Honneger Arthur

Sinfonis 2 & 3 Liturgique

Il contributo di Karajan alla seconda e alla terza sinfonia di Honegger, a parer mio, non è mai stato superato. Nella seconda Karajan ci dà una versione intensa ed estremamente poetica di questa sinfonia per archi e tromba. Il finale in particolare è commovente. Ogni dettaglio svela una chiarezza cristallina e si percepiscono chiaramente le sfumature della sezione archi dei Berliner Philharmoniker il cui suono è di una bellezza strabiliante. Karajan conduce con incanto e intensità anche la famosa sinfonia n. 3 “Liturgica” Credo che il direttore austriaco dia particolare pregio a questa partitura drammatica e sembra metterci corpo e anima, mostrandoci che Honegger è assolutamente uno dei migliori compositori del ventesimo secolo. Personalmente non sono incline all’ascolto di questi spartiti moderni ma di fronte a questo compositore mi devo ricredere. Qualità audio ottima, Quando ascolto questo CD immagino l’orchestra proprio di fronte a me. Questo disco non potrà mai essere raccomandato abbastanza. Registrazioni eseguite dal 1972 al 1973 e rimasterizzazione effettata nel 1995.

Opere che sono uno specchio dei tempi
Sinfonia n. 1

Non soltanto in Europa, ma praticamente in tutto il mondo non v’era chi non fosse stato toccato da vicino dalla Seconda Guerra Mondiale: lunghe ombre oscurano di fatto anche la musica degli anni Quaranta. Nato a Le Havre da genitori svizzeri, parigino d’elezione, Arthur Honegger reagì alla desolata situazione di quell’epoca con la stessa sensibilità dimostrata negli anni precedenti di fronte alle trasformazioni che la tecnica (Pacific 231), lo sport (Rugby), il cinema avevano provocato nella vita moderna. “La mia musica non è in alcun senso una “musique pure”: il compositore, in pieno accordo con il parigino Gruppo dei Sei cui si sentiva legato, rifiutava l’idea di un’arte fine a se stessa. Ricominciò a scrivere sinfonie dopo un decennio di pausa: durante la guerra visse nella Parigi occupata, ove era critico musicale ed insegnava all’ École normale de Musique. Per l’amico e mecenate Paul Sacher, di quattordici anni più giovane di lui, fondatore e direttore dell’Orchestra da Camera di Basilea e del Collegium Musicum di Zurigo, Honegger compose nel 1941 la Seconda Sinfonia per orchestra d’archi e tromba ad libitum, Sacher ne diresse la prima esecuzione a Zurigo il 18 maggio 1942. Mestizia e conforto sono i temi di questa Sinfonia, specchio del rapporto che legò per tutta la vita Honegger a Bach: sul vivace movimento di chiusura, bitonale, si irradia rincuorante la melodia corale della tromba solista condotta come un cantus firmus bachiano. Nel primo movimento, dominato da un energico tema principale, ritorna più volte una melodia di tre note sulla viola, dal carattere di lamento, che diviene poi il motivo base del movimento centrale, “Adagio mesto”.

Sinfonia n. 3 “Liturgique”

Contesto temporale e confessione improntano ancor più chiaramente la Terza Sinfonia, scritta nel 1945/46 dal titolo “Liturgique”. Il lavoro composto per grande orchestra – tre legni, quattro corni, pianoforte, percussioni, archi – fu presentato al pubblico il 17 agosto 1946 a Zurigo. Come la Sinfonia da Requiem che Benjamin Britten scrisse nel 1940 alla memoria dei genitori, esso si rifà alla liturgia della messa funebre “Dies irae” è il titolo del primo movimento, una visione terrificante del giudizio universale. La tematica è di una semplicità silografica, i ritmi lapidari e suggestivi ricordano certi lavori giovanili di Honegger determinati dal moto. Il lamento funebre “De profundis clamavi” costituisce il movimento lento centrale. Contrabbasso, controfagotto e pianoforte scandiscono il ritmo delle parole che esprimono il concetto liturgico di fondo dell’intera Messa: prescrizioni esecutive estreme (ad esempio il violoncello nel registro acuto) e polifonia orchestrale, altro richiamo allo studio
di Bach, determinano il quadro sonoro. Il finale “Dona nobis pacem” incalza in un ampio crescendo verso l’utopia della pace con se stessi e con gli altri.
Da opprimenti ritmi di marcia si stacca un motivo del corno, che conduce ad un’intensificazione, ed all’insieme si uniscono disegni e condotte contrappuntistici; quindi il fortissimo della piena orchestra s’interrompe bruscamente. Si dispiega un tenero adagio con archi solisti e alte figurazioni dell’ottavino, diffondendo una visione di pace.

Kerbert von Karajan

Quando Herbert von Karajan e i Berliner Philharmoniker registrarono la Seconda Sinfonia di Honegger nell’agosto del 1969 nella chiesa francese di St. Moritz, in Svizzera e la Terza il mese successivo nella Jesus-Christus-Kirche di Berlino, entrambi i lavori, contrariamente ad oggi, facevano stabilmente parte del repertorio orchestrale: pezzi sinfonici di grande attualità, angosciosa espressione dello stato d’animo negli anni della guerra e del primo dopoguerra. Come la musica scritta per Jeanne d’Arc au Bucher di Paul Claudel e per il salmo Le roi David, rivelavano la serietà e la religiosità di Arthur Honegger, mediatore tra stile francese e stile tedesco. Ai tempi delle ultime Sinfonie egli intingeva la sua “penna molto impacciata ed esitante nel calamaio di una ferma convinzione” e scriveva, oltre all’autobiografia Je suis compositeur, il saggio Incantations aux fossiles (1948), in cui lamentava la cristallizzazione del repertorio e la difficile situazione di un compositore moderno. Della produzione e dell’influenza di Igor Stravinski, di dieci anni più vecchio di lui, Honegger si è occupato intensamente, sia nelle sue composizioni giovanili che nella monografia Sur Igor Stravinskij, stilata nel 1939; era attratto in egual misura sia dai moduli ritmici che dal neoclassicismo del compositore russo.
Fu il comune amico Paul Sacher a provvedere un punto di contatto materiale: Il Concerto in re per orchestra d’archi, compiuto nel 1946, fu da lui commissionato a Stravinski per l’Orchestra da Camera di Basilea. Analogamente a Dumbarton Oaks (1937/38), il lavoro si riallaccia al genere del concerto barocco, risultando però più aspro e conciso nella condotta rigorosa delle linee. Le strutture spigolose, legate alla tonalità fondamentale di re, preannunciano lo stile tardo di Stravinski, l’accostamento graduale alla tecnica della scuola schonbeghiana, in precedenza respinta. Nel Concerto, in tre movimenti, Stravinski vedeva una sorta di forma elementare della musica per archi: due tempi veloci ne incorniciano uno lento, qui un “Arioso” con l’indicazione “Andantino”. In contrapposizione alle Sinfonie di Honegger, il Concerto è “musique pure”: per tutta la sua vita Stravinski fu ben lungi dal reagire in modo palese alle situazioni contingenti; rifiutava l’idea che una composizione potesse basarsi su altro che se stessa. Quando a proposito del balletto Apollon musagète (1927/28) gli fu chiesto se componendo pensasse alla Grecia, rispose secco: “No pensavo agli archi”.

Sinfonia n. 1 in do

La Sinfonia è stata composta nel 1930 per commissione data all’autore dall’Orchestra sinfonica di Boston in occasione del suo cinquantenario.
È un’opera di concezione originale e nuova. L’autore ha adempiuto all’incarico con quella probità, quella decisione, quel buonumore e quella salute che gli sono caratteristici. Dei quattro movimenti abituali della sinfonia egli non ha tralasciato che lo Scherzo — la nostra età ha i suoi giuochi, ma questi non hanno più lo spirito dello Scherzo. I tre altri movimenti sono accettati con tutte le loro esigenze. Senza dubbio l’andatura generale dei movimenti é ancora poco differenziata, e il gusto delle costruzioni tutte di un pezzo resta predominante; tuttavia la vita interiore dell’opera è innegabile.

La costituzione tonale, nonostante le arditezze della condotta delle voci, dei pedali mobili e delle giustaposizioni d’accordi, resta chiara e s’organizza intorno al do maggiore. Il problema dello, sviluppo è risolto in forma felice e originale.
Il primo movimento (Allegro marcato) dopo una battuta d’introduzione espone il primo tema composto di due periodi, l’uno energico e volontario, l’altro lirico e pieno di fervore. Un nuovo motivo introduce il periodo di transizione verso il secondo tema; la fine dell’esposizione, formata di grandi accordi bruschi, fa sentire un breve motivo (nei corni), che prenderà poco dopo la sua forma definitiva. Questo motivo ingrandito si sviluppa in canone e suscita un controsoggetto, lo spiegamento del quale sostiene tutto il lavoro tematico dello sviluppo. Ritorna l’esposizione, ma in un altro ordine: essa incomincia infatti col motivo di transizione e col secondo tema, seguiti dal primo tema che irrompe nel punto del massimo dinamismo inquadrato dagli elementi dello sviluppo. L’elemento lirico del primo tema, ripetuto in parecchie riprese, intramezzato dagli accordi della fine dell’esposizione, conduce la perorazione, ove il primo tema sembra disperdersi nella lontananza.
L’Adagio s’inizia con una lunga melodia declamata procedente a grandi intervalli e svolgentesi sopra un pedale mobile cromatico, dei bassi; ci si permetta di segnalare all’ascoltatore la linea dei bassi come un caposaldo armonico capitale. Sopra lo stesso basso si svolge poi un periodo dolcemente cantante. Dopo un periodo di transizione e una lenta e progressiva gradazione la prima melodia ritorna con la maggiore potenza nell’intera massa degli archi; e il Lied segue il suo corso abituale, fino, a spegnersi.
Il Finale ha una andatura di Ronde, il principale elemento della quale prepara il tema che verrà a coronarla alla fine e che si distenderà nell’Andante pastorale che serve di perorazione all’opera.

Sinfonia n. 3 (Symphonie Liturgique)

Composta nel 1945-46, la Terza Sinfonia Liturgique di Honegger è senza dubbio, come ha osservato Hermann Danuser, una “Weltanschauungssymphonie”: una Sinfonia, vale a dire, nella quale il compositore svizzero, prendendo le distanze dall’estetica antiborghese del disimpegno svagato, dichiaratamente ludica del Gruppo dei Sei (il cui animatore, Erik Satie, era morto nel 1925) e richiamandosi alla tradizione sinfonica austro-tedesca del XIX secolo, rinnova l’ambizioso progetto di ‘rappresentazione’ soggettiva del mondo attraverso il mezzo sinfonico che aveva trovato in Gustav Mahler il suo ultimo grande rappresentante storico.
Honegger era un compositore aperto come pochi altri, nel secolo appena trascorso, sia alla commistione fra i generi (con incursioni nella sfera della musica d’intrattenimento) sia alla creazione di generi affatto nuovi, nei quali le

sollecitazioni del teatro parlato e della danza (Melodrammi su poesie di Paul Valéry, musiche per il Napoleon di Abel Gance, pioniere del film muto, “radiodrammi”, “epopee coreografiche”, una “Symphonie mimée”) si sposano felicemente con un eclettismo stilistico che spazia dal Gregoriano (Saint Francois d’Assise, radiodramma, 1948/49) alla moderna politonalità (tecnica prediletta, all’interno del Gruppo dei Sei, soprattutto dall’amico Milhaud) e al jazz. Nonostante sporadici avvicinamenti, Honegger avversò invece la tecnica dodecafonica schönberghiana. Si tratta di un eclettismo che, come ha rilevalo Leo Schrade (1962), affonda le sue radici nella “incontaminata gioia di sperimontare” degli anni Venti, un’attitudine che non esclude peraltro, per lo meno nel genere sinfonico, la presenza d’una cifra stilistica individuale ben riconoscibile. L’ampiezza degli interessi musicali del compositore, la sua recettività nei confronti delle più disparate esperienze culturali non implicano affatto un’adesione duratura a quell’estetica, ostentatamente frivola, della nonchalance, della quale i suoi amici del circolo parigino, soprattutto Auric e Poulenc, si erano fatti portavoce già a partire dagli anni successivi alla Prima Guerra Mondiale.
Honegger invidiava la ‘facilità’ compositiva di colleghi come Milhaud e Hindemith: una connaturata seriosità, veicolo di una concezione etica dell’impegno compositivo, costituisce da ultimo la premessa del ‘ritorno’ di Honegger, durante gli ultimi anni del secondo conflitto mondiale, ai presupposti estetico-ideologici della Sinfonia intesa quale ‘rappresentazione del mondo’. (La Quarta, intitolata Deliciae basilienses “en la”, del 1946, indulge ancora alle seduzioni della musica a programma, alla quale Honegger aveva donato con Pacific 231, mouvement symphonique n. 1, del 1923, uno dei contributi più rappresentativi del XX secolo; nel 1951 seguirà ancora la Quinta Sinfonia, detta dei “Tre re”, per la ricorrenza di questa nota nei tre movimenti).
Se Honegger si riappropriò con la Liturgique dell’idea ottocentesca d’una “Wellanschauungsniusik”, non è un caso che sia proprio Beethoven il modello che si staglia chiaramente; dietro quasi tutti i suoi lavori appartenenti a questo genere. Non si tratta, com’è ovvio, di un mero atteggiamento reverenziale verso la poetica dei generi, ma anche – soprattutto, vorremmo dire – di un acuto bisogno esistenziale, alimentato dalla tragica esperienza della guerra. È questa crisi, infatti, che sospinse Honegger alla ricerca d’una più autentica spiritualità, intesa come antidoto non solo agli orrori bellici, ma anche come reazione alle mode e filosofie musicali diffusesi nel dopoguerra. Da quest’ultimo “Roi Arthur” – come lo avevano battezzato un tempo gli amici dei Six, il cui gruppo si era smembrato già tra il 1923 e il 1925 – prese astiosamente le distanze (i colleghi e Cocteau continuarono tuttavia a celebrarlo come uno di loro: “Arthur, tu es parvenu a obtemr le respect d’une époque irrespecteuse”, dirà l’amico poeta nel suo discorso funebre).

Arthur Honegger

Nella Sinfonia Liturgique, articolata in tre movimenti dotati ciascuno di titolo (Dies irae – De profundis – Dona nobis pacem), Honegger rinuncia all’enunciazione di un programma vero e proprio, onde evitare quei fraintendimenti che, secondo lui, avevano colpito Pacific 231 e Rugby. L’opera è definita dal compositore stesso “un dramma dove giocano, realmente o simbolicamente, tre personaggi: l’infelicità, la gioia e l’essere umano”. L’ispirazione religiosa percorre come un filo rosso l’intera produzione del calvinista Honegger – che nella sua autobiografia si compiace di definirsi “appassionato beethoveniano” e “conoscitore della Bibbia” – sin dai tempi degli Oratori Le Roi David (1921), Jeanne d’Are au bûcher (1935) e dei Trois Psaumes ( 1940/41 ): fu proprio l’interesse precoce per i temi religiosi e storici ad allontanarlo dall’orbita di Satie e, in seguito, dalla Écolc d’Arcueil gravitante intorno a H. Sauguet.
Tenuta a battesimo nell’agosto del 1946 a Zurigo da Charles Munch, a cui è dedicata, la Liturgique presenta nei suoi tre pannelli sinfonici un percorso spirituale proteso teleologicamente verso la catarsi finale: il Dies irae d’apertura è una sorta di Toccata dalle sonorità corrusche, livide, irta di ritmi puntati agli ottoni e animata da quel ritmo di tipo ‘motorico’, che aveva ottenuto la sua cittadinanza musicale nel repertorio sinfonico a partire dagli anni Venti. Il De profundis clamavi, per contro, con il tema espressivo ai violoncelli sulle triadi
perfette in movimento parallelo, è un capolavoro di lirismo, di fantasia timbrica e di combinazioni polifoniche. Si noti il progressivo ispessimento del tessuto sonoro, che raggiunge, a metà del brano, un apice drammatico di parossismo espressivo sull’ostinato in sincope del pianoforte. L’Andante del Dona nobis pacem riprende, con il suo ritmo incalzante di marcia dal quale emergono ampi squarci lirici ai violini, l’atmosfera cupa del Dies irae, facendola culminare in un episodio accordale {Pesante, n. 15) che segnala katastrophé della pagina, preparando così la trasfigurazione finale dell’Adagio, nel quale il violoncello e poi il violino solista, placate le tensioni ritmiche, pregresse, intonano un commosso commiato sullo sfondo di un’orchestra rarefatta (archi divisi). Il tenue arabesco dell’ottavino pare rispondere all’arabesco del flauto col quale si era conclusa l’invocazione De profundis clamavi, assumendo pertanto una funzione di rilievo nella semantica della Sinfonia.

A PROPOSITO DELLA LITURGIQUE

Note di Arthur Honegger

In questo lavoro volevo rappresentare la reazione dell’uomo moderno all’ondata di barbarie, stupidità, sofferenza, meccanizzazione e burocrazia che ci assedia da alcuni anni. Ho descritto in musica il conflitto interiore dell’animo umano, combattuto tra la resa alle forze cieche che lo intrappolano e l’impulso alla felicità, il pacifismo e il senso del rifugio divino. Se vogliamo, la mia Sinfonia è un dramma messo in scena da tre personaggi, reali o simbolici: l’infelicità, la gioia e l’essere umano. Queste sono tematiche eterne. Ho cercato di riproporle in una forma nuova…

I. Dies Irae

Volevo ritrarre il terrore dell’uomo davanti alla collera divina: per descrivere i sentimenti eterni, brutali delle popolazioni perseguitate, che sono soggette ai capricci del fato e cercano invano di sfuggire alle crudeli trappole del destino. Il giorno dell’ira! L’indescrivibile caos dell’umanità viene espresso sin dalle primissime battute. I corni declamano motivi che, senza alcun riferimento gregoriano, corrispondono alle prime sillabe della Sequenza della Missa pro defunctis: “Dies irae, Dies illa”.
Cieco, adirato, l’uragano spazza via tutto ciò che trova dinanzi a sé. L’ascoltatore è incapace persino di respirare o pensare. Non c’è un barlume di speranza… uno spiraglio di luce è espresso solo da un tema che potremmo chiamare “il tema dell’uccello”.

II. De Profundis

È la dolorosa meditazione dell’uomo abbandonalo da Dio – una meditazione che è di per se una preghiera. Ma è anche difficile “mettere in bocca” agli esseri umani una preghiera senza speranza. Ad un certo punto, i contrabbassi, il controfagotto e il pianoforte – tutti i timbri più scuri e profondi dell’orchestra – scandiscono le parole della Missa pro defunctis: “De Profundis clamavi ad te Domine”.
Verso la fine del movimento riprendo di nuovo il “tema dell’uccello”, in modo più chiaro. L’Uomo è esausto: ha raggiunto gli abissi dell’angoscia. Si può immaginare la scena come in un film: la morte, la città fumante, la nuova alba, l’uccello innocente che cinguetta gioiosamente sulle macerie.

III. Dona Nobis Pacem

Ciò che volevo esprimere all’inizio della terza parte era, precisamente, l’emergere della stupidità collettiva. Ho immaginato una marcia pesante, goffa e ho creato un tema volutamente idiota, esposto per primo dal clarinetto basso. È la marcia dei robot contro l’uomo civilizzato, detentore di anima e corpo. Sono le file all’entrata dei negozi, sotto la pioggia e la neve, quando si sta in piedi per ore. Sono gli interminabili, inutili formulari burocratici.
La rivolta si organizza e monta sempre più. Quest’idea è espressa dai corni. Improvvisamente, un urlo smisurato, ripetuto tre volte, viene lanciato dalle anime degli oppressi. Poi – come se la misura fosse colma, come se il desiderio per la pace prevalesse finalmente sugli orrori del caos – una lunga frase cantabile esprime la supplica dell’umanità sofferente: “liberaci da tutto questo!” Desideravo evocare la visione della pace, così ardentemente bramata. Così, il canto dell’uccello della pace si staglia sulla Sinfonia come una volta la colomba planò sull’immensità delle acque…