Rossini – Respighi

Patite Messe Solennelle

Una delle poche versione per Coro e Orchestra. Nel 1863 la prima partitura comprendeva un coro due pianoforti ed un armonium, in seguito prima che lo facesse qualche altro, Rossini si premurò di persona a scrivere la versione per coro e orchestra. L’attacco è veramente emozionante. Ottima performance. Ancora una volta Riccardo Chailly sul podio dell’orchestra e coro del Teatro Comunale di Bologna, ci da un’ulteriore prova di limpidezza e precisione stilistica. Versione per coro e orchestra di altissimo pregio. Registrazione eseguita in DDD nel 1995. Audio eccezionale. Ultraraccomandato per non dire imperdibile!

Il documento “L’ultimo peccato mortale” di Rossini

Immaginate di trovarvi in una residenza privata, riccamente arredata, a Parigi. È il 16 marzo 1864. Siete ospiti di un’illustre famiglia francese, il conte Michel Frédéric e la contessa Louise Pillet-Will. Fra gli ospiti, il fior fiore della musica francese: Giacomo Meyerbeer, Daniel-Francois Auber, Ambroise Thomas.

Siete circondati da funzionari dell’alta politica, ambasciatori, cantanti famosi. Viene consacrata una cappella privata, e l’avvenimento è accompagnato dalla prima esecuzione di una nuova composizione di Gioacchino Rossini: la Petite messe solennelle, completata nel 1863 e dedicata alla contessa. Vi sono quattro solisti del conservatorio, accompagnati da due pianoforti e un harmonium. È presente Rossini in persona, il quale batte i tempi, aiutando gli interpreti e voltando le pagine per il primo pianista. È un attimo di profonda devozione. Il compositore ha settantadue anni, e da oltre trent’anni non scrive alcuna opera di rilievo.
Nel 1823 Stendhal iniziò la sua Vita di Rossini paragonando il compositore a Napoleone e affermando che “la gloria di quest’uomo non conosce limiti se non quelli della civiltà stessa”. I contemporanei lo consideravano un gigante la cui impronta segnava ogni aspetto dell’arte operistica. Tuttavia nel 1829, all’età di trentasette anni e avendo scritto una quarantina di opere per l’Italia e per la Francia – l’ultima delle quali era il suo capolavoro Guglielmo Tell – Rossini si era ritirato dalla ribalta. Sono state avanzate varie ipotesi: finanziarie, fisiche, psicologiche e artistiche, ma soltanto un ritratto profondo e completo dell’uomo e dell’artista ci può aiutare a comprendere i suoi motivi.
Durante il successivo quarto di secolo di tanto in tanto Rossini scrisse qualche nuova composizione. Vari momenti del suo Stabat Mater nacquero nel 1832, il resto seguì nel 1841; le canzoni e i duetti cameristici noti come Soirées musicales risalgono all’inizio degli anni Trenta. All’inizio rimase a Parigi, lottando per ottenere una pensione che gli era stata concessa dal governo – ormai crollato – di Carlo X, e stringendo il rapporto con Olympe Pélissier, la quale diventerà sua seconda moglie. Fece ritorno in Italia del 1836, visse a Milano, Bologna (come direttore del conservatorio) e infine a Firenze. Malato e moralmente depresso, in una lettera del 1854 si lamentò del “deplorabile stato di salute in cui mi trovo da ben cinque mesi per l’ostinatissimo mal di nervi che mi toglie i sonni e direi quasi l’uso della vita”. Sperando che i dottori francesi si dimostrassero più efficaci là dove gli italiani avevano fallito, Rossini tornò a Parigi nel 1855.
Nella capitale francese ritrovò la vita. La salute migliorò. Si costruì una villa nella periferia di Passy, affittò un appartamento in città e intrattenne un elegante salotto. Ricominciò anche a comporre: più di 150 pezzi per pianoforte, canzoni e brani per piccoli complessi, ch’egli chiamò Péchés de vieillesse – “peccati di vecchiaia”. L’opera più importante di questi anni dell’anzianità è la Petite messe solennelle. Sul manoscritto della versione originale (con accompagnamento di due pianoforti ed harmonium), Rossini scrisse la seguente nota introduttiva rivolgendosi a Dio: Petite Messe Solennelle…… Dodici canti di tre sessi, Uomini, Donne, Castrati, saranno sufficienti per l’esecuzione. Vale a dire otto per il Coro, quattro per gli assoli, in totale Dodici Pargoletti. – Iddio mi perdoni il seguente paragone. Dodici sono pure gli Apostoli nel celebre affresco dipinto da Leonardo e intitolato l’Ultima Cena. Chi l’avrebbe creduto! Tra i tuoi discepoli vi sono di quelli che cantano note sbagliate!! Signore ti assicuro che al mio Pranzo non vi sarà alcun Giuda, e che i miei canteranno intonati e con amore le vostre lodi e questa piccola composizione che, ahimè, è l’ultimo Peccato mortale della via vecchiaia.

Olympe Pélissier

E come congedo finale, aggiunge: Caro Dio. Eccola terminata questa povera piccola Messa. Ho scritto musica sacra o musica maledetta? Ero nato per l’opera buffa, lo sai bene! Poca scienza, un pochino di cuore, ecco tutto. Sii dunque Benedetto, e concedimi il Paradiso.
Vi è qualcosa di straordinariamente affascinante in questa ironica ingenuità. Per quanto le sue accese difese pubbliche gli avessero conquistato la reputazione del grande cinico, qui la maschera cade e il compositore canta, appunto “con amore”, le lodi di Dio.
Dal principio alla fine della Messa Rossini abbraccia la tradizione storica, impiegando al contempo un linguaggio compositivo moderno. (Non è puro caso che dal 1857 fino alla sua morte nel 1868 Rossini sia stato uno dei sottoscrittori dell’edizione critica delle opere di Bach che veniva pubblicata in Germania). Anche conoscendo i movimenti contrappuntistici delle sue opere sacre precedenti, non si può non rimanere impressionati dalla ricchezza delle fughe doppie sul “Cum Sancto Spiritu” e l’ “Et vitam venturi saeculi. Amen” alla conclusione del Gloria e del Credo, là dove gli adattamenti della Messa generalmente ricorrevano a un elaborato contrappunto. Rossini ha qualcosa dello scolaro birbone persino in questi momenti di esaltazione. Ad esempio le due melodie della fuga dell'” Et vitam venturi”, in realtà non sono altro che una scala maggiore ascendente e una corrispondente scala discendente – suonate simultaneamente – di cui quella discendente è meravigliosamente abbellita. E ciononostante, quale vitalità in una fuga costruita su basi così elementari! Il vigore ritmico di Rossini e l’accurato intreccio di voci mantengono accesa l’attenzione, mentre un meticoloso piano armonico dà alla fuga un aspetto di stabilità strutturale e un senso di inevitabilità.
Accanto alla scrittura contrappuntistica abbondano anche un elaborato cromatismo, l’audacia armonica e le stupende melodie. Alcuni brani, come l’aria del tenore “Domine Deus” nel Gloria, sono dichiaratamente operistici grazie alla prominenza delle melodie di qualità. Ma persino qui l’armonia di Rossini è straordinariamente inventiva. La frase introduttiva nel modo maggiore, sembra quindi spostarsi verso un’altra tonalità, poi viene costretta a ritornare – questa volta nel minore. Dopo un attimo di instabilità, l’armonia si oscura di nuovo. Soltanto alla fine dell’intero periodo Rossini permette alla musica di giungere alla pace. E tutto questo con semplici motivi operistici!
L’intero Credo è un capolavoro di parsimonia. (L’indicazione per il tempo è sicuramente la più appropriata dell’intera musica sacra: Allegro Cristiano!). Alla base vi sono alcune idee musicali, col testo e con la musica del “Credo” che servono da ritornello. La sezione del Crucifixus è profondamente sentita. L’annunciazione della Resurrezione stabilisce l’umore dell’inizio. Ritornano il motivo iniziale e il testo del Credo, spazzando via il dolore del Crucifixus con la forza della fede. In momenti come questi la Petite messe solennelle ci palesa la vita interiore del compositore.

Gioacchino Rossini

Ma il momento più profondo è l’Agnus Dei finale, la triplice invocazione di pietà e di pace da parte del contralto. Le risposte – senza accompagnamento – del coro a ogni invocazione avvengono col testo “Dona nobis pacem”. Tale anticipazione delle parole finali della Messa può essere sospetta sotto il profilo liturgico, ma è certamente irresistibile dal punto di vista emozionale, come lo è la conclusione del movimento, dove il modo minore dell’Agnus Dei si eleva finalmente al maggiore, con il contralto e il coro uniti per la preghiera finale. Durante la vita di Rossini la Petite messe solennelle fu eseguita solo tre volte, sempre nella dimora dei Pillet-Will. Il compositore aveva infatti riservato le sue tarde composizioni per una piccola cerchia di amici intimi. Rendendosi conto che dopo la sua morte non avrebbe potuto limitare le esecuzioni della Messa, Rossini ne approntò una versione orchestrale nel 1867, ragionando che – se non la faceva lui – il compito se lo sarebbe assunto certamente qualcunaltro. Questa versione fu eseguita però soltanto dopo la sua morte, il 28 febbraio 1869 al Théatre-Italien di Parigi e con grandissimo successo. Le compagnie itineranti la presentarono in tutta Europa, stabilendo un precedente per la tournée della Messa da Requiem di Verdi che ebbe luogo durante gli anni Settanta.
Ciascuna delle due versioni ha i propri sostenitori: alcune insistono sul peso della parola Petite del titolo, cercando di sottolineare il carattere intimo e cameristico della musica; altri favoriscono l’aspetto solennell, lodandone i ricchi e svariati colori strumentali dell’orchestrazione di Rossini. Fortunatamente non siamo tenuti a compiere una scelta: ciascuna versione ci svela una faccetta diversa della Petite messe solennelle e del compositore stesso.
Rossini visse a lungo; conobbe le vertiginose vette della fama e conobbe la profondità della disperazione personale. Da questo ampio spettro emozionale egli estrasse – per così dire – la sua ultima grande composizione e la dedicò a Dio. “Poca scienza, un poco di cuore, ecco tutto. Sii dunque Benedetto, e concedimi il Paradiso”. Sarà improbabile che la sua preghiera sia rimasta inascoltata.

Philip Gossett
(Traduzione: DECCA 1995)