Niccolò Paganini

Concerto per violino e orchestra n. 6

L’intero cofanetto DG Paganini Accardo – Dutoit / LSO è vincente in tutti gli aspetti. Il suono analogico cattura la gamma sonora dei bassi con straordinaria efficacia. Accardo non manca mai di impressionare con il virtuosismo e l’abilità di fraseggio. Sempre un tono lucente, costante, ricco, ben controllato. Le richieste tecniche che Paganini ha scritto per il violinista sono gestite con estrema facilità da Salvatore Accardo. Ciò che attrae su questo disco sono soprattutto le altre composizioni. Le variazioni di Joseph Weigl sono un pezzo meraviglioso. La variazione di Rossini “La Cenerentola” è stupenda e anche “La Streghe” è gradevolissimo. Quindi, oltre al Concerto 6, gli extra sono pezzi fantastici per qualsiasi collezione di CD. Carles Dutoit e la London Philharmonic Orchestra sono al top della forma. Registrazioni eseguite dal 1974 al 1976 e rimasterizzazione effettuata nel 1988. Audio eccezionale. Altamente raccomandato.

Paganini: Concerto per violino in mi minore – Sonata & Variazioni – Non più mesta – Le streghe

Ultimo ad essere ritornato alla luce, quello in mi minore è forse il primo dei Concerti paganiniani e lo si può comunque indicare come anteriore a tutti gli altri; ragione per cui, oltre al titolo di “Sesto Concerto” (nel senso che prima di esso se ne conoscevano altri cinque), è senz’altro pensabile una catalogazione come “numero zero”.
Il componimento, reperito nel 1972 presso l’antiquario londinese Hermann Baron in copia non autografa (sul frontespizio il titolo: “Grande Concerto di Niccolò Paganini”), consta di due manoscritti: uno con la parte del solista, l’altro con un accompagnamento di chitarra. Di questi si è servito Federico Mompellio per la sua orchestrazione, nella quale il Concerto è stato poi pubblicato dall’Istituto di Studi Paganiniani di Genova.
Lavoro di un’area indiscutibilmente giovanile, anche se mancano elementi sicuri per poterlo datare, il Concerto in mi minore dei modelli di autori che Paganini ben conosceva, in quanto presenti nel suo primo repertorio, come Kreutzer, Rode e Viotti, con qualche eco tecnica di Alessandro Rolla. Il virtuosismo è meno pronunciato non solo in rapporto al futuro ma anche rispetto alle quattordici e più sperimentali Variazioni sulla Carmagnola (per violino con accompagnamento di chitarra), frutto di un Paganini nemmeno tredicenne per la Genova filofrancese del 1795.
Però se mancano pizzicati con la mano sinistra, fuoco di fila di corde doppie e armonici, il temperamento caratteristico del Genovese è comunque riconoscibile in controluce: ad esempio negli sbalzi di registro, nei passaggi tumultuosi, in certo frenetico arrampicarsi e nelle discese velocissime.
Già marcata è, a sua volta, la cantabilità; tanto che il primo tema del Risoluto contiene quello che sarà, là folgorante, l’incipit solistico del Primo Concerto.
Il primo movimento del Sesto Concerto, inoltre è al di là di una notevole accuratezza formale, porta al centro, “paganinianamente”, non una elaborazione tematica ma una rassegna i motivi violinistico-virtuosistici preceduta, come nel Concerto successivo, da una sorta di “introduzione a capriccio”.
Intimo e purissimo, con due cadenzine non scritte e affidate al gusto e misura dell’interprete, appare l’Adagio (in mi maggiore), che con il suo accento protoromantico e il tono da Romanza senza parole alla Mendelssohn non è ancora impostato secondo i canoni teatrali come nella maggior parte dei Concerti a venire.
Un poco prolisso e per contro il Finale, un Rondò sul ritmo e disegno di Polacca come in certi movimenti conclusivi dei menzionati Viotti e Kreutzer e come poi nell’ultimo tempo del Terzo Concerto in mi maggiore. Da notare, secondo le osservazioni di Mompellio, che la terza strofa di questo Rondò ossia Polonese ha carattere di “studio brillante” e richiama da vicino, nel disegno ritmico e nell’espressione, il Presto dell’undicesimo Capriccio. Le streghe, Non più mesta accanto al fuoco e la Sonata con Variazioni (nota anche come “Variazioni sul tema di Joseph Weigl”) rientrano fra le variazioni de bravoure del concerto con accompagnamento d’orchestra.

Niccolò Paganini

La prima esecuzione de Le streghe si ebbe nel 1813 a Milano, da dove si diffuse la fama europea di Paganini. Questa composizione prende a prestito un passaggio solistico dell’oboe che nel Balletto di Viganò/Sussmayr “Il noce di Benevento ” commenta un sopraggiungere appunto di streghe al convegno sotto il noce per il Sabba.
Non più mesta accanto al fuoco viene fatto ascoltare per la prima volta a Napoli nel 1819 e si rifà all’omonimo Rondò della “Cenerentola” rossiniana replicandone attitudini melodico-vocalistiche trasposte sullo strumento e confermando la simpatia artistica (oltre che umana) intercorsa fra il Genovese e il Pesarese.

La Sonata (o Suonata, secondo la denominazione originale) con Variazioni in mi maggiore è proposta per la prima volta a Genova nel 1824; il tema di Weigl (dall’opera: “L’amor marinaro ossia Il Corsaro”, 1797) è lo stesso impiegato da Hummel, Gelinek, Rolla, Wolfl oltre che da Beethoven in un Trio giovanile: quello in si bemolle maggiore per pianoforte, clarinetto o violino e violoncello op. 11 del 1798 dove l’aria funge analogamente, a conclusione del lavoro, da spunto per variazioni.
Cantabilità scherzosa o suadente e calda nelle parti introduttive, che non hanno relazione col tema variato, caleidoscopia di colpi d’arco trascendentali con bravurismo di cabaletta che rimanda al teatro coevo, crepitanti pizzicati con la mano sinistra presi dalla chitarra e reinventati sull’altro strumento, armonici doppi sospesi per aria come un acrobata nel suo numero più difficile e senza rete, bicordi veloci e soprani, fulminei traguardi di tessitura e gonfi scorci in minore s’avvicendano e queste Variazioni, come nelle altre composte durante la grande tournée europea del 1828 – 1834, traendo fuori dallo strumento tutti i risvolti di una lezione violinistica cui i virtuosi di discendenza paganiniana, da Ole Bull a Vieuxtemps, Wieniawski e Sarasate, potranno aggiungere ben poco di determinante.

Alberto Cantù
dell’Istituto di Studi paganiniani di Genova

Grande concerto in mi minore

Il recupero del Concerto in mi minore è tra i frutti più cospicui della vasta opera di ricognizione intrapresa in questi ultimi anni dall’Istituto di Studi Paganiniani di Genova al fine di individuare, raccogliere e sistemare le carte del sommo violinista, disperse ai quattro venti in archivi, biblioteche, collezioni di privati e antiquari d’ogni parte d’Europa e alla Library of Congress di Washington. Tra i manoscritti di musiche inedite che l’Istituto paganiniano ha recentemente riportato in patria, acquistandoli da un antiquario inglese, figura anche questo Concerto, o, per meglio dire, quanto di esso è stato a tutt’oggi reperito, ossia la sola parte del «violino principale», corredata di un accompagnamento per chitarra; il tutto in copie non autografe, dovute a mani diverse. La presenza della chitarra come deuteragonista nella riduzione che sostituisce la partitura orchestrale mancante, si comprende conoscendo la predilezione di Paganini per questo strumento (del quale era buon esecutore), e la sua consuetudine di servirsene per accompagnare il violino nei concerti da camera e laddove non fosse disponibile un’orchestra. Secondo l’uso del tempo, la parte del «violino principale» conservataci nel manoscritto, negli episodi dei «Tutti» si identifica con quella dei restanti «violini primi», mentre le sezioni dei «Solo» riportano la parte propria dello strumento solista, ancora concepito come «violino di spalla» e tenuto, in quanto tale, ad unire la propria voce a quella degli altri «primi» durante i passi per sola orchestra. In altre parole, del Concerto in mi minore, oltre alla parte solistica che fu suonata da Paganini, rimane tutta quella dei «violini primi» limitatamente alle introduzioni e ai vari raccordi a sola orchestra; ciò che ha reso più facile e meno arbitrario il lavoro di chi si è sobbarcato il compito di ricostruire la modesta compagine dell’orchestra paganiniana, sulla traccia della riduzione chitarristica e avendo a modello le superstiti partiture complete.
Charles Dutoit

Il Concerto in mi minore è ascrivibile agli anni giovanili del musicista ed è databile intorno al 1815; lo studioso paganiniano Pietro Berri ne ipotizza un’esecuzione alla Scala di Milano, il 16 giugno del ’15, ed un’altra al Teatro Sant’Agostino di Genova, l’8 settembre dello stesso anno. Con esso, il numero dei Concerti paganiniani pervenutici in forma più o meno completa assomma a sei, riportandoci al periodo anteriore alla composizione del primo, in re maggiore (1817). Siamo dunque agli anni eroici del genio strumentale paganiniano, che ha già compiuto la rivoluzione dei Capricci ed ora sta
tentando la forma del concerto in lavori disuguali e improntati a sperimentalismo.
Il Concerto in mi minore si articola nei tre tempi della tradizione, con ampio privilegio accordato al primo, un Risoluto svolto nello schema sonatistico secondo il procedere che è tipico dei compositori strumentisti italiani o di formazione italiana: il principio dell’elaborazione tematica, proprio dei Viennesi, vi è sostituito cioè dalla libera efflorescenza di vaste sezioni costruite su formule virtuosistiche, in alternanza a semplici iterazioni dei materiali melodici. Il vago senso di disagio avvertibile in questo primo movimento, dove la divagante inventività paganiniana stenta a rivestirsi di panni curiali sonatistici nei quali non si riconosce, scompare nel successivo, breve Adagio, e nel Rondò alla polacca, forse il brano meglio riuscito, per il pieno e felice identificarsi della sostanza musicale con i suoi presupposti formali, la misura raggiunta dall’elemento virtuosistico (nel presente Concerto, peraltro, contenuto entro limiti più che discreti, rispetto almeno alle incandescenti accensioni delle opere successive e dei Capricci), la varietà e la generosità dell’invenzione melodica.

Le Streghe

Il ciclo di variazioni Le streghe, per molti anni cavallo di battaglia di Paganini, è forse la composizione più di ogni altra responsabile della leggenda che, abilmente alimentata, accompagnò le esibizioni del violinista in tutta Europa: quella del patto col diavolo. Alla Scala di Milano, nel 1812, Paganini aveva assistito a un balletto messo in scena dal coreografo Salvatore Vigano, dal titolo Il noce di Benevento. L’argomento del balletto riprendeva una vecchia leggenda, che parlava di un convegno di streghe presso un albero di noce; la musica, composta da Süssmayr (l’allievo di Mozart che ne aveva portato a termine l’incompiuto Requiem), era ricca di motivi orecchiabili, che divennero subito popolari. Paganini si appropriò del tema che accompagna l’ingresso in scena delle streghe e lo sfruttò per una serie di variazioni, che presentò alla Scala e che cominciò a eseguire con gran successo ovunque. Subito si stamparono litografie che lo raffiguravano mentre suonava circondato da diavoli e streghe, e da quel momento il mito del patto col diavolo – unica spiegazione di un virtuosismo così mirabolante da apparire soprannaturale – accompagnò tenace le sue esibizioni pubbliche. Fu lo stesso Paganini, indubbiamente per scopi promozionali, ad alimentare la diceria del commercio col Maligno: in parte accentuando la bizzarria del suo aspetto fisico e l’eccentricità del comportamento, in parte dando dimostrazioni di un’abilità diabolica con esibizioni istrioniche, ai limiti dell’incredibile.

Salvatore Accardo

Il tema e le variazioni sul tema di Süssmayr sono preceduti da un’Introduzione nella quale il violino solista presenta una bella melodia di stampo vocale, un canto spiegato arricchito da delicate quanto discrete fioriture. Il semplice tema delle streghe reca, al suo interno, una frase in tempo più lento e in modo minore, una sorta di digressione umorale che viene mantenuta, invariata, in tutte le successive variazioni. In queste, Paganini sfoggia tutto il suo consueto, spettacolare virtuosismo; nella seconda e nella terza variazione vengono alternate, in rapida successione, ben tre diverse tecniche di produzione dei suoni: con l’arco, pizzicando le corde e realizzando gli armonici.
L’effetto contribuisce a creare quell’atmosfera bizzarra, a tratti spettrale, che ben corrisponde al soggetto cui il tema del balletto è ispirato. E non può che alimentare un mito – quello del virtuoso capace di innalzarsi sopra la norma, dell’artista capace di suggestionare le masse con il potere ultraterreno della musica – nel quale la generazione romantica riconoscerà la propria vocazione a trascendere le apparenze normali e quotidiane delle cose, per coglierne il senso più nascosto.
Per Schumann, Liszt e tanti altri la musica di Paganini e le sue esibizioni saranno la porta che dischiude regioni musicali ancora sconosciute, e il violinista stesso il simbolo di un mistero profondo.

Introduzione e Variazioni in mi bemolle maggiore op. 12

Questa composizione, basata su un popolare motivo della Cenerentola di Gioacchino Rossini, risale al 1819. Il tema, preceduto da un’Introduzione, è quello di un Adagio cantabile che ha tutte le caratteristiche di un’aria operistica, ed è seguito da quattro variazioni e da un Finale. La prima variazione presenta una semplice diminuzione melodica del tema, mentre gli armonici, semplici (variazione n. 2) e doppi (variazioni nn. 3 e 4) sono l’elemento tecnico predominante nelle variazioni successive, spesso in unione o in contrapposizione con altri tipici effetti paganiniani (ottave, pizzicati). La composizione si in conclude con un Finale di caleidoscopica vivacità. Le Variazioni sul Rondò “Non più mesta accanto al fuoco” furono presentate da Paganini stesso al Teatro dei Fiorentini di Napoli il 31 agosto 1819.