Cajkovskij Ilic Petr

Sinfonie 1-2-3-Francesca da Rimini

Registrazioni eseguite dal 1965 al 1975 e rimasterizzazione effettuata nel 1995. Audio ottimo. CD di difficile reperibilità. Altamente raccomandato.

Inequivocabile carattere russo

Meno note della Quinta e soprattutto della Sesta, la celebre “Patetica”, le prime tre sinfonie rappresentarono per Cajkovskij una specie di banco di prova su cui il compositore russo affrontò quelle che anche in seguito sarebbero state le esigenze stilistiche più importanti per la sua ispirazione: il fascino esercitato dal linguaggio musicale popolare della sua terra da un lato e il bisogno, dall’altro lato, di dare a quel linguaggio una struttura che fosse in sintonia con gli orientamenti della contemporanea musica colta occidentale. Il conflitto fra le due opposte tendenze riflette almeno in parte quello che animava la vita musicale russa dopo il 1860, quando Cajkovskij iniziò la propria carriera di compositore; alle spinte nazionalistiche, cariche di spirito spesso polemicamente innovatore, che erano rappresentate dal cosiddetto “Gruppo dei

Cinque”, si contrapponeva l’ambiente austero del Conservatorio di Pietroburgo, cui Anton Rubinstein aveva imposto un orientamento filoeuropeo piuttosto accademico.
Con i “Cinque” Cajkovskij non familiarizzò mai, né per ciò che riguarda gli intendimenti artistici e musicali né in senso personale. Il compositore li considerava “dei grandi talenti dai quali, fatta eccezione per Rimski-Korsakov, non è possibile aspettarsi nulla di serio”, lasciando intendere che egli non ne condivideva il programmatico dilettantismo che consentiva loro di conciliare l’attività musicale con gli impeghi ufficiali. Nel 1863, infatti, Cajkovskij, a 23 anni, scelse di intraprendere a tempo pieno la professione di musicista, dimettendosi dal Ministero di Giustizia dove era impiegato da qualche anno per continuare gli studi musicali al Conservatorio di Pietroburgo. Benché non osteggiato dalla famiglia, il suo fu un gesto piuttosto anticonformista nei confronti di una mentalità che considerava ancora il “mestiere” di musicista più adatto alle classi subalterne che a un membro di quella piccola nobiltà aristocratica cui il compositore apparteneva.
La Sinfonia n. 1 op. 13 fu il primo lavoro orchestrale composto da Cajkovskij dopo il suo trasferimento da Pietroburgo a Mosca, dove fu chiamato come insegnante di armonia presso il nuovo Conservatorio. La prima stesura risale al 1866, ma in seguito l’autore apportò radicali rimaneggiamenti alla partitura. Il titolo “Sogni d’inverno” non indica precise situazioni, ma allude vagamente a un’ambientazione invernale cui il secondo movimento (“Terra di desolazione, terra di nebbie”), con l’ampia, bellissima melodia affidata all’oboe conferisce un sapore inequivocabilmente russo.
Sei anni più tardi, ancora le tematiche nazionali spinsero Cajkovskij a comporre la Seconda sinfonia op. 17, che fu eseguita a Mosca con grande successo e approvazione anche da parte dei Cinque. “Piccola Russia” (ossia Ukraina) non è un titolo originale, ma risulta pienamente giustificato dalla presenza di numerosi temi tratti direttamente dal folclore musicale ucraino. A differenza della Sinfonia op. 13, l’Allegro vivo iniziale è introdotto da un ampio Andante sostenuto in cui prima i corni e poi un fagotto espongono una nota melodia popolare, ripresa anche in seguito. Il Finale, dalla trascinante forza espressiva, è il fulcro dell’intera composizione; vi domina il motivo di una canzone popolare, La gru, esposto inizialmente dall’intera orchestra e poi sottoposto a una geniale elaborazione in coppia con un secondo tema, fino alla coinvolgente, gioiosa conclusione.
Non altrettanto caratterizzata è invece la Sinfonia op. 29, che fu scritta nel 1875 subito dopo il notissimo Concerto in si bemolle per pianoforte e orchestra.

Nikolaj Grigor’evic Rubinstejn

Benché interessante per l’orchestrazione molto raffinata, l’opera presenta un carattere in un certo senso sperimentale, derivante dall’intenzione dell’autore di misurarsi direttamente con la tradizione europea, in particolare con i lavori sinfonici di Schumann. Essa è conosciuta anche come “Polacca”, anche se il titolo non è originale e nella partitura non si trova traccia di spunti folkloristici se non nel ritmo di danza, appunto una polacca, del Finale.
L’anno successivo fu un spunto letterario, la nota vicenda di Paolo e Francesca narrata da Dante nel quinto canto dell’Inferno, l’occasione che spinse Cajkovskij a comporre una fantasia sinfonica di vaste proporzioni, Francesca da Rimini, pubblicata come op. 32. Il compositore era appena tornato da Bayreuth, dove aveva assistito alla rappresentazione della Tetralogia wagneriana; pur professando un certo fastidio per la monumentalità dell’opera wagneriana, non potè evitarne il fascino e l’influenza, che risultano chiaramente avvertibili nei passaggi armonici intensamente cromatici e nell’ambientazione piuttosto cupa. A un Andante lugubre con funzioni introduttive fa seguito un Allegro vivo in cui Cajkovskij dà vita sonora, con soluzioni da grande orchestratore, alla disperata concitazione delle bolge infernali. L’episodio d’amore è suggerito dal lirismo dell’Andante centrale, in cui si snoda una dolce melodia, affidata prima al clarinetto e poi agli archi. Il ritorno del turbinoso episodio iniziale accompagna al tragico epilogo gli sfortunati amanti.

(Traduzione: Laura Och)

Sinfonia n. 1 in sol minore op. 13 “Sogni d’inverno”

La prima esperienza del massimo sinfonista russo nacque con molta fatica e subì diverse trasformazioni. Appena diplomatosi al Conservatorio di Pietroburgo nel 1866 a soli 25 anni Cajkovskij si trasferì presso il nuovo Conservatorio di Mosca, dove aveva ottenuto la cattedra di Armonia su invito del direttore Nikolaj Rubinstein, fratello di Anton. Nello stesso anno iniziò la composizione di una sinfonia per la cui realizzazione decise di trasferirsi presso gli amici Mjatlev a Peterhof, dove passò tutta l’estate e per la prima (e ultima) volta nella sua vita compose di notte, cosa che gli provocò una malattia nervosa. “Ho rovinato i miei nervi nella dacia di Mjatlev, affaticandomi sulla sinfonia, che stentava a venire”. Al fratello Modest raccontava di “allucinazioni”, di “congelamento delle estremità”. Di questa brutta esperienza Cajkovskij si ricordava ancora nel 1875.
Poco prima che la sinfonia fosse del tutto finita, la mostrò ai suoi maestri di composizione e di teoria musicale del Conservatorio di Pietroburgo, Anton Rubinstein e Nikolaj Zaremba. Da parte loro ricevette soltanto severissime
critiche e il rifiuto categorico di eseguirla a Pietroburgo. In una delle lettere Cajkovskij parla con molto risentimento “dei furfanti Zaremba e Anton Rubinstein”. E anche dopo che l’autore ebbe sottoposto la partitura ad una profonda rielaborazione, i suoi professori non ritennero degna di esecuzione l’intera sinfonia, ma soltanto e a malapena l’Adagio e lo Scherzo, dei quali approvarono invece l’esecuzione. Nel frattempo lo Scherzo fu eseguito a Mosca il 10 dicembre 1866 sotto la direzione di Nikolai Rubinstein, senza successo. Nella capitale l’11 febbraio 1867 furono finalmente proposti l’Adagio e lo Scherzo sotto la direzione di Anton Rubinstein.
Infine l’intera Sinfonia ebbe la sua “prima” a Mosca sotto la bacchetta di Nikolaj Rubinstein, il 3 febbraio 1868, con esito assai felice. Il compositore scrisse al fratello Anatolij in data 12 febbraio 1868: “La mia sinfonia ha avuto grande successo ed è piaciuto soprattutto l’Adagio”.
Anni dopo Pëtr ll’ic, in una lettera scritta al suo amico ed editore Jurgenson per ringraziarlo della stampa a sorpresa fatta in occasione del suo compleanno nel 1875 (nella quale non mancava però di rimarcare i numerosi errori di stampa), così riassumeva il faticoso percorso della Prima Sinfonia: “La Prima Sinfonia è stata scritta nel 1866. Su consiglio di Nikolaj Grigor’evic” [Rubinstein], ho fatto alcuni cambiamenti prima dell’esecuzione e in questa versione è stata eseguita nel 1868. Ma in seguito ho deciso di sottoporla a una revisione radicale. Ad ogni modo, non l’ho fatto prima del 1874″. L’autore è molto affezionato al suo “peccato di giovinezza” e si dispiace che “abbia avuto una così difficile nascita”.
Finalmente il 19 novembre del 1883 la Prima Sinfonia di Cajkovskij verrà eseguita a Mosca sotto la direzione di Max Erdmannsdòrfer nella sua versione definitiva. “Ero presente al concerto della Società Musicale in cui è stata suonata la mia sinfonia, che non veniva eseguita da sedici anni. Mi hanno chiamato in scena con molto entusiasmo e ciò è stato per me piacevole, e lusinghiero, ma allo stesso tempo estremamente penoso…”.
Passiamo ora al sottotitolo della sinfonia: “Sogni d’inverno”. Si tratta di musica a programma? A tal proposito citiamo l’opinione che Cajkovskij esprime in una lettera a Sergej Taneev: “Certo, la mia sinfonia ha un programma, ma è tale che è impossibile formularlo a parole. Sarebbe ridicolo e avrebbe un effetto comico. Ma la sinfonia non dovrebbe essere la più lirica di tutte le forme musicali? Non dovrebbe esprimere tutto ciò per cui non ci sono parole, ma che sgorga dall’anima e che vuole essere espresso?” Quest’opinione non si riferisce per la verità alla Prima Sinfonia, ma è comunque assai indicativa.
Ancora una testimonianza: dopo aver visitato la casa della sua amica e mecenate Nadezda von Meck, Pëtr ll’ic le scrisse nel settembre 1878 di aver

notato un quadro, che, secondo lui, era “quasi come un’illustrazione del primo movimento della mia Prima Sinfonia. Il quadro rappresenta una larga strada d’inverno. È bello!” Inoltre è noto che la sinfonia fu scritta sotto l’impressione del viaggio del compositore sul lago Ladoga e sull’isola di Valaam.
Il primo movimento è intitolato “Visioni di un viaggio d’inverno”. L’iniziale Allegro tranquillo crea subito quel clima fiabesco che Cajkovskij saprà felicemente ricostruire anche nei suoi balletti. Il tremolo misurato dei violini sullo sfondo suggerisce il morbido movimento della slitta. Il tema principale, una semplice canzone russa, viene esposto dai flauti e dai fagotti all’unisono a distanza di due ottave, creando una sensazione di freddo e di vuoto. In aggiunta appare un motivo cromatico discendente che in prima esposizione con i legni assomiglia ad un tintinnio, mentre scendendo verso il basso con gli archi diventa più inquieto. Questo tema viene ripreso per intero da altri strumenti e la sua evoluzione raggiunge sonorità piene, quasi trionfali. Anche il secondo tema, affidato al clarinetto, è una tipica canzone russa di ampio respiro. I tre elementi menzionati vengono riproposti da vari gruppi di strumenti, che si alternano come in una conversazione, con richiami a distanza, prima del climax finale. Nella coda il tema principale viene riproposto con la stessa strumentazione dell’esposizione.
Il secondo movimento, Adagio cantabile ma non tanto è intitolato “Terra desolata, terra di brume”. Si apre e si chiude con una sorta di quartetto d’archi. Il tema viene esposto la prima volta dall’oboe col sostegno del flauto e del fagotto. Un leggero cambiamento di tempo coinvolge i violoncelli, e il tema assume così un carattere più malinconico. Dopo il ritorno al Tempo I e altre variazioni si arriva ad un improvviso accordo dei soli archi, seguito dall’ingresso di due corni che eseguono il tema fortissimo, marcando la melodia con molta espressione. La sonorità cresce ancora e giunge all’apice quando improvvisamente tutto s’interrompe e ritorna il quartetto d’archi iniziale con il sostegno del contrabbasso. L’inizio e la fine di questo movimento ben si prestano all’immagine delle brume e della cupezza del paesaggio russo dipinto da Isaak Levitan o descritto da Anton Cechov, due contemporanei del compositore a lui assai cari.
Il terzo movimento, lo Scherzo – Allegro scherzando giocoso, non ha più alcuna indicazione programmatica. Il viaggio invernale qui s’interrompe. Il materiale della prima e della terza parte dello Scherzo proviene dalla Sonata in do diesis minore per pianoforte composta nel 1865 ma annotata come op. 80.

Nadedza von Meck

La figurazione ritmica estesa in due battute, con uno spostamento di accento sul tempo debole in realtà è binaria, mentre il tempo dello Scherzo è ternario. Il tema principale è costituito da una serie di accordi eseguiti prima dagli archi e poi dai legni, con una strumentazione chiara e trasparente. Dopo una pausa
generale inizia un elegante valzer, la danza preferita del compositore e da lui usata più e più volte. Nella coda ci sorprende una bella trovata: l’assolo dei timpani al quale viene affidato in pianissimo lo schema ritmico della mazurka.
L’eventuale “programma” del finale Andante lugubre – Allegro moderato – Allegro maestoso – Andante lugubre – Allegro vìvo potrebbe essere una grande festa popolare. Questo spiegherebbe l’apparizione della canzone (come nel finale della Quarta) “Sbocciavano i fiori”, che si sviluppa gradatamente da un nucleo in sol minore per trasformarsi in blocchi di accordi in sol maggiore. L’organico è aumentato notevolmente con l’uso massiccio degli ottoni – trombe, tromboni e tuba – e ancora piatti, grancassa… Il netto contrasto tra “lugubre” e “maestoso” costituisce l’architettura di questo movimento in cui il compositore dimostra abilità nelle elaborazioni polifoniche unitamente alla capacità di raggiungere sonorità grandiose.

Sinfonia n. 2 in sol minore op. 17 “Piccola Russia”

La Sinfonia n. 2, iniziata nell’estate 1872, fu portata a termine al principio dell’anno successivo ed eseguita per la prima volta con grande successo a Mosca il 26 gennaio 1873 sotto la direzione di N. Rubinstein; nel 1879-80 il compositore ne curò una profonda revisione, modificando soprattutto il movimento iniziale. La sinfonia si apre con una introduzione lenta (Andante sostenuto), dominata da una accorata melodia del corno; tale melodia, basata su una variante della canzone popolare ucraina La nostra madre Volga, ritorna nello sviluppo del successivo Allegro vivo, creando un efficace contrasto fra il primo tema, molto incisivo, ed il secondo gruppo tematico, di tono più lirico. Il secondo tempo, Andantino marziale, quasi moderato, utilizza una marcia nuziale inizialmente composta per l’opera Undine (mai portata a termine); mentre il terzo movimento, Scherzo (Allegro molto vivace), è un brano ricco di vitalità e di colore, con un Trio di carattere popolaresco. Il tema principale, con cui si apre il Moderato assai finale subito Allegro, è tratto da una canzone ucraina intitolata La gru, rielaborata con maestria, e si combina con un secondo tema melodicamente più disteso dall’andamento di danza. La presenza dei temi popolari ucraini spiega il sottotitolo della sinfonia.

Sinfonia n. 3 in sol maggiore op. 23 “Polacca”

Čajkovskij iniziò a comporre la sua terza sinfonia ospite dell’amico Vladimir Šilovskij, a cui l’opera venne dedicata, a Usovo, nel giugno del 1875, e la completò in agosto. Questa sinfonia si distingue nella produzione del compositore per due motivi: è la sola ad essere in modo maggiore (se si esclude l’incompiuta Sinfonia in mi bemolle maggiore), ed inoltre è l’unica ad essere composta da cinque movimenti. L’opera fu eseguita per la prima volta a Mosca il 7 (19) novembre del 1875, sotto la direzione di Nikolaj Rubinstein in occasione del primo concerto della stagione della Società musicale russa. Sembra che si iniziò a chiamare Polacca questa sinfonia in occasione della sua prima esecuzione nel Regno Unito nel 1899, in riferimento ai ritmi di danze polacche presenti nell’ultimo movimento. Il pubblico occidentale, condizionato dall’uso che ne aveva fatto Fryderyk Chopin, interpretava questo finale come un simbolo della causa dell’indipendenza polacca, mentre in realtà nella Russia zarista questa coda musicale, al contrario, era usata per celebrare la dinastia dei Romanov. Nel 1961 il coreografo George Balanchine utilizzò la terza sinfonia di Čajkovskij per la sezione Diamanti del suo balletto Jewels, come omaggio all’Impero russo a Marius Petipa, omettendo il movimento iniziale.

Struttura della composizione

  • I movimento, Introduzione e Allegro. Moderato assai (Tempo di marcia funebre). L’inizio quasi in sordina viene vivacizzato subito dopo dall’entrata degli ottoni a cui si accompagnano gli archi, quasi a far da marcia funebre al movimento che viene ripresa dall’orchestra. Il tema viene poi affidato ai fiati ed ai legni concludendo con un crescendo orchestrale, l’allegro brillante finale, in un ritorno degli ottoni.

  • II movimento, Alla tedesca. Allegro moderato e semplice. Si tratta di un pezzo leggero, evasivo, conforme a quell’arte che più in là il maestro farà sua, arricchendola, nei balletti delle sue fiabe. Tecnica mirabile e movimento scorrevole che fa di questo pezzo il migliore in assoluto della sinfonia insieme al successivo terzo movimento.

  • III movimento, Andante elegiaco. Il brano dipinge un quadro prettamente bucolico a rappresentare luoghi conosciuti nei suoi viaggi da Čajkovskij. Pezzo molto amabile, cantabile, in cui l’orchestra e gli archi ne dominano la scena. Chiusura un poco cupa del movimento. Insieme al secondo movimento è indiscutibilmente il più riuscito.

  • IV movimento, Scherzo. Allegro vivo. L’entrata dei fiati dà l’impronta del movimento. Questo scherzo si presenta con qualche leggero pizzicato, ed è molto vivo nella parte conclusiva.

  • V movimento, Finale. Allegro con fuoco (Tempo di polacca). Dopo l’inizio quasi maestoso di tutta l’orchestra, il movimento procede privo di iniziativa, non molto scorrevole e scarno di idee, come del resto è tutta la sinfonia. Brano che assume in finale il tempo di danza alla polacca, con l’allegro con fuoco in cui si fanno sentire i timpani, gli ottoni e l’orchestra.

Francesca da Rimini op. 32

Accanto alle sei Sinfonie, Cajkovskij si applicò numerose volte alla stesura di pagine orchestrali in sé compiute, quasi sempre legate all’idea della musica a programma. Nascono così, nel volgere di quasi trent’anni, l’Ouverture La bufera (1864), il Poema sinfonico Destino (1868), le due Ouverture-fantasia Romeo e Giulietta (1869) e Amleto (1888), le Fantasie La tempesta (1873) e Francesca da Rimini (1876), la Sinfonia Manfred (1885) e la Ballata sinfonica Il Voivoda (1891). Non sfuggono i molti riferimenti letterari di questi brani, e neanche la loro ispirazione tragica, nel segno di un pessimismo esistenziale nel quale il compositore si rifletteva profondamente. Accanto a Shakespeare e Byron, è certo Dante Alighieri, con la Divina Commedia, la fonte letteraria più illustre a cui Cajkovskij ha attinto.
La prima idea di una composizione ispirata al celebre episodio del quinto canto dell’Inferno, che ha come protagonista Francesca da Rimini, risale all’inizio del 1876; fu allora che il critico musicale Henry Laroche suggerì all’autore di scrivere un’intera opera teatrale sull’episodio di Paolo e Francesca, indicandogli come librettista il collega critico Konstantin Zvantsjev. In un primo momento Cajkovskij si mostrò molto interessato al progetto; cambiò orientamento però quando Zvantsjev gli sottopose la sua idea di ispirare l’opera al modello del dramma wagneriano, verso il quale il compositore non mostrò mai propensione.
Fu il fratello di Cajkovskij, Modest, letterato e a sua volta librettista, che suggerì di basare sull’episodio dantesco non già un’opera ma un poema sinfonico. Nel corso di un viaggio in treno dal sud della Francia a Bayreuth – dove avrebbe assistito nell’agosto 1876 alla prima del Ring di Wagner – Cajkovskij rilesse il quinto canto dell’Inferno, e si convinse del progetto. Poche settimane più tardi ebbe inizio la stesura della partitura, che impegnò l’autore per sole sei settimane. Il 26 ottobre Cajkovskij poteva scrivere a Modest: “Ho finito il mio nuovo lavoro, una fantasia su Francesca da Rimini. L’ho scritto con amore e penso che l’aspetto dell’amore venga fuori abbastanza bene”. La prima esecuzione, avvenuta il 9 marzo 1877 a Mosca, per i concerti della Società Musicale Russa sotto la direzione di Nicolai Rubinstein, venne accolta con entusiasmo.
Non stupisce che Cajkovskij fosse fortemente attratto dall’episodio di Francesca da Rimini, uno dei più celebri di tutto il poema dantesco. Esso prende spunto da una vicenda reale, il doppio assassinio compiuto da Gianciotto Malatesta nei confronti della moglie Francesca da Rimini e del suo stesso fratello Paolo Malatesta, per vendicare l’adulterio che aveva legato i due giovani; una vendetta che viene narrata da Dante con dovizia di dettagli appresi probabilmente nel corso dei suoi ultimi anni, trascorsi presso il signore di Ravenna, nipote di Francesca (il poeta aveva invece probabilmente conosciuto in gioventù Paolo Malatesta, quando costui era capitano del popolo a Firenze, nel 1282). Dante

colloca i due infelici amanti nel secondo cerchio dell’Inferno, fra coloro che furono lascivi, consentendo al desiderio di vincere la ragione. La loro punizione consiste nell’essere preda di un vento tempestoso che li percuote incessantemente nella notte infernale; i due amanti sono i primi personaggi con cui Dante ha un contatto diretto; Francesca racconta al poeta la sua triste vicenda, di come la lettura degli amori di Lancillotto e Ginevra fosse galeotta per il primo bacio.
Il riferimento al canto di Dante è imprescindibile per comprendere il contenuto del poema sinfonico; lo stesso Cajkovskij premise alla partitura una breve spiegazione della situazione narrata dal poeta, nonché tutti i versi del racconto di Francesca. Il poema sinfonico si richiama dunque direttamente al contenuto del canto dantesco articolandosi in tre sezioni, secondo lo schema ABA: una prima sezione che evoca l’inferno e la tormenta infernale; una seconda sezione (Andante cantabile non troppo) dedicata al racconto di Francesca; e una terza sezione che vede il ritorno della tormenta. Nel rivestire di musica questo schema Cajkovskij creò una delle sue partiture più perfette sotto il profilo della costruzione e dell’orchestrazione, anche se forse non del tutto pari in quanto a originalità. Occorre riflettere che le visioni infernali e demoniache erano state il pane quotidiano di tutta quella corrente che nel corso del romanticismo aveva sostenuto la necessità di basare la composizione musicale su un programma letterario, filosofico, descrittivo e comunque extramusicale; basta riflettere sui finali della Symphonie fantastique (1830) di Berlioz o della leggenda drammatica La damnation de Faust (1846) o ancora sulle numerose partiture di Liszt, come le Sinfonie Dante (1857) e Faust (1857), o i vari Mephisto-Valzer. Ma forse più di tutti questi lavori servì come punto di riferimento per Cajkovskij una pagina pianistica del compositore ungherese, il settimo e ultimo brano della Deuxième Année dalle Années de Pèlerinage: Après une lecture de Dante (Fantasia quasi Sonata) (1856). È infatti in questa pagina che Liszt mette a fuoco, per descrivere gli abissi infernali, una serie di stilemi che verranno puntualmente ripresi, vent’anni dopo, da Cajkovskij: uso del cromatismo, intervallo di quarta aumentata, accordo di settima diminuita, progressioni armoniche.

Sergej Ivanovic’ Taneev

Troviamo così nella Francesca da Rimini le tracce evidenti di questa influenza lisztiana, nella prima e ultima sezione della partitura, aperta da un Adagio lugubre, un’introduzione in cui si stagliano i minacciosi richiami degli ottoni, e
che con una progressiva accelerazione si trasforma in Allegro vivo; colpiscono qui lo stile di strumentazione che alterna archi e fiati in modo incalzante, e il grande tema discendente a piena orchestra. È però nella sezione centrale che Cajkovskij si mostra soprattutto padrone dei suoi personalissimi mezzi espressivi; il racconto di Francesca ha inizio con il clarinetto solo, che da un recitativo passa a una nuda melodia, sostenuta dai pizzicati degli archi; diversamente strumentata, sempre con soluzioni di straordinaria inventiva e finezza, questa melodia ritornerà più volte, fino a trovare una intensa perorazione da parte degli archi; è la melodia dell’amore, e non è difficile vederne l’affinità concettuale con molte altre partiture dell’autore, come l’ouverture-fantasia Romeo e Giulietta e il secondo atto del balletto Il lago dei cigni. Una studiatissima dissolvenza conduce alla riepilogazione della sezione iniziale – a cui non sono mancate critiche di una certa pletoricità – e alla coda trascinante, che chiude la partitura allineando per nove volte un accordo dissonante prima di quello conclusivo, con una enfasi adeguata alle alte tensioni della partitura.