Fauré Gabriel

Requiem

Tra le numerose registrazioni di questa partitura questa secondo me è la migliore . Il coro dà senso alla parola “unisono”, il che assicura un punto in più rispetto alla versione di Robert Shaw che altri maggiormente apprezzano. La direzione di Sir Colin Davis con la meravigliosa Staatskappelle di Dresda e il Rundfungchoir di Lipsia è dinamica e coinvolgente . Lucia Popp e Simon Estes completano la performance di questa bella incisione. Audio in DDD più che soddisfacente. Registrazione eseguita nel 1985. Altamente raccomandato.

Victoria de los Angeles e Dietrich Fischer-Dieskau conferiscono ai loro assoli grande profondità emotiva. André Cluytens alla guida dell’Orchestra del Conservatorio di Parigi e il Coro Elisabeth Brasseur sembra soffermarsi sulle sfumature seducenti degli strumenti mantenendo comunque un’atmosfera cupa e dolorosa che contraddistingue questa partitura tanto diversa dai Requiem tradizionali. Non c’è dubbio che esistano registrazioni migliori dal punto di vista tecnico, in almeno due punti ci sono parti un po’ sbiadite che probabilmente risalgono ai nastri originali, ma se volete l’emozione e il sentimento di un classico del XX secolo, questo è un buon inizio. Registrazione eseguita nel 1963 e rimasterizzazione effettuata 1998. Doveroso collocare questo CD nella vostra preziosa collezione. Buon ascolto a tutte e tutti voi.

Requiem, op. 48

Per quanto sia accertato che Fauré non fosse credente sia la sua provenienza dalla scuola Niedermeyer che la sua pratica di organista, lo spinsero a scrivere una certa quantità di musica sacra. Tra questa produzione spiccano dopo il «Cantico di Jean Racine per coro, armonium, quintetto d’archi ed orchestra» scritto all’età di solo 18 anni, una «Salve Regina», una «Ave Maria», una «Messa bassa per tre voci femminili e organo» e il «Requiem per soli, coro ed orchestra (op. 48)».

Gabriel Fauré

Il Requiem fu composto durante l’anno 1877-78, ispirato da due lutti intimi: la morte del padre seguita, dopo appena sei mesi, dalla morte della madre. Fu eseguito per la prima volta nel 1888 nella Chiesa parigina della Maddalena. Emile Vuillermoz, discepolo e sensibilissimo esegeta dell’opera di Fauré asserisce che il Requiem, «questa grande ninna-nanna della morte, che un mortale privo d’orgoglio canta davanti a una tomba» sia l’opera di un miscredente che rispetta le credenze altrui. Il famoso critico fa anche allusione alle ascendenze albigesi o catare dell’autore. Fauré, in effetti, era nativo di Pamiers nell’Ariège, tra Pirenei e bacino di Aquitania, regione che costituì uno dei centri di diffusione più intensa dell’eresia catara, tanto che Innocenzo III dovette bandire la Quarta Crociata per cercare di estirparla. Una tale provenienza non resterà senza influenza nella formazione del carattere e dell’interiorità più profonda di Gabriel Fauré. È stato anzi detto che la composta serenità del maestro di fronte alla morte gli derivi dall’attenuazione d’un concetto-base della credenza catara: l’impertubabilità di fronte all’annullamento dell’essere come conseguenza del disprezzo della vita. Atteggiamento imperturbabilmente calmo che trova la sua espressione nell’idea o sentimento di «Eterno Riposo» che circola, da capo a fondo, nel «Requiem», idea — come egli dice in una lettera a René Franchois — «messa li come sintesi di tutto ciò che egli aveva potuto possedere, accanto ai ricordi parsifaliani, di illusione religiosa». Sdrammatizzato il concetto di morte e privato della sua carica terrorizzante, Fauré, accingendosi a musicare il «Requiem», non avrebbe mai potuto battere l’accento (come avevano fatto Verdi, Berlioz e Dvorak) su testi liturgici che come il «Dies Irae», mettono a crudo fuoco proprio la disperazione, l’angoscia e il senso d’annichilamento della creatura umana di fronte al Giudice Divino, venuto, appunto, nel giorno della vendetta, a discriminare attraverso il fuoco i reprobi dagli eletti.
Al contrario «nessuno effetto esterno — come afferma Nadia Boulanger — distrae l’autore dalla sua sobria e qualche volta severa maniera di esprimersi, mentre né inquietudine o agitazione intaccano la sua meditazione o dubbio scalfisce il senso della sua tenera e calma aspettazione». Il «Requiem» è, quindi, un’altissima pagina di composta meditazione che dà l’occasione all’anima, attraverso questa (inevitabile modulazione dell’essere che è la morte) di sottrarsi ai vincoli e al peso della materia intravedendo con immota serenità il suo destino supremo.
Un triplice accordo doloroso e immenso, declinante progressivamente di un tono, dà l’avvio al «Requiem», stabilendo, attraverso un mezzo espressivo cosi quintessenziale, con la semplicità del genio, il muto e tragico scenario dell’ultimo evento prima della perpetuità senza mutazione. Tale movimento
d’orchestra discensivo, prolungandosi ai bassi, dà l’impressione — annota il Vuillermoz — di «un abisso che ineluttabilmente vada aprendosi sotto i nostri passi». Alla sollecitazione orchestrale risponde il coro, sillabando quasi con tremito le parole del riposo eterno e formulando, con commossa insistenza l’augurio dell’usufruizione dell’eterna luce come balsamo e conforto per la perdita della vita. Speranza di quiescenza eterna e luce perpetua sono, appunto, i due elementi che contribuiscono, fondamentalmente, in Fauré, a quella che Vladimir Jankelevitch chiama l’eutanasia, la bella morte di fronte alla quale non vi può essere «né paura o angoscia» ma solamente «nobile tristezza e grande tranquillità». Dopo l’Introito, il coro intona il Kyrie, su una figura ascendente e discendente dei violoncelli, che trasvola da un gruppo di cantori all’altro con accenti di adorazione e prosternazione rispetto all’Eterno, mentre le luminose voci femminili oppongono il «Te decet Hymnus», concluso in una atmosfera di calma ieratica e di misterioso raccoglimento. Un preludio orchestrale, dal breve respiro, introduce all’«Offertorio», proemio seguito dalle voci dei contralti e tenori che intonano (dolcissimo) «O Domine Jesu Christe» in stile imitativo canonico, scongiurando, con insistenza pietosa e mesta, Iddio di tener lontane le anime dei defunti dalle pene perpetue. In tale clima di concentrata compunzione risuona la voce del baritono solo che con «Hostias et preces» distenderà il «filo d’oro» di una melodia che — a detta di Vuillermoz — altro non è se non «una lunga tenuta della dominante che, con alcune rare ondulazioni, sorvola e domina, in effetti, costantemente la preghiera mentre sotto questa linea serena, tesa da un capo all’altro del versetto, si stabilisce un dolce ondeggiare di accordi saporosi che, in un murmure di onde, s’incatenano per gradi congiunti con una grazia ed una naturalezza inimitabili». Un «Amen» puro come la volta celeste e come un volo di serafini, conclude, magistralmente, l’«Offertorio». Il dolce «Sanctus » — dice Jankelevitch — succedendo alle «tenebre dell’Offertorio» è un «chiar di luna» anzi piuttosto «una luce siderale notturna». Intonato dalle voci femminili all’unisono sul reticolo delle arpe dà, in effetti, più l’impressione di genuflessa fervorosa adorazione che di entusiasta esaltazione, eccezion fatta per il centrale «Hosanna» dove l’esplosione degli ottoni dà l’impressione, per un attimo, di voler proiettare il fulgore della gloria divina per ogni angolo del firmamento. La conclusione, sul quieto ed estatico murmure dei violini in sordina, riporta ancora di nuovo al clima di concentrazione orante.
Il «Pie Jesu» è affidato alla voce del soprano solo, accompagnato dall’organo che, «in questo frammento di poema del legato, dall’estrema densità», le tesse intorno le armonie più delicate e impalpabili. La preghiera del soprano, implorante il riposo supremo delle anime, assurge a un valore di simbolo che si sarebbe tentati di accostare all’innominata figura di anima, che «surta l’ascoltare chiedea con mano» del Canto VIII del Purgatorio dantesco.

André Cluytens

Tra l’una e l’altra strofa del canto si insinua il suono dell’orchestra, sempre in funzione consolatoria, rispetto al canto d’afflizione dell’«Innocenza» musicale diffuso per le «quaranta battute» di questa parte del rito funebre. Dopo poche note di preludio degli archi dal sapore pastorale tutti i tenori» con «dolcezza espressiva» attaccano l’«Agnus Dei», la massa del coro, con effetto stupendamente sacrale, di scongiuro rituale insiste sulla parola «Agnus» sul sostegno dell’organo su cui fiorisce, ora, il motivo dell’attacco sugli archi. Dopo la ripetizione della devota cantilena dei tenori, la voce tenuta del soprano, che sembra quasi spiritualizzarsi in luce, sospinge le altre parti del coro all’augurio collettivo della luce perpetua nell’eternità della comunione dei Santi. Prima della fine dell’«Agnus» riappare il triplice immenso accordo dell’inizio del «Requiem» con la conseguente, tremebonda salmodia del coro, ma il rifluente motivo bucolico degli archi ricrea un’atmosfera di fiduciosa attesa.
Un assolo di barìtono, sostenuto dall’organo, animato sordamente «da una pulsazione regolare e leggermente sincopata di pizzicati del quartetto d’archi» intona il «Libera me» distendendosi in una melodia ampia e nobile, commossa e, tuttavia controllata senza impennamenti e spasimi neanche di fronte alle parole del testo liturgico che si presterebbero «come l’esca all’acciarino» a una conflagrazione canora da «novissimo». L’accenno alla convulsione tellurica
incluso nelle parole «quando coeli movendi sunt et terra», è espresso attraverso una semplice ripetizione enfatizzata, senza alcun intervento dell’orchestra, quando è risaputo che in altri autori di «Requiem» ciò rappresentava l’occasione per scatenare un cataclisma sonoro. Solamente le voci del coro, alle parole: «Tremens factus sum… », sono pervase e distorte da un tremito di commozione angosciosa. Nel complesso paura e tremore esulano da queste pagine e, dopo il momento di smarrimento, «l’immagine del riposo sorge di nuovo all’orizzonte e riporta la fiducia e la speranza». Il «Libera» si chiude, in effetti, con la reiterazione iniziatica di questo verbo, sillabato con l’interno trasporto di una formula taumaturgica.
«In Paradisum», momento risolutivo del «Requiem» di Fauré, annunzia, infine, «l’immutabilità quieta dell’eterno», l’approdo aurorale dell’anima al porto di tutte le calme. Arpe, archi ed organo tessono una trama d’accordi transterreni, sorreggendo il soprano come in un volo di puri spiriti verso l’empireo, verso la «Gerusalemme celeste». Il coro interviene sulla parola «Jerusalem» traducendo l’anelito sospiroso e nostalgico delle anime per una tale meta, ove il «Riposo etemo» con l’inerente beatitudine realizza perpetuamente lo stato di immobile contemplazione del Divino.
La morte — nota Vladimir Jankelevitch — a cui ci inizia il «Requiem» di Fauré è quella che calma e sublima l’essere sensibile; ecco la ragione perché «le note lugubri, calamitose, fatidiche del «Dies irae» che attrassero tanto Liszt, Berlioz e Verdi, grandiosi ordinatori di marce funebri e di danze macabre, hanno un ruolo secondario in questo «Requiem» di speranza e di attesa ove la promessa soperchia la voce della minaccia».

Testo

I. INTROITO E KYRIE

Coro

Requiem aeternam dona eis, Domine
et lux perpetua luceat eis.
Te decet hymnus, Deus, in Sion
et tibi reddetur votum in Jerusalem.
Exaudi orationem meam,
ad te omnis caro veniet.
Kyrie eleison.
Christe eleison.

Il riposo eterno dona loro, Signore,
e la luce perpetua splenda su di loro.
A te spetta l’inno, o Dio, in Sion,
a te si scioglierà il voto a Gerusalemme.
Esaudisci la mia preghiera:
a te verrà ogni mortale.
Signore, pietà.
Cristo, pietà.

II. OFFERTORIO

Coro

O Domine, Jesu Christe, Rex
gloriae,
libera animas defunctorum
de poenis inferni
et de profundo lacu,
de ore leonis,
ne absorbeat Tartarus,
ne cadant in obscurum.

Baritono

Hostias et preces tibi, Domine, laudis offerimus:
tu suscipe pro animabus illis,
quarum hodie memoriam facimus.
Fac eas, Domine, de morte transire
ad vitam
quam olim Abrahae promisisti
et semini eius.
Amen
Coro
O Domine, Jesu Christe, ecc.

Signore Gesù Cristo, re glorioso,
libera le anime dei defunti dalle pene dell’inferno
e dalla fossa profonda,
liberale dalla bocca del leone,
perché non le divori il Tartaro
e non sprofondino nell’oscurità.

Ti offriamo, Signore,
sacrifici e preghiere di lode:
tu accoglili per le anime
di coloro di cui oggi facciamo memoria.
Falli passare, Signore, dalla morte quella vita
che un tempo hai promesso ad Abramo e alla sua discendenza.
Amen.

Signore Gesù Cristo, re glorioso, ecc.

III. SANCTUS

Coro

Sanctus, sanctus, sanctus,
Dominus Deus Sabaoth.
Pleni sunt coeli et terra gloria tua.
Hosanna in excelsis.

Santo, santo, santo,
il Signore Dio dell’Universo.
I cieli e la terra sono pieni della tua gloria.
Osanna nell’alto dei cieli

IV. PIE JESU

Soprano

Pie Jesu Domine,
dona eis requiem,
sempiternam requiem.

Gesù pietoso, Signore,
dona loro il riposo,
il riposo eterno.

V. AGNUS DEI

Coro

Agnus Dei, qui tollis peccata mundi,
dona eis requiem.
Agnus Dei, qui tollis peccata mundi,
dona eis requiem.
Agnus Dei, qui tollis peccata mundi,
dona eis requiem,
sempiternam requiem.
Lux aeterna luceat eis, Domine,
cum Sanctis tuis in aeternum, quia pius es.

Agnello di Dio, che prendi su di te i peccati del mondo,
dona loro il riposo.
Agnello di Dio, che prendi su di te i peccati del mondo,
dona loro il riposo.
Agnello di Dio, che prendi su di te i peccati del mondo,
dona loro il riposo,
il riposo eterno.
La luce perpertua risplenda su di loro, Signore,
con i tuoi santi in eterno, poiché sei misericordioso.

VI. LIBERA ME

Baritono

Libera me, Domine, de morte
aeterna,
in die illa tremenda.
quando coeli movendi sunt et terra,
dum veneris judicare
saeculum per ignem.

Coro

Tremens factus sum ego et timeo, dum discussio venerit
atque ventura ira.
Dies illa, dies irae,
calamitatis et miseriae,
dies illa, dies magna et amara valde. Requiem aeternam dona eis, Domine,
et lux perpetua luceat eis.

Liberami, Signore, dalla morte eterna,
in quel giorno terribile,
quando i cieli e la terra saranno sconvolti.
Quando verrai a giudicare
con il fuoco il mondo.

Sono diventato pavido, ho paura perché verrà il giudizio
e il castigo futuro.
Il giorno del giudizio, quel giorno di rovina e sventura,
il giorno più grande e più amaro.
Il riposo eterno dona loro, Signore, e la luce perpetua splenda su di loro.

VII. IN PARADISUM

Coro

In Paradisum deducant angeli,
in tuo adventu suscipiant te martyres
et perducant te in civitatem sanctam Jerusalem.
Chorus angelorum te suscipiat
et cum Lazaro quondam paupere aeternam habeas requiem.

In Paradiso ti conducano gli angeli,
al tuo arrivo ti accolgano i martiri
e ti portino nella città santa di Gerusalemme.
Ti accolga il coro degli angeli
e con Lazzaro, un tempo povero, possa tu ottenere il riposo eterno.

André Cluytens