Handel Frideric George

Concerti per organo op. 4 & op. 7

Registrazione eseguita nel 1976 e rimasterizzazione effettuata nel 1996. Suono ottimo. Altamente raccomandato.

Concerti per organo op. 4 & op. 7

Durante l’intera carriera Handel scrisse soprattutto per la voce: dapprima come operista, e dagli anni Trenta del Settecento in poi come compositore di Oratori. Ma nel contempo egli era anche uno dei più grandi organisti dell’epoca – tanto abile, a quanto pare, che un dotto osservatore giudicò soltanto Bach degno di un paragone con lui; ed esistono innumerevoli resoconti sulle improvvisazioni ch’egli faceva di tanto in tanto sull’organo della St Paul Cathedral, e che attiravano, “una massa di pubblico tale da riempire il coro”.
Quando si rese necessario incrementare la vendita dei biglietti per le esecuzioni dei suoi Oratori, verso la metà degli anni Trenta, è dunque comprensibile se Handel, da persona prammatica che era, decise che la soluzione migliore fosse di offrire un’esibizione di virtuosismo all’organo durante gli intervalli. All’epoca i teatri londinesi disponevano solitamente di organi di dimensioni modeste e privi di pedaliera, caratteristici del Settecento inglese.
Componendo dei brani che combinavano il suo talento per l’improvvisazione con il robusto sostegno dell’orchestra nella fossa, Handel divenne il creatore di un genere di composizione del tutto nuovo: il concerto per organo.
Gli esordi di questo nuovo genere musicale ebbero luogo nel 1735 durante le esecuzioni degli Oratori Esther, Athalia e Deborah al Covent Garden. I quattro Concerti composti da Handel per queste occasioni furono accolti con entusiasmo, visto che l’anno successivo egli scrisse un altro Concerto da suonare durante le esecuzioni dell’ode ceciliana Alexsander’s Feast; non solo, ma nel 1734 tutte cinque le opere vennero pubblicate come op. 4.
Il Concerto per l’ Alexander’s Feast apparve come n. 1 della raccolta, mentre i quattro composti nel 1735 figuravano con i numeri dal 2 al 5. La pubblicazione venne completata, formando la consueta raccolta di sei brani, con l’aggiunta di un altro Concerto composto come parte dell’Alexander’s Feast, benché in origine fosse stato concepito per l’arpa.

George Malcolm

In tipica maniera handeliana, i Concerti attingono parecchio a lavori preesistenti, fra cui alcune delle prime opere liriche, le Sonate a tre, op. 2, e le Sonate per flauto dolce op. 1; il Concerto n. 5 è addirittura un adattamento testuale dell’Op. 1 n. 11.

Nella forma in cui vennero pubblicati, i Concerti erano concepiti per i dilettanti; nondimeno, in vari punti Handel incoraggiò il solista a improvvisare qualche fioritura, forse anche qualche ampio episodio solistico: per la presente incisione George Malcolm ha adattato in alcuni casi dei passaggi tratti da altri pezzi handeliani, in altri componendo lui stesso del materiale nuovo.
Speculando sullo strepitoso successo commerciale dei Concerti dell’op. 4, nel 1761, 2 anni dopo la morte di Handel, l’editore decise di pubblicare un’altra serie di sei Concerti come op. 7.
Handel aveva continuato a suonare l’organo in pubblico fino agli anni Cinquanta inoltrati, ma il continuo peggioramento della sua vita, che culminò nella cecità completa, lo costrinse ad affidarsi sempre più al suo talento come improvvisatore. Il celebre storico musicale del Settecento Charles Burney riferisce che egli preferì affidarsi alle sue capacità inventive piuttosto che alla memoria: poiché, assegnando all’orchestra soltanto lo scheletro, o i ritornelli, di ciascun movimento, egli eseguiva estemporaneamente tutte le sezioni solistiche, mentre gli altri strumenti lo lasciavano ad libitum; essi rimanevano quindi in attesa di un segnale, un trillo, che consentisse loro di eseguire i frammenti di sinfonia che trovavano nelle loro parti.
In confronto all’op. 4, la compilazione postuma dei Concerti dell’op. 7 deve quindi essere avvenuta secondo una scelta molto casuale. Non sorprende se la serie appare meno uniforme nella struttura (le discrepanze tra le copie autografe di Handel e le versioni pubblicate indicano che in tutti i casi non possiamo essere certi nemmeno della disposizione dei movimenti voluta da Handel), e che la maggiore ricorrenza delle indicazioni ad libitum pone il solista davanti a un lavoro più impegnativo.

I Concerti riuniti nell’op. 7 sono in gran parte associati agli Oratori degli ultimi vent’anni della vita di Handel.
Essi contengono la consueta miscela di rielaborazioni e “prestiti” musicali (sia da opere sue che da opere di altri compositori, fra cui Telemann e Muffat). Tuttavia siamo a conoscenza delle date in cui vennero compilati per la prima volta dal compositore: il n. 1 (che prevede, stranamente, l’impiego dei pedali) fu completato nel 1740 e probabilmente ascoltato alla prima esecuzione dell’Oratorio L’Allegro, il Penseroso ed il Moderato; il n. 2 risale al 1743 e fu assai probabilmente suonato alla prima del Samson; il n. 3 (1751) probabilmente venne ascoltato prima dell’esordio di The Choice of Hercules; il n. 4 (forse compilato per l’esecuzione di The Occasional Oratorio nel 1746) contiene un movimento la cui stesura è di data più antica e potrebbe risalire al 1733; il n. 5 (1750) probabilmente accompagnò il Theodora; infine il n. 6 fu composto nei tardi anni Quaranta.
Nell’intervallo di oltre vent’anni che separa la pubblicazione dell’op. 4 da quella dell’op. 7, furono molti i compositori che seguirono l’esempio handeliano, sia componendo Concerti per organo, sia adattando altre opere per questo genere musicale.
Neville Marriner

Gli originali di Handel, tuttavia, sono rimasti quelli di maggiore successo, e non solo costituiscono un esempio della straordinaria e immortale attrattiva della sua musica, ma sono anche una testimonianza della sua capacità di reagire con enorme inventiva alle esigenze pratiche.

Lindsay Kemp
(Traduzione DECCA 1996)