Rossini Gioacchino

Messa di gloria

La Messa di Gloria (1820) è fra i lavori più belli che il non ancora trentenne Rossini compose nel fortunato periodo in cui operò a Napoli (gli anni de “La donna del lago” e “Maometto secondo”), riscuotendo fin da subito grande successo. Questo lavoro sacro è composto da Kyrie e Gloria, cioè dalle sole due prime parti della messa canonica: non sono quindi contemplati il Credo, il Sanctus, il Benedictus, l’Agnus Dei. Orchestralmente molto vivace, la Messa di Gloria risente dell’eco operistica che contraddistingue Rossini anche nelle composizioni sacre (su tutte, lo Stabat Mater), particolarmente nel primo movimento del “Gloria”.
Le cinque stelle sono dovute non solo alla presenza sul podio dell’Academy of St. Martin in the Fields di Sir Neville Marriner (non esattamente un “rossiniano”, tuttavia riesce a dare un tocco molto “italiano” alla direzione, perciò ammirevole), ma soprattutto al quintetto di solisti composto da Sumi Jo, Ann Murray, Raul Gimenez, Francisco Araiza e Samuel Ramey, le cui voci chiarissime ed in forma smagliante (siamo nel 1992) rendono piena giustizia a questo bel lavoro del Pesarese. Accompagna il cd un bel libretto, finalmente anche in italiano, con un interessante saggio sulla composizione redatto nientemeno che da Philip Gossett, insigne studioso rossiniano. Il suono Decca, poi, non delude mai! Registrazione in DDD eseguita nel 1992. Consigliatissimo! Buon ascolto!

Alla ricerca di uno stile sacro
La Messa di Gloria di Rossini – Philip Gossett

Per più di 150 anni la Messa di Gloria di Rossini fu nota soltanto sulla base di poche testimonianze contemporanee, che offrono delle immagini estremamente contrastanti quanto al suo contenuto e alla sua qualità. Eseguita per la prima volta il 24 marzo 1820, la Messa venne recensita il 31 marzo nel “Giornale delle Due Sicilie” di Napoli:
Rossini si è mostrato dotto, grave, sublime compositore in una musica scritta per la messa solenne cantata, il dì sacro a’ dolori di Nostra Signora, nella chiesa di San Ferdinando, a divozione dell’arciconfraternita di San Luigi. Tra le bellezze originali di quella nuova composizione si annoverano quelle soprattutto del Gloria. Rossini immaginò che quell’inno immortale venisse cantato da un Coro di Angeli, lieti di annunziare la Gloria dell’Eterno e la pace degli uomini. Questo felice pensiero, renduto fecondo da viva immaginazione e da profondo sentire, fu espresso con tanta sublimità, che i meno facili ammiratori del compositore pesarese dovettero riconoscervi una delle felici ispirazioni, che distinguono di tempo in tempo le opere de’ sommi ingegni.
Due contemporanei di Rossini espressero la loro opinione sulla Messa. Stendhal, che sicuramente non ascoltò mai il lavoro, nella sua Vie de Rossini del 1824 riferisce che il musicista
…… passó tre giorni a dare ai suoi motivi più belli l’apparenza di musica di chiesa. Fu uno spettacolo delizioso: vedemmo tutte le sublimi melodie del grande compositore passare una dopo l’altra davanti ai nostri occhi, ognuna leggermente modificata……
La seconda testimonianza ci viene da un’edizione tedesca della biografia rossiniana scritta da Stendhal, che cita un racconto di un presunto spettatore, Carl von Miltitz, un musicista dilettante e critico tedesco, autore di molti articoli di argomento musicale durante il secondo decennio dell’Ottocento. I commenti di von Miltitz sono un esempio del miscuglio di realtà, fantasia e invenzione malevola comune a quel tempo tra i critici nordici della musica italiana:
Chi non sarebbe stato incuriosito dalla possibilità di ascoltare in un luogo sacro il beniamino dei palcoscenici operistici italiani (potrei dire europei), di stupire davanti al degno uso di tutti i mezzi musicali che caratterizzano il suo ricco e originale talento? In verità però questa sorta di attesa poteva essere soltanto di quelli che non hanno idea della completa decadenza e del vergognoso disprezzo con cui quest’importante parte del culto viene vista in Italia. Ho sentito lo stesso Rossini dichiarare di aver composto questa Messa in due giorni, e più tardi mi è stato fatto capire che vi aveva lavorato anche Pietro Raimondi……
Finalmente cominciò il Kyrie, molto malinconico, aspramente dissonante, senza una goccia di arte o di conoscenza dello stile di chiesa, ma non senza una certa dignità. Se fosse continuata in questo modo si sarebbe dovuto almeno ammettere che questa Messa non era completamente priva di valore. Il Gloria che segue, applaudito dai Napoletani come se fossimo stati a teatro, venne concepito come la sovrapposizione di un coro di angeli e della gioia dei pastori; non un’idea nuova, però piacevole. Le prime 20 battute promettevano una composizione originale. Il pezzo si librò fino a un’altezza rispettabile, ma verso la fine ricadde a terra.
Il Credo e l’Offertorio erano un ragù di frasi operistiche rossiniane, senza significato, senza scopo, e senza niente di rilevante. C’erano tutti i passaggi preferiti di questo compositore, tratti dalle 32 opere che aveva scritto, in parte inventati, in parte rubati da maestri tedeschi, in parte imparati dal famoso castrato Velluti (e Rossini, com’è noto, pretende che siano tutti suoi). E nemmeno sistemati in un qualche ordine, ma messi insieme alla rinfusa, a caso, come in un salame.
Von Miltitz continua in questo modo descrivendo il Sanctus e l’Agnus Dei.
In queste testimonianze notiamo delle discrepanze significative per quanto riguarda i fatti, e delle differenze di opinioni critiche. Della Messa di Rossini il recensore napoletano e Stendhal citano soltanto il Gloria. Von Miltitz invece ne commenta ogni parte. Né il recensore né Stendhal citano la partecipazione di Raimondi, che figura come collaboratore nella stroncatura del lavoro da parte del critico tedesco.
Negli ultimi 25 anni molte fonti della Messa rossiniana sono state identificate. Sappiamo con certezza che la composizione eseguita nella chiesa di San Ferdinando di Napoli il 24 marzo 1820 fu in effetti una Messa di Gloria (in cui venivano cioè musicati solo i testi del Kyrie e del Gloria), costruita come segue:

Kyrie
N. 1 “Kyrie” (in Mi bemolle) per coro e orchestra;

“Christe” (in Sol bemolle) per due tenori e orchestra;

“Kyrie” (in Mi bemolle) per coro e orchestra (ripresa)

Gloria
N. 2 “Gloria” (in Do) per coro e orchestra

N. 3 “Laudamus” (in La) per soprano, archi e fiati

N. 4 “Gratias” (in Fa) per tenore, corno inglese solo, archi e fiati

N 5 “Domine Deus” (in Mi bemolle) per soprano, contralto e basso (versione successiva per soprano, tenore e basso), archi e fiati

N. 6 “Qui tollis” (in Mi bemolle minore-maggiore) per tenore, coro e orchestra N. 7 “Quoniam” (in Mi) per basso, clarinetto solo, archi e fiati

N. 8 “Cum sancto” (in Si bemolle) per coro e orchestra

Gioacchino Rossini

Del manoscritto autografo di Rossini si è trovata solo una pagina: l’inizio del “Domine Deus”, donato da Rossini a Gustave Vaez nel 1846. Vaez era arrivato da Bologna tentando di convincere Rossini a collaborare al Robert Bruce, un “pasticcio” presentato a Parigi nel 1846. Dove si trovi il resto del manoscritto rimane del tutto ignoto. La fonte più importante pervenuta fino a noi sono gli spartiti completi dell’esecuzione, usati per la prima del lavoro, e ritrovati negli archivi della chiesa di San Ferdinando. Rossini fece delle annotazioni su parecchie copertine e scrisse una versione modificata delle parti vocali del “Domine Deus”, trasformando il pezzo da un terzetto per due soprani e basso a uno per soprano, tenore e basso. Questi spartiti rappresentano la fonte primaria per l’edizione critica della Messa di Gloria.
Della Messa di Gloria sono stati trovati anche numerosi manoscritti, completi e incompleti. Il più importante si trova negli archivi Ricordi. Questa partitura offriva in origine una versione del lavoro identica a quella degli spartiti originali. Più tardi, un’altra mano (non quella di Rossini) operò delle modifiche sulla partitura. Altri manoscritti della Messa (alla Boston Public Library, alla Biblioteca Palatina di Parma, alla Biblioteca di Santa Cecilia a Roma) concordano quasi dappertutto con queste correzioni. Abbiamo tutti i motivi per
credere che le modifiche non siano opera di Rossini, ma le ragioni di questi cambiamenti e la storia del loro inserimento nella partitura del manoscritto Ricordi rimangono misteriose.
Alcuni manoscritti portano l’indicazione “Messa a 4 voci e più strumenti obbligati”. Due movimenti per voci soliste sono in effetti concertanti, con parti soliste per gli strumenti oltre che per le voci: il “Gratias” per tenore e corno inglese (la partitura Ricordi e i manoscritti da essa derivati lo sostituiscono con un fagotto), e il “Quoniam” per basso e clarinetto. In una lettera del 1820 Rossini stesso si riferisce tuttavia alla composizione come a una “Messa di Gloria”, il titolo adottato dall’edizione critica.
Nella Messa di Gloria niente fa pensare che Rossini si sia accostato al lavoro con convinzione men che totale. Forse il numero corale meno riuscito è il “Kyrie”, una composizione di forza e unità notevoli. Il brano è costruito attorno a una breve figura ritmica dell’orchestra. Questo motivo appare dapprima come ornamento melodico e ritmico nell’introduzione, ma continua a venir usato come parte del tema del Kyrie esposto dall’orchestra e in tutta la trama orchestrale. Le battute iniziali della composizione sono inconsuete dal punto di vista armonico, perché sulle prime la tonalità non vi è affatto chiara. Dopo il Kyrie vi è un duetto per due tenori sulle parole “Christe eleison”, con un delicato accompagnamento orchestrale, seguito da una ripresa abbreviata del Kyrie.
Il Gloria è un brano dove l’assunto teatrale è molto più evidente che nel Kyrie, e può effettivamente venir descritto come la sovrapposizione di due cori, uno di angeli e uno di pastori giubilanti. Vi vengono usati due gruppi contrastanti di materiale tematico, entrambi esposti dapprima dall’orchestra. Il tema dei pastori viene eseguito nelle sezioni gravi dell’orchestra e del coro e viene trattato in crescendo, con un’orchestrazione sempre più elaborata a ogni ripresa. I cori angelici eseguono invece una linea melodica piena di grazia nei registri acuti, in netto contrasto con il sobrio tema dei pastori. Questo materiale tematico non viene mai sviluppato, ma è semplicemente ripetuto, per cui la forza della composizione si basa interamente sul suo fascino melodico. Si tratta di un coro molto efficace, e l’entusiasmo dei Napoletani si capisce facilmente. Sei anni più tardi, il tema terrestre divenne parte dell’ouverture e del Finale Secondo de Le siège de Corinthe.
Le arie solistiche, il “Laudamus”, e il “Gratias”, e il “Quoniam” sono tutte dei brani virtuosistici, sebbene il “Laudamus”, un’aria per soprano, presenti delle notevoli differenze. La sua costruzione bipartita (Andante maestoso-Allegro) e la struttura interna di ogni sezione ricorda il modello di aria (cantabile- cabaletta) più comunemente usata da Rossini nelle sue opere napoletane. Anzi, l’introduzione orchestrale dell’Andante maestoso è una frase che Rossini usò in alcune opere, in particolare nella cavatina di Bianca nel Bianca e Falliero e nell’aria della Contessa di Folleville ne Il viaggio a Reims.
Il “Gratias” (per tenore) e il “Quoniam” (per basso) sono piuttosto diverse. Sono composte tutt’e due in un’unica sezione e prevedono degli obbligati strumentali. Le loro radici risalgono alle arie con ritornello settecentesche, dove il ritornello iniziale eseguito dall’orchestra o da uno strumento obbligato presenta il materiale tematico su cui s’innalza l’edificio del resto della composizione. Nelle sue opere Rossini usa raramente questa tecnica, e l’inserimento di queste composizioni nella sua Messa rimanda a uno stile più arcaico ed essenziale.
La Messa di Gloria presenta due movimenti solisti per tenore. L’analisi delle parti vocali indica che il lavoro esigeva due cantanti distinti, e la presenza di due parti di tenore nel “Christe” lo conferma. Il “Gratias” venne scritto per il tipo di voce che associamo a Giovanni David, di tessitura acuta e virtuosismo estremo. Il “Qui tollis”, d’altro canto, richiede una voce molto più potente e più estesa nell’ottava bassa, a suo agio anche nei salti di grandi intervalli, e simile per stile vocale alle parti scritte per Andrea Nozzari. Il 19 marzo 1820 a Napoli, sia David che Nozzari cantarono nel Ciro in Babilonia di Pietro Raimondi, e ciò fa pensare che i due tenori prendessero parte alla prima della Messa di Gloria di Rossini.

Piero Raimondi

Il “Qui tollis” rappresenta una delle sezioni più drammatiche della Messa: il suo tono e la caratteristica interazione del coro dei solisti anticipano l'”Inflammatus” nello “Stabat Mater” di Rossini. Ma il “Qui tollis” è un brano più schiettamente operistico dell'”Inflammatus” e si conclude con quella che può venir definita solo come una caballetta in piena regola, e per di più straordinaria.
Grazie alle ricerche di Jesse Rosemberg, sembra ora probabile che il famoso contrappuntistica Pietro Raimondi abbia effettivamente collaborato con Rossini alla Messa di Gloria, e che il numero finale del lavoro, il “Cum Sancto” sia stato composto da Raimondi. La sostanza tematica della fuga conclusiva e delle tecniche contrappuntistiche impiegate è paragonabile punto per punto allo stile di Raimondi, come si manifesta in lavori simili scritti attorno al periodo della Messa di Gloria rossiniana. Il Pesarese voleva probabilmente concludere la sua Messa con una vigorosa fuga finale. La mancanza di tempo o il senso di insicurezza che continuava ad affliggere la “pecora nera” della scuola di contrappunto di Padre Mattei, fecero sì che Rossini invitasse Raimondi a collaborare con lui. L’impetuosa fuga finale è in due parti, la seconda basata su un’inversione del tema della prima.
La Messa di Gloria di Rossini (con la collaborazione di Raimondi) è un bellissimo lavoro, ma anche un’opera di grande importanza per l’inizio dello studio della musica sacra italiana dell’Ottocento. È la prima musica sacra composta da Rossini durante la sua maturità, anzi l’unico lavoro sacro che ci sia pervenuto dal periodo in cui il compositore fu attivo come operista. Nell’orchestrazione magistrale, il raffinato senso del dettaglio, e il dominio sicuro di una vasta gamma di strutture musicali, la Messa rivela l’influsso delle opere del periodo napoletano, in particolare del Mosé in Egitto, dandoci un saggio della ricerca di uno stile sacro da parte del compositore.

Traduzione: Giorgio Giandomenici