quella legata all’irrompere della luce risuona tanto più grandiosa, e a sua volta la musica del “caos” acquista a posteriori rispetto a quella della luce un rilievo ancor più comprensibile. Un’intensificazione luminosa introduce poi l’improvvisa irruzione della tonalità di la maggiore all’inizio del numero seguente: è la tonalità che per Wagner – si pensi al mondo del Graal nel “Lohengrin” – sarà pure simbolo di luce.
In questo passo di Haydn la tonalità di la maggiore simboleggia “il raggio divino” che fa sorgere un “nuovo mondo”: è come un emblema della luce persino quelle della ragione che fa sorgere ed intendere il nuovo mondo secondo le proprie istanze.

Dal secondo al sesto giorno della creazione

Il secondo giorno (nn. 4 e 5). Nel recitativo accompagnato “Und Gott machte das Firmament” (n. 4) la creazione di tempeste, pioggia e neve viene brevemente delineata nei passi musicali che precedono immediatamente le ripetitive parole del testo.
L’analogia di toni espressivi e la stretta correlazione fra le tonalità conferiscono alla musica di questo recitativo un carattere relativamente conchiuso ed unitario. E alla fine il recitativo accompagnato sembra riprendere di nuovo quella dizione di recitativo secco che era stata propria delle battute iniziali.
In conformità alla tipologia classica, a questo recitativo introduttivo segue immediatamente il brano corale “Mit Staunen sieht das Wunderwerk” (n. 5) che, nonostante la sua brevità, presenta una compiuta forma tripartita e che nella sua parte iniziale, affidata al soprano solista, ha tutto l’aspetto.
Il terzo giorno (nn. 6-11). Nella sua giustapposizione di elementi costruttivi diversi, l’aria di Raffaele “Rollend in schaumenden Wellen” (n. 7) rivela una grande sapienza e abilità compositiva.
In base alle sue tonalità (re minore, fa maggiore, re maggiore) quest’aria si può articolare in tre parti, ma la cesura che precede la parte in re maggiore è così sensibile che nel complesso ne nasce piuttosto l’impressione di una bipartizione. La parte in fa maggiore infine è suddivisa in due sezioni, corrispondentemente alle due immagini del testo (rocce – fiumi). Quindi nella parte in re maggiore (“Leise rauschend……”), nella configurazione melodica da lui data alla voce solista Haydn riprende la dizione tranquilla della sezione precedente, là dove si fa cenno allo scorrere del fiume; in tal modo viene evitata una univoca costruzione formale.

Leonard Bernstein

Nell’aria di Gabriele “Nun beut die Flur das frische Grun” (n. 9) Haydn adotta un tipo compositivo di “siciliana” d’ascendenza handeliana, e impiegato spesso per rendere atmosfere pastorali. Di spirito handeliano è anche il coro conclusivo “Stimmt an die saiten” (n. 11), anche se nell’istrumentazione Haydn si è rifatto al modello “più moderno”, e cioè alla rielaborazione del “Messia” compiuta da Mozart che egli sicuramente conosceva.
Il quarto giorno (nn. 12-14). Il recitativo accompagnato “In vollem Glanze (n. 13) inizia con la descrizione – divenuta famosa – del sorgere del sole, che si spazia per dieci battute. Più interessante da un punto di vista compositivo è la sezione intermedia, là dove si fa menzione della luna. Alla sua luce smorzata

corrisponde una musica dalla dinamica ridotta: pianissimo per gli strumenti, mezza voce per il cantante.
Come si può desumere dalla linea ascendente del basso, viene qui raffigurato il levarsi della luna – un modulo parallelo dunque a quello adottato per il sorgere del sole. Il colore particolare di questa sezione “lunare” viene creato però dal registro grave dei contrabbassi che raddoppiano i violoncelli all’ottava inferiore; ne risulta una suggestiva immagine dello “scivolare” della luna.
“Die Himmel erzahlen die Ehre Gottes” (n. 14), nella forma di un breve e libero rondò con un’imponente fuga conclusiva, può essere considerato come il più celebre coro della “Creazione”.
La tecnica di progressiva intensificazione che lo caratterizza – da rilevare tra l’altro l’alternanza di solisti e strumenti (“Keiner Zunge fremd”), punti coronati e una pausa generale – appare come un’anticipazione del linguaggio beethoveniano.
Il quinto giorno (nn. 15 – 19). L’aria di Gabriele “Auf starkem Fittiche” (n. 16), dedicata agli uccelli, presenta evidenti effetti descrittivi, tratti per così dire dalla “natura” stessa.
Come indicano gli schizzi, questa è stata concepita fin dall’inizio come un’aria di coloratura; tale corrispondenza stilistica è evidente soprattutto nella sua seconda parte, dedicata agli usignoli. A conclusione Haydn riprende ancora una volta il motivo iniziale, quasi rifacendosi per via allusiva all’antica forma dell’aria col da capo.
Per il passo di risonanza mistica “Seid fruchtbar alle, mehret euch” (n. 17), Haydn sceglie un organico strumentale estremamente raro per quei tempi: viole e violoncelli divisi, con contrabbassi autonomi condotti fino al do grave, una nota di cui allora poteva disporre solo un numero limitato di contrabbassi.
Per il colore più oscuro che così ne risulta è per l’uniforme andamento di crome (in Adagio), questa musica risuona come un accompagnamento dietro la scena. Il Terzetto “In holder Anmut stehn” (nel n. 19) fa supporre una articolazione in tre sezioni (ABA), ma dopo la seconda sezione, al posto della ripresa, risuona invece il coro – questa è una delle tante originali risoluzioni adottate da Haydn nell’intento di amalgamare organicamente voci soliste e coro.
Il sesto giorno (nn. 20-26). L’aria di Raffaele “Nun scheint in vollem Glanze” (n. 22) – in tempo e carattere “maestoso” – ha un accento festoso e pomposo, ottenuto con un’istrumentazione dai colori splendidi e con una struttura ritmica di base la quale non è altro che una variazione del ritmo di polonaise. Il testo dell’aria allude già alla prossima creazione dell’uomo. Questi si fa avanti poi “pieno di dignità e nobiltà” nell’aria di Uriele (n. 24), per cui Haydn ha creato una melodia di grande semplicità e al tempo stesso perfettamente compiuta.

Per caratterizzare musicalmente il “soffio” e “immagine” di Dio, Haydn modula in modo distintamente percettibile nella tonalità di la bemolle maggiore, assai lontana dalla fondamentale di do maggiore. In maniera analoga Haydn modula nel Finale (n. 26) della parte seconda della “Creazione”, e più precisamente nel Terzetto dei solisti (“zu dir, o Herr, blickt alles auf”) che vi funge da sezione intermedia, essendo intercalato tra due cori di taglio e configurazione simili (“Vollendet ist das grobe Werk”).

Orchestra e Coro des Bayerischen Rundfunks

Il testo di questo Terzetto allude alla mortalità di ogni creatura, e nel punto in cui si canta di Dio che “sottrae il respiro”, Haydn fa ripiegare il discorso musicale dalla tonalità fondamentale di mi bemolle maggiore a quella di do bemolle minore. Una particolare attenzione merita ancora la musica dei fiati, una delle più felici ispirazioni di Haydn.

La parte terza

Spesso la terza parte della “Creazione” (nn. 27 – 32) è stata considerata come
una sorta d’appendice, e di frequente nelle esecuzioni è stata soppressa del tutto, poiché il suo contenuto non ha alcun nesso con l’evento della creazione divina e il suo testo non presenta alcun riferimento a quello della Genesi biblica.
Eppure questa terza parte, come già ricordato, ha un significato basilare per l’interpretazione del testo dell’Oratorio.
Nel recitativo introduttivo “Aus Rosenwolken bricht” (n. 27) i versi di van Swieten rivelano toni spiccatamente lirici, che hanno ispirato a Haydn una delle sue più caratteristiche e suggestive immagini musicali: l’aurora viene raffigurata nella tonalità di mi maggiore da tre flauti, ma l’ulteriore caratterizzazione musicale del testo fa intendere che questa musica potrebbe simboleggiare anche la “pura armonia” celeste.
Il primo duetto fra Adamo ed Eva “Von deiner gut, o Herr und Gott” (n. 28), che con le sue 400 battute è il pezzo più lungo dell’Oratorio, è così suddiviso: dapprima i due solisti, sorretti da delicati interventi del coro, intonano un canto pacato (Adagio); poi nella seconda parte segue un Allegretto in forma di rondò dove è il coro a dominare.
Anche il secondo duetto “Holde Gattin” (n. 30) è suddiviso in due parti: ad un Adagio in 3/4 segue un Allegro (“Der tauende Morgen”) che, come l’Allegretto del n. 28, ha un carattere popolareggiante con movenze di danza, con in più un accento di gioviale affabilità proprio del Singspiel.
È questa una sfera espressiva del tutto estranea al carattere dell’Oratorio, ma già le prime battute (Andante) del coro finale “Singt dem Herren, alle Stimmen”, con la loro piena sonorità, immettono l’ascoltatore in un’atmosfera grandiosa e solenne che caratterizzerà anche la doppia fuga seguente (Allegro).
La chiusa, breve e un po’ apodittica, riprende ancora una volta il conciso stile corale della prima parte della “Creazione”, e dà una conclusione degna e pienamente “misurata” all’intero Oratorio.

Traduzione: Gabriele Cervone