Hector Berlioz

Symphonie Fantasique

Essendo un grande estimatore di Karajan, raccomando entrambe le registrazioni Karajan/Berliner Philharmoniker. L’esibizione del 1964 vede il direttore austriaco e la sua orchestra molto impegnati e in alcuni passaggi fanno battere il cuore. Questa incisione degli anni settanta non produce lo stesso effetto. Questo vale soprattutto per i primi due movimenti. Contrariamente nella Marcia al supplizio gli ottoni e i timpani sono più incisivi ed energici. Un altro punto a favore di questa versione più recente è il suono indimenticabile delle campane nell’ultimo movimento. Nella versione del 1964, Karajan ebbe molto più successo nel trasmettere l’ossessione dell’ispirazione di Berlioz: la musica è più paurosa, più affascinante, più pazza, più demoniaca… scegliete gli aggettivi che volete. Comunque entrambe sono degne di essere ascoltate. L’audio della registrazione degli anni sessanta rimasterizzato a 24 bit è nettamente migliore e questa incisione insieme ad altri 79 CD è contenuta in un pregevolissimo box denominato “Karajan 70”, pubblicato dalla DGR per il venticinquesimo anniversario della morte di quell’istrione che fu Herbert von Karajan. Registrazioni eseguite dal 1972 al 1975 e rimasterizzazione effettuata nel 1999.

Symphonie fantastique – Danze da “La Damnation de Faust”

Nel 1830, nello stesso anno in cui Berlioz portava a compimento la sua Symphonie Fantastique, Felix Mendelssohn fece visita all’ottantenne Goethe e suonò al pianoforte davanti al lui la Quinta Sinfonia di Beethoven. “È grandioso! Una cosa grandissima, veramente temeraria, ci sarebbe da avere paura che la casa crolli. E se ora tutti gli uomini si mettessero a suonare tutti insieme!” Come avrebbe reagito allora Goethe, il rappresentante non soltanto di un’epoca ma della classicità in assoluto della musica di Berlioz? Lo stupore, lo sconvolgimento che già sentiva in sé di fronte alla prorompente energia beethoveniana si sarebbero intensificati a dismisura, “Grandezza – forse! – ma soprattutto “follia temeraria” sarebbe stato sicuramente il senso del suo giudizio. Non mi sembra errato tener presente questa contemporaneità di eventi; essa chiarisce degli aspetti sostanziali inerenti alla situazione storica del linguaggio musicale di quell’epoca. Si prospettavano allora l’uno accanto all’altra due principali compositivi che avrebbero lasciato la loro impronta sull’intera evoluzione storica successiva, e tutti e due erano derivati da Beethoven. Da una parte c’era quell’atteggiamento fedele ad una concezione autonoma della musica, orientata al canone formale che si scorgeva nell’opera beethoveniana – i suoi rappresentanti si ponevano sulla linea Mendelssohn – Schumann – Brahms. Dall’altra parte c’erano compositori come Berlioz, Lizst, Strauss, che ne consideravano l’elemento contenutistico – presente ad esempio nella Quinta, ma egualmente nell'”Eroica”, nella “Pastorale” o nella “Nona Sinfonia” beethoveniana – e lo elevavano a componente principale della loro musica: alla base della loro attività compositiva, quale programma immaginato o compiutamente formulato, c’era un'”idea poetica”, un messaggio extra- musicale o addirittura una vicenda concreta.
La Symphonie Fantastique di Berlioz si pone all’inizio di questo nuovo indirizzo, lasciandovi un’impronta che durò un’intera epoca. Il genere della musica a programma, quale si mostra qui in maniera esemplare, non fu però ispirato solo da modelli musicali, ma in particolar modo da opere letterarie. Accanto alla Beethoven c’era soprattutto l’esperienza shakespeariana. Nel 1827 furono rappresentati a Parigi da una troupe inglese in tournée dei drammi di Shakespeare, e furono accolti con entusiasmo frenetico.
La sinfonia di Berlioz come dramma strumentale: già la successione dei movimenti, che spezza la tradizionale cornice sinfonica, fa pensare ai cinque atti del dramma classico, ma ancor più vi rimanda il suo intimo sviluppo. “Episodio della vita d’un artista” è intitolato il suo programma. L’artista come eroe tragico, solitario e sofferente – una figura tipica della letteratura romantica, dunque, qui però con forti tratti autobiografici: l’amore di Berlioz per l’attrice irlandese Harriet Smithson fu un essenziale impulso alla composizione. Il protagonista vede l’amata in tante immagini visionarie. “Fantasticherie – Passioni” costituiscono la parte iniziale della Sinfonia, cui si aggiungono poi in un impetuoso crescendo drammaturgico gli altri episodi della vicenda. L’immagine dell’amata appare ogni volta sotto forma di un motivo musicale fondamentale come idée fixe secondo la definizione dello stesso Berlioz, che aveva preso in prestito il termine dalla patologia.

Herbert von Karajan

Sempre più strane e stravaganti divengono le apparizioni dell’amata, che al tempo stesso rispecchiano le immagini ossessive che se ne è fatto il protagonista – dalla graziosa danzatrice del secondo movimento alla grottesca figura spettrale dell’ultimo. Se i primi tre quadri della Sinfonia sono da intendere ancora come episodi “realistici”, dopo la “Scena campestre”, – una manifesta reminiscenza della “Pastorale” di Beethoven – inizia l’angosciosa allucinazione dell’artista, che sogna di aver ucciso l’amata, di assistere alla propria esecuzione capitale e di essere accolto – mentre risuona il Dies irae della Messa da requiem – nel regno dei demoni: quasi un’apoteosi di segno contrario.
Le inaudite raffinatezze strumentali di cui fa uso Berlioz sono completamente subordinate alle esigenze di una intensificazione espressiva. Si considerino ad esempio soltanto i colori cangianti che accompagnano la ridda infernale delle streghe e dei demoni. Berlioz ha modificato a più riprese il programma della Sinfonia, senza che si possa riconoscere in ciò una tendenza coerente. Qui si pone ora la vecchia domanda, fino a che punto delle delucidazioni possano risultare vincolanti ai fini della comprensione di una musica, e se il coinvolgimento della letteratura nella musica – una questione controversa già per i contemporanei – significhi un vantaggio, per le nuove dimensioni spirituali che si aprono (Lizst), o se debba essere invece considerato un impoverimento del momento prettamente musicale (Schumann).
Lo stesso Berlioz aveva un atteggiamento oscillante. Una volta riteneva indispensabile la precisa conoscenza del programma, e faceva stampare e distribuire al pubblico dei fogli con spiegazioni al riguardo. Un’altra volta affermava che “la Sinfonia in sé, e a prescindere da ogni intendimento drammatico, può destare un interesse puramente musicale”. Oggi si aderirà piuttosto a quest’ultima proposizione; in effetti, per l’ascoltatore il fascino risiede anche nel fatto di non essere a conoscenza di tutti i dettagli, di non poter così dare loro una spiegazione risolutiva, e di dover invece abbandonarsi ad un sogno puramente fantastico.

Volker Scherliess
(traduzione: Gabriele Cervone)

Symphonie fantastique, episodi della vita di un artista in 5 parti per orchestra, op. 14

Nel periodo di gestazione della Symphonie fantastique – scritta nei primi mesi del 1830, eseguita a Parigi il 5 dicembre dello stesso anno e ampiamente ritoccata negli anni seguenti – Berlioz la descriveva come «un’immensa composizione strumentale d’un genere nuovo, con cui cercherò d’impressionare fortemente gli ascoltatori», affermando che ne aveva chiaramente in testa lo schema da molto tempo, pur avendo bisogno di «molta pazienza per collegarne le parti e dare ordine al tutto». Molti anni dopo, nelle sue Memorie, scriveva:

«Immediatamente dopo le otto Scènes de Faust, e sempre sotto l’influsso di Goethe, scrissi la Symphonie fantastique, con molta fatica per alcune parti e con una facilità incredibile per alcune altre. Così l’Adagio (Scène aux champs), che ha sempre impressionato così vivamente il pubblico e me stesso, mi affaticò per più di tre settimane: l’abbandonai e la ripresi due o tre volte. La Marche au supplice, al contrario, fu scritta in una notte».
Come al solito Berlioz reinventava la realtà alla luce della propria esaltazione romantica, tacendo o modificando abilmente alcuni fatti, perché, se è vero che aveva in mente “un’immensa composizione strumentale d’un genere nuovo”, è anche vero che la mise insieme quasi interamente con pezzi composti in precedenza e rimasti incompiuti o inutilizzati.
Ecco perché alcune parti furono “composte” con tanta facilità. La Marche au supplice, “scritta in una notte” secondo le Memorie, fu tratta da un’opera incompiuta, Les Francs Juges: Berlioz non si dette neanche la pena di ricopiarla, limitandosi a nascondere il titolo originale con una striscia di carta incollata. Altri pezzi dovettero necessariamente essere rimaneggiati, più o meno ampiamente.
L’introduzione al primo movimento fu ricavata da una romanza scritta dieci anni prima, Je vais donc quitter pour jamais. Dalla cantata Herminie, del 1828, viene il tema ricorrente della Sinfonia, la cosiddetta idèe fixe. Da Les Francs Juges fu utilizzato anche un mélodrame, ambientato originariamente in una vallata in mezzo alle montagne, tra cui si odono le cornamuse dei pastori, mentre verso la conclusione si sente il brontolio del tuono: è evidente che il compositore non dovette faticare molto per trasformare questo brano nella Scène aux champs. Infine da una Ronde de Sabbat, già abbondantemente abbozzata per un Ballet de Faust, deriva il Songe d’une nuit de Sabbat.
Si capisce allora che il maggiore problema fosse “collegare le parti” e che quest’operazione richiedesse a Berlioz “molta pazienza”. Per dare un’impossibile coerenza a questi pezzi eterogenei, ideò un “programma”, che presentava al pubblico la Sinfonia come la narrazione musicale d’un “episodio della vita d’un artista”, più precisamente della “infernale passione” dell’autore per l’attrice irlandese Harriett Smithson, da lui conosciuta nel 1827, quando era stata protagonista di alcune tragedie di Shakespeare sulle scene parigine. Già nel maggio del 1830 – in previsione d’una prima esecuzione, poi saltata per problemi organizzativi – Berlioz aveva fatto pubblicare il “programma” della Sinfonia, che parlava delle allucinazioni di un giovane artista (chiaramente il compositore stesso) avvelenatosi con l’oppio per amore d’una donna (chiaramente la Smithson: la passione non ricambiata di Berlioz era di dominio pubblico). Ma presto Berlioz dimenticò (temporaneamente) la Smithson e s’innamorò della pianista Marie-Félicité-Denise Moke: sembra che fosse stata fissata perfino la data delle nozze, senonché, nella primavera del 1831, mentre il compositore si trovava a Roma, la fidanzata sposò un altro musicista, Camille Pleyel. Fuori di sé, Berlioz decise di tornare a Parigi per ucciderla e uccidersi a sua volta, ma a metà strada si fermò e desistette. Sulla spinta di questi nuovi eventi, rimise mano alla musica e al programma della Sinfonia. In effetti si direbbe che l’arte avesse preceduto la vita, perché la Fantastique si adatta più alla tempestosa storia con l’infedele pianista che all’amore per la civettuola attrice, sfociato di lì a qualche anno in un borghesissimo e poco felice matrimonio.
La storia della veloce eppur tormentata e tempestosa creazione della Symphonìe fantastique è assolutamente indicativa della personalità del giovane Berlioz, dei suoi atteggiamenti byroniani, della sua tendenza a confondere arte e vita, del suo desiderio di colpire l’immaginazione, della sua passione per l’abnorme, della sua concezione teatrale della musica, da cui scaturisce una Sinfonia che non si basa su concatenazioni e sviluppi musicali consequenziali, secondo i principi classici, ma si presenta divisa in scene, seguendo un’organizzazione drammatica fatta di contrasti, addensamenti e scioglimenti, come un dramma. Berlioz rivendicava esplicitamente questo carattere teatrale della Fantastique, affermando che «il programma deve essere considerato come il testo di un’opera, che serve a presentare i brani musicali, descrivendone il carattere e l’espressione», perché «la trama del dramma strumentale, privato del soccorso delle parole, ha bisogno di essere esposta preventivamente». Ma anni dopo, smorzate le esasperazioni romantiche e riaffiorato il fondo classicheggiante della sua formazione, Berlioz disse di sperare che la SUa Sinfonia «fosse interessante dal punto di vista esclusivamente musicale, senza preoccuparsi del programma». Effettivamente, il valore della Symphonie fantastique sta non tanto nel programma quanto nei suoi aspetti musicali. E tra gli aspetti musicali emerge in funzione dominante, per la prima volta nella storia della musica, il timbro. Secondo Fedele d’Amico, questa è «una sorta di spettacolosa coreografia» fatta appunto di timbri. La straripante inventiva di Berlioz nella creazione di impasti strumentali fino allora inimmaginabili emerge in quasi ogni battuta: ne è un famoso esempio, subito prima della fine del terzo movimento, il passaggio affidato al corno inglese e a quattro timpani, che suggerisce il brontolio dei tuoni in lontananza. Ma soprattutto gli ultimi due movimenti si presentano come un crescendo inarrestabile di sonorità orchestrali nuove e originali, che, per creare le atmosfere allucinate e grottesche della marcia al supplizio e del sabba, giungono fino a deformare quello che è normalmente considerato il timbro naturale degli strumenti.
Ma significherebbe far torto a Berlioz e alla sua idea della musica a programma, che tanta fortuna ebbe nei cent’anni successivi alla Fantastique, ignorare completamente i contenuti narrativi della Sinfonia. Dunque si riproduce qui il programma nella verisone abbreviata, preparata per le esecuzioni successive alla prima:
«Un giovane musicista di sensibilità morbosa e di immaginazione ardente, in un eccesso di disperazione amorosa, si avvelena con l’oppio. Ma la dose è troppo debole per dargli la morte e lo fa cadere in un sonno pesante, accompagnato da strane visioni, durante il quale le sensazioni del suo cervello malato si traducono in immagini musicali. La donna amata è divenuta per lui una melodia che, come un’idea fissa, ritrova e riode ovunque.
Sogni-Passioni – Egli ricorda il malessere dell’anima, l’onda di passioni, la malinconia e la gioia senza perché, provate prima d’incontrare la donna che ama; ricorda l’amore vulcanico ch’ella gli ispirò al primo sguardo, l’angoscia delirante, la gelosia furiosa, i ritorni di tenerezza, i conforti…
Un ballo – Egli ritrova l’amata in una festa da ballo, tra il gaio tumulto delle coppie danzanti…
Scena nei campi – Una sera d’estate, vagando tra i campi, egli ascolta due pastori che cantano una nenia alpina. Questo dialogo pastorale, unito al lieve mormorio degli alberi scossi dal vento, contribuisce a rendere al suo cuore una strana calma e a rivestire le sue idee d’un colore più sereno. L’idea fissa riappare, il suo cuore si stringe, presentimenti dolorosi lo turbano… Uno dei pastori riprende la serena melodia, ma l’altro non risponde più. È il tramonto. Un lontano brontolio di tuono. Solitudine. Silenzio…
Marcia al supplizio – Egli sogna d’aver ucciso la donna amata, d’essere stato condannato a morte e si vede condotto al patibolo. Il corteo avanza al suono d’una marcia ora cupa e feroce, ora brillante e solenne: un sordo rumore di passi succede senza transizione agli scoppi più fragorosi. Alla fine riappare l’idea fissa, come un ultimo rapido pensiero d’amore, interrotto dal colpo fatale.
Sogno d’una notte di Sabba – Egli immagina d’essere al Sabba, tra un gruppo di streghe, stregoni e mostri orribili d’ogni genere, qui riuniti per i suoi funerali. Strani rumori, lamenti, risate, grida lontane, cui altre sembrano fare eco. La melodia dell’amata riappare, ma ha perduto ogni carattere di nobiltà e di pudore: non è più se non un’ignobile e triviale motivo di danza… È lei che viene al Sabba e si unisce all’orgia diabolica… Campane funebri, parodia burlesca del Dìes irae, ridda infernale..»

Danze da “La Damnation de Faust”

Nell’epoca romantica il carattere della danza viene riscoperto e reinterpretato: dalla danza originale ha dunque origine il pezzo da concerto, la scena di ballo; sia nell’opera che nell’oratorio la danza si intreccia alla vicenda, assumendo una funzione drammaturgica. Anche Berlioz ha fatto uso delle danze in tale funzione. Nella “Danza dei silfi”, l’ondeggiante valzer degli spiriti dell’aria nella leggenda drammatica La Damnation de Faust (1846), la desiderabile immagine di Margherita appare a Faust durante il sonno in cui l’ha sprofondata Mefistofele.
Molto più vasto e più significativo sotto il profilo drammaturgico e formale – si tratta di un minuetto – è la “Danza dei folletti”, gli spiriti del fuoco che Mefistofele evoca perché Margherita “cada nel peccato”.

Hans Rutz
(Traduzione: Manuela Amadei)