Dvorak Antonin

Sinfonia n.9 – Smetana La Moldava

Oltre la splendida esecuzione dell’ultima Sinfonia di Dvorák in questo CD vi è una delle riproduzioni migliori della “Moldava”, sicuramente la composizione più nota di Bedrick Smetana.
Nonostante a detta di molti queste registrazioni, fatte negli ultimi anni di vita di Karajan, non siano il massimo artisticamente parlando, io le adoro perché ritengo facciano traspirare la sua forza d’animo. L’audio riprodotto sembra essere perfetto. Questo potrebbe essere considerato un difetto poiché la musica risulta talmente perfetta da sembrare finta e montata in maniera artificiale. Invece non dimentichiamoci che sono stati tra i primi cd ad essere registrati in DDD, cioè, ogni singola fase, dalla registrazione alla masterizzazione, è fatta digitalmente e l’audio risulta per questo stupefacente. Registrazione effettuata nel 1985.
Altamente raccomandato.

Dvorák: Sinfonia n. 9 “Dal Nuovo Mondo”
Smetana: La Moldava

Anche le Sinfonie composte da Antonin Dvorák raggiunsero il numero fatidico di nove. La sua Nona e ultima Sinfonia fu composta nel 1893 in America, il “Nuovo Mondo” dove nel secolo 19o si era riversato un flusso di dinamici emigranti e dove Dvorák era stato chiamato a dirigere la Nazional Conservatory di New York.
La Sinfonia è contraddistinta da una grande incisività. Temi brevi e assai pregnanti di quattro o anche otto battute risuonano con accento spontaneo, naturale, semplice.
Reminiscenze pentatoniche conferiscono soprattutto al malinconico Largo una nota stimolante di esotismo. La tendenza che si può ravvisare nella configurazione tematica, e cioè di ritornare sempre sulla nota fondamentale, crea attraverso queste accentuazioni del fulcro melodico un tono fondamentale di malinconia slava.
Si riallaccia alla musica popolare la tecnica di far risuonare i temi ed inserire le esplosioni dinamiche sul sostrato creato da note prolungate o da quinte di bordone.
Il principio della costruzione ciclica divenuto consueto a cominciare da Berlioz e Liszt, si può rilevare nel legame instaurato tra i quattro movimenti mediante un tema in accordi, che emerge dall’introduzione (Adagio) profilandosi come un segnale del corno e ritorna in ogni movimento con la funzione di elemento unificatore.
Sarebbe ingiusto rimproverare a Dvorák di aver fatto uso di citazioni del folklore americano: “Io” – così il compositore stesso – “non ho impiegato nessuna di queste melodie. Ho scritto semplicemente temi originali, nei quali ho immesso elementi peculiari della musica dei pellirosse. E nel prendere spunto da questi temi, li ho sviluppati servendomi di tutte le risorse della ritmica, dell’armonizzazione, dell’elaborazione contrappuntistica e della colorazione orchestrale dei tempi moderni”.
Il movimento iniziale in 2/4 ha una costruzione chiaramente conforme allo schema classico; il motivo secondario e il complesso tematico conclusivo sono, secondo le regole scolastiche, in sol minore e sol maggiore, dove il tema in sol minore dei flauti e oboi riceve il suo caratteristico accento dalla diminuzione del settimo grado.
Il tema principale dell’Allegro molto, ritmicamente marcato, è costituito dal motivo ciclico dell’intera Sinfonia, che qui risuona nella sua chiara veste tematica in accordi.
Alla prima frase di quattro battute del tema, intonata dal corno, ne segue un’altra, pure di quattro battute, affidata ai legni che procedono ad intervallo di terza. Il Largo in re bemolle maggiore con il suo tema intonato dal corno
inglese, di carattere elegiaco e sempre ripiegante sulla sua armonia di base, e con la sua sezione centrale più mossa nella tonalità di do diesis maggiore, raggiunta enarmonicamente, è una delle più popolari composizioni di Dvorák. Il movimento si apre con sette accordi, di andamento greve e intensamente modulanti, dei fiati (tra i quali quattro corni, due tombe, tre tromboni e una tuba). La parte centrale in do diesis maggiore è più una sezione di sviluppo che di contrasto.

Kerbert von Karajan

Lo Scherzo (in mi minore e nella misura di 3/4) ha una fisionomia chiara e differenziata al tempo stesso, varia ma anche ben definita. Il motivo che funge da motto crea un legame unitario tra i vari episodi.
Nel Trio in do maggiore si può rilevare chiaramente l’intimo legame che ricollega Dvorák a Schubert: significativi a riguardo gli accordi dei legni sulle note prolungate degli archi. Come sarà nelle Sinfonie mahleriane, anche il movimento finale di questa Sinfonia di Dvorák si pone a coronamento e fulcro dell’intera opera.
Vi si ripresentano i temi principali dei movimenti precedenti, mentre il vero e proprio tema del finale è una variante del motivo di base della Sinfonia. Sviluppo, procedimenti contrappuntistici e modulatori sono elaborati con la massima accuratezza.

Smetana: “La Moldava”

(1874), il secondo brano del ciclo per orchestra “La mia patria” (Má vlast), offre con le sue variazioni del motivo del Vysehrad una specie di topografia della Moldava. Alle sue sorgenti vi sono dei piccoli rigagnoli (tema introduttivo dei flauti), e quindi il fiume si ingrossa e serpeggia nel paesaggio boemo e moravo costeggiando rupi e foreste, teatro di ridde degli elfi e di feste rustiche, per raggiungere infine, dopo aver attraversato delle rapide, Praga e il Vysehrad, la rupe scoscesa su cui fu eretto il primo Castello di Praga.
Il ritmo in 6/8, la tonalità elegiaca di mi minore e il lustro di un’istrumentazione di tipo lisztiano caratterizzano questo poema sinfonico, testimonianza elevata di un’arte di spirito nazionale.

Karl Schumann
(Traduzione: Gabriele Cervone)

Sinfonia n. 9 in mi minore “Dal Nuovo Mondo”, op. 95

Il 16 dicembre 1893 Anton Seidl dirigeva alla Carnegie Hall di New York la prima esecuzione della Sinfonia n. 9 in mi minore op. 95 di Antonìn Dvorak, alla presenza dell’autore. Si tattò probabilmente dell’evento clou del soggiorno triennale di Dvorak negli Stati Uniti, fra l’ottobre del 1892 e l’aprile del 1895. Dvorak era stato invitato nel giugno 1891 a trasferirsi a New York, per assumere la direzione artistica del locale Conservatorio, da Jeannette Thurber, moglie di un ricco commerciante di generi coloniali; invito accolto dopo qualche esitazione e l’assicurazione di comprensibili garanzie (fra l’altro il ragguardevole stipendio di 15 mila dollari annui).
Gli enormi sviluppi della vita musicale newyorkese nell’ultimo scorcio del secolo trovavano così un logico esito nel potenziamento delle strutture didattiche, con la presenza di un eminente compositore europeo. Non è un caso che la scelta fosse caduta proprio su Dvorak.
Proveniente da una famiglia di piccola borghesia, precocemente avviato alla musica, Dvorak aveva colto il suo primo vero successo nel 1873, a 31 anni, con un Inno patriottico che si inseriva compiutamente nella corrente irredentista propria degli ambienti culturali boemi. L’anno seguente un riconoscimento prestigioso, con la vittoria di una borsa di studio del governo austriaco, assegnata da una giuria composta, fra gli altri, da Eduard Hanslick e Johannes Brahms. In seguito il lancio internazionale: al 1884 risale il primo personale trionfo in Inghilterra – dove il compositore si recò complessivamente nove volte – che comportò la nomina a membro onorario della London Philharmonic Society; nel 1890 doveva giungere la laurea honoris causa dell’Università di Cambridge.
Tali tappe della carriera di Dvorak seguivano da vicino anche la personale evoluzione dello stile del compositore. Se gli esordi creativi si erano svolti all’insegna della scuola neotedesca di Liszt e Wagner, il cui modernismo sembrava più adatto a veicolare i contenuti nazionalistici peculiari della cultura céca, è proprio intorno al 1873 che lo stile di Dvoràk subisce una brusca virata verso il sinfonismo puro e gli ideali di classico equilibrio della forma, ideali che trovavano nuova linfa nelle melodie di ispirazione popolare. È appunto questa peculiare mistura fra equilibrio formale e melodiosità slava che portò a riconoscere in Dvoràk un musicista dalla personalità inconfondibile, né conservativa né radicale, capace di apparire alla borghesia boema come una incarnazione dell’identità nazionale, o anche di farsi ammirare di fronte all’intera Europa per la raffinatezza della scrittura e la solidità costruttiva delle sue opere.
L’invito in America aveva dunque il significato di una consacrazione; ma il contatto con una cultura musicale composita, in evoluzione e così dissimile da quella europea non poteva non avere ripercussioni proprio sui nuovi esiti creativi del maestro boemo. Alcuni studenti di colore misero in contatto il maestro con la musica dei neri americani, con gli spirituals e i canti delle piantagioni. A Spilville, nello lowa, il compositore ebbe occasione di ascoltare canti della comunità indiana. La Sinfonia in mi minore è la prima importante risposta a tali stimoli, e non a caso reca la celeberrima intitolazione “Z Nového svéta” (Dal nuovo mondo); appunto la discussa influenza del nuovo mondo costituisce il punto centrale delle diverse valutazioni che della partitura sono state fatte.
Dvorak illustrò il titolo dell’opera spiegando che si riferiva semplicemente a «impressioni e saluti dal nuovo mondo»; ancora nel corso della stesura affermò che «l’influenza dell’America può essere avvertita da chiunque abbia “fiuto”». E molti compositori si domandarono se, con la nuova Sinfonìa, Dvorak intendesse inaugurare una nuova maniera, segnata dalla presenza di melodie ispirate al composito folklore americano. E in effetti la presenza di tali melodie è innegabile; nel primo tempo appare lo spiritual «Swing low, sweet chariot», mentre una generica ispirazione “indiana” hanno alcune melodie dei movimenti centrali. Tuttavia le melodie pentatoniche e l’armonia modale, la vitalità ritmica, sono caratteristiche proprie di tutta la musica di Dvorak; inoltre non mancano nella partitura chiari tratti del folklore boemo. Semmai tutta l’invenzione melodica della Sinfonia in mi minore presenta un’estrazione “primitiva”, stagliata nitidamente più che non nella precedente esperienza sinfonica dell’autore.

Antonin Dvorák

Insomma, qualora si voglia trovare una “svolta” nella Nona Sinfonia di Dvorak, questa andrà individuata, più che nell’invenzione melodica, nel processo di semplificazione e chiarificazione della forma che dona a queste idee una plastica evidenza, allontanando la partitura dalla dolce seriosità della Settima e dagli indipendenti sperimentalismi dell’Ottava. Anche le sezioni di sviluppo del
materiale – che costituiscono in genere il punto debole del sinfonismo dell’autore boemo, per una certa prolissità e povertà dialettica – sono affrontate con una snellezza maggiore che nelle precedenti opere sinfoniche.
Proprio l’aspetto formale è uno dei tratti che più garantiscono alla Sinfonìa la sua coerenza, e quindi la sua indubitabile e coinvolgente efficacia in sede esecutiva. La partitura si avvale infatti di un processo accumulativo del materiale, con ritorni tematici via via maggiori con la successione dei movimenti (fra l’altro le affinità fra le diverse melodie pentatoniche emergono nitidamente perché queste vengono prevalentemente affidate ai legni solisti). Inoltre ciascuno dei quattro tempi si apre con una breve introduzione lenta.
Nel primo movimento l’Adagio inttoduttivo lievita progressivamente, sfruttando uno spunto ritmico, verso il caratteristico tema che apre l’Allegro molto; tutto questo primo tempo, animato da temi secondari di icastica evidenza, risente di una ricchezza di episodi e di intrecci, di subitanei trapassi espressivi, che attribuiscono alla pagina una freschezza continuamente rinnovata.
Nel Largo una successione di ampi accordi conduce alla melodia pentatonica che informa tutta l’ambientazione lirica e soffusa del movimento, non contraddetta neanche nella più animata sezione centrale (il momento culminante ripropone un frammento del tema principale del primo tempo).
Nello Scherzo ritroviamo il gusto di Dvorak per la vitalità ritmica e la varietà coloristica, sorretti dalla mano infallibile dell’orchestratore, dalla sicura invenzione dei temi caratteristici. Più complesso il finale, aperto dalla perentoria affermazione del tema che ha assicurato alla Sinfonia la sua celebrità, e che viene poi ribadito al termine, in una estrema perorazione. Nel prosieguo del movimento, peraltro, si accumulano le principali idee melodiche già ascoltate nei tempi precedenti; procedimento già impiegato nei tempi centrali. Ma Dvorak non si accontenta di riesporre tali idee; le elabora e le intreccia con il tema principale del finale, sì che il movimento conclusivo si prospetta come una sintesi del contenuto dell’intera Sinfonia, e della stessa arte sinfonica del compositore.

Vltava («La Moldava»)

In quanto sede della corona di Boemia, che cingeva il capo dell’imperatore d’Austria, Praga era, al pari di Budapest, una delle capitali dei domini degli Asburgo e orbitava intorno a Vienna, dal punto di vista politico e anche musicale. Questo non generò alcun tipo di rivalità, almeno finché il cosmopolitismo del Settecento non cedette il passo al nazionalismo dell’Ottocento, quando la sempre più ricca, numerosa e potente borghesia ceca cominciò a mal sopportare il governo straniero. Il desiderio d’indipendenza politica ebbe come corollario la ricerca di una differenziazione dal dominatore anche in campo culturale e, più specificamente, musicale: nacque così la scuola nazionale ceca, una delle più vivaci fra quelle sbocciate verso la metà del Diciannovesimo secolo in quei paesi europei, dalla Spagna alla Norvegia e alla Russia, che erano stati fino ad allora colonizzati dalle nazioni musicalmente dominanti, cioè Italia, Francia e Germania. Ma la rivolta antitedesca dei musicisti cechi era in un certo senso paradossale, perché essi stessi erano profondamente intrisi di cultura austro-tedesca.
Anche Bedrich Smetana fu educato nella lingua tedesca e non scrisse una sola parola in ceco fino ai trentadue anni d’età. Quanto alla musica, da giovanissimo ammirava incondizionatamente Mozart e Liszt (“Con l’aiuto di Dio, sarò un Liszt della tecnica e un Mozart della composizione”: che bizzarro abbinamento!) e poi conobbe personalmente Liszt, Schumann e Berlioz, subendone l’influenza, cui si può aggiungere quella di Weber. Ma una formazione di questo tipo era perfettamente conciliabile con un appassionato patriottismo, dunque si deve dare credito ai suoi connazionali, che hanno proclamato Smetana “il padre della musica ceca”. Il suo nazionalismo consistette nello scrivere opere e poemi sinfonici ispirati alla storia, alla natura e alle leggende della patria e ad usare la lingua ceca nella musica vocale, ma, per quanto riguarda gli aspetti strettamente musicali, solo la sporadica citazione di melodie e danze popolari rivelava la mano d’un musicista ceco. Tuttavia anche questo – per quanto possa apparire poco – non va sottovalutato, se si pensa che ancora nel 1905 la semplice richiesta di poter usare la lingua ceca accanto al tedesco all’università di Praga fu respinta brutalmente dal governo austriaco.
Insieme e più delle opere teatrali, le composizioni emblematiche del nazionalismo musicale di Smetana sono i Poemi Sinfonici, soprattutto i sei composti dal 1874 al 1879 e riuniti col significativo titolo Ma Vlast (La mia patria).

Bedrich Smetana

Il 20 novembre 1874 Smetana cominciò a lavorare alla Moldava – il più popolare dei suoi Poemi Sinfonici, dedicato al fiume che attraversa tutta la Boemia e si getta nell’Elba – e la completò in appena tre settimane. Erano passati soltanto pochi giorni da quando all’improvviso aveva perso l’udito quasi completamente, a causa di un sibilo incessante, che lo tormentò per il resto della sua vita e lo condusse infine alla follia: tuttavia continuò a comporre finché gli fu possibile, con una forza morale che lo avvicina a Beethoven.
La prima idea di questo pezzo risaliva a ben sette anni prima, al 1867, quando aveva buttato giù alcuni abbozzi sotto la suggestione di una gita al punto in cui i fiumi Vydra e Otava riuniscono le loro acque, formando la Moldava. Tre anni dopo un nuovo spunto gli venne da un’escursione alle rapide di San Giovanni, quando annotò: “Ho navigato in una barca sulle onde immense e sull’acqua profonda; la vista sul paesaggio delle due rive era magnifica e grandiosa”. Come per gli altri Poemi Sinfonici, il programma della Moldava fu pubblicato come prefazione alla prima edizione della partitura: “Due fonti sgorgano all’ombra della foresta boema, una calda e zampillante, l’altra fredda e tranquilla. Le loro acque scorrendo allegramente sul letto roccioso scintillano ai raggi del sole mattutino e, unendosi, formano il fiume Vltava [nome ceco della Moldava], che attraversando le valli della Boemia diventa un ampio fiume. Scorre in mezzo a folti boschi, in cui si sentono sempre più vicini gli allegri rumori della caccia e i suoni dei corni dei cacciatori, e attraversa pascoli erbosi e pianure, dove si celebra una festa di nozze con canti e danze. Di notte le ninfe del bosco e dell’acqua appaiono nelle sue onde luccicanti, in cui molte fortezze si riflettono come testimoni della gloria passata dei cavalieri e della fama guerriera svanita di epoche trascorse. Alle rapide di San Giovanni il fiume si getta ondeggiando tra le cataratte e con i suoi flutti spumeggianti si apre una strada attraverso i passaggi tra le rocce, fino all’ampio letto in cui scorre verso Praga, accolto dall’antica e onorata rocca di Vyserhad, dopo di che si allontana svanendo allo sguardo del poeta”.
Il programma è tradotto in musica con immediata evidenza: le due sorgenti sono rappresentate dal motivo leggermente ondeggiante dei due flauti (la prima) e dei clarinetti (la seconda) e acquistano progressivamente forza, finché violini, oboi e fagotti si uniscono nel tema del fiume, che tornerà più volte in seguito, dando a questo Poema Sinfonico la forma d’un Rondò (questo tema, pietra angolare della musica nazionale ceca, è in realtà derivato da una melodia popolare svedese, che Smetana aveva sentito negli anni in cui aveva insegnato a Goteborg). Corni e arpe descrivono lo scorrere della Moldava nel bosco, quindi gli squilli e i segnali della caccia si uniscono al motivo del fiume. Quando lungo le rive si svolge la festa nuziale campestre, si ascoltano una Polka e una Marcia. Un momento di magica emozione è costituito dalle figurazioni in pianissimo degli strumenti a fiato che accompagnano la danza acquatica delle ninfe, al sorgere della luna, la cui luce si riflette sull’acqua. Il fiume scorre placidamente, finché accelera e si getta spumeggiando nelle rapide di San Giovanni. Ripreso il suo corso solenne, giunge alle porte di Praga e passa sotto la fortezza di Vysehrad, simbolo della nazione ceca (qui Smetana cita il tema principale del primo dei Poemi Sinfonici di Ma Vlast, intitolato appunto Vysehrad). Attraversata Praga, la Moldava scorre inesorabilmente verso l’Elba e la musica svanisce lentamente, ma la narrazione si chiude con due sonori accordi finali.