Franz Joseph Haydn

La Creazione

Registrato nel magnifico splendore barocco dell’abbazia benedettina di Ottobeuren in Baviera, questo spettacolo del capolavoro corale di Haydn del 1798 è diretto da un Bernstein in stato di grazia. Eseguito dopo il disastro nucleare di Chernobyl e le crescenti tensioni tra Oriente e Occidente, la visione di Bernstein per il lavoro titanico di Haydn è una sorta di redenzione attraverso la musica. Questo è Haydn visto attraverso una lunga lente storica che ha già intravisto le opere orchestrali / corali di Beethoven, Verdi e Mahler. È importante ricordare che la prima esecuzione di questo Oratorio presentava un’orchestra di più di 120 membri e un grande coro maschile. Haydn ha anche fornito testi in tedesco e inglese ma Bernstein scelse il testo tedesco di Gherard van Swieten.

Bernstein dirige con tutta la sua solita animazione e ardore. Il Chor e la Symphonieorchester des Bayerischen Rundfunks sono uno dei migliori ensemble del mondo. Oltre al cast stellare composto da Judith Blegen, Thomas Moser, Kurt Moll, Lucia Popp e Kurt Ollmann, l’orchestra e coro riempiono questa bella Abbazia Barocca e abbracciano la rappresentazione musicale di Haydn della creazione e dell’umanità. Se le recenti e più modeste esecuzioni “filologiche” delle opere di Haydn sono quelle che desiderate, allora dovreste evitare questo DVD. Questa è una esecuzione con strumenti moderni e con un coro e orchestra straordinariamente ampi.

Sia il suono che il video sono stati rimasterizzati digitalmente e risultano ben dettagliati. DVD altamente raccomandato.

La Creazione

Riattraversando la Manica, nel 1795, di ritorno dal suo secondo soggiorno londinese, Haydn portava con sé un testo di oratorio che gli aveva procurato il Salomon. Il suggerimento dell’abilissimo impresario che cinque anni prima – malgrado il contrario avviso degli amici e dello stesso Mozart – aveva saputo indurlo a tentare l’avventura londinese, celava il progetto ambizioso di riportare ancora Haydn in Inghilterra, ripresentandolo questa volta nella veste di erede e successore di Hàndel. A Londra Haydn aveva riportato una impressione profonda dalla audizione degli oratori di Hàndel: la “commemorazione” durata quattro giorni, alla quale aveva assistito nel 1791, gli aveva rivelato una ampiezza di respiro, un vigore di concezione, una poeticità che non aveva riscontro negli oratori, modellati sullo schema delle forme melodrammatiche, che si solevano eseguire a Vienna. E appunto per Hàndel Lindley aveva tratto, dalla Genesi e dal Paradiso perduto di Milton, il poema che Salomon proponeva ora ad Haydn. Se anche il sogno ambizioso ed ingenuo era destinato a non realizzarsi, il testo, tradotto liberamente in tedesco dal direttore della Biblioteca imperiale Gerhard van Swieten, fu quello della Creazione, composta da Haydn tra il 1797 e il 1798 ed eseguita al Nationaltheater il 19 marzo 1799.

Il poema si adattò mirabilmente, almeno nella sua forma definitiva, allo spirito e alla religiosità di Haydn. Vi si è voluta scorgere una impronta di protestantesimo di cui Haydn certamente non si avvide e neppure sospettò. Egli
era buon cattolico e osservante, ma di una religiosità semplice e senza turbamenti, come tutte le sue manifestazioni, di una spontaneità popolaresca.

Abazia benedettina di Ottobeuren

Le sue messe, soprattutto quelle composte dopo il 1791, nelle quali si esprime con maggiore indipendenza formale, sono spesso chiare e squillanti come fanfare, al punto da suscitargli contro non poche critiche. Perfino in una lettera di Mendelssohn del 1833 si legge «… la messa di Haydn era scandalosamente gaia». Ma egli rispondeva: «Non le so scrivere in modo diverso. Quando penso a Dio il mio cuore è talmente pieno di gioia che le note mi sgorgano fuori come una fontana.

E poiché Dio mi ha dato un cuore incline alla gioia, Egli mi perdonerà di averlo servito in giocondità».

Muti e la VPO hanno svolto un lavoro fantastico in questa rappresentazione. I solisti sono proprio perfetti. Lucia Popp, al suo secondo DVD di Die Schopfung, canta con tanta grazia e poesia, e la sua scomparsa nel 1993, appena tre anni dopo, è stata una vera e propria perdita. Pur essendo un soprano completamente lirico, la sua voce è emozionante nei momenti più drammatici e anche i suoi colleghi “Francisco Araiza” (Uriel) e Samuel Ramey (Raffaello) hanno offerto un’alta interpretazione. Le registrazioni in studio di Francisco Araiza sono generalmente modificate ma in questa rappresentazione è più smagliante e chiaramente più espressivo. Che dire di Riccardo Muti: Fantastico!
Una plauso anche al Coro dell’Opera di Stato di Vienna. Questa è una performance molto bella di questo spartito da confrontare con l’altra registrazione effettuata da Leonard Bernstein. Altamente raccomandato.

La Creazione

Nelle prime due parti, delle tre che la compongono, la Creazione segue fedelmente il racconto biblico: lo enunciano i tre arcangeli, Raffaele, Gabriele e Uriele, quasi con le parole stesse della Genesi. In questa impostazione narrativa, che da materia ad una serie di recitativi e costituisce il filo conduttore, ma non la principale sostanza espressiva dell’opera, è l’unico tenue legame che la riconnette alla tradizione formale dell’oratorio. Per essa la creazione è narrata, ma non rappresentata: descritta invece, e con colori smaglianti di ingenua freschezza, è la natura appena creata nell’impetuosità dei suoi moti primitivi, e le creature che la popolano, nella varietà di forme del loro vivere, non mai prima sperimentato e pur sicuro, sciolto, e gioioso della sua agilità. Ma soprattutto, dal cuore sempre giovane del maestro ormai sessantacinquenne trabocca, nelle arie e nei cori, la tenerezza stupita, la gratitudine commossa di fronte alla bellezza, alla bontà, all’innocenza del creato. Si può riandare, a proposito di Haydn, all’ottimismo e alla teodicea di un Leibnitz, richiamarsi alle concezioni dell’Illuminismo non ancora cancellate dallo Sturm una Drang, rifarsi per il suo senso idillico della natura a quello più smaliziato e cerebrale di un Rousseau. Musicista innanzi tutto – artigiano, anzi della musica – egli di tutto ciò ebbe poca coscienza; lo respirò se mai nell’aria del suo tempo, senza saperlo e senza accorgersene, ma per ciò stesso immedesimandosene più profondamente, così da poterlo riscavar fuori dal suo spirito come una vena di metallo nobile e prezioso. E vi aggiunge – egli, uomo del vecchio ordine, musicista di una società profondamente, se pur illimitatamente, feudale – un sentimento che è del tempo nuovo, quello di una superiore moralità d’arte. Non già la vecchia concezione didascalica dell’arte che educa e indirizza al bene; ma il senso di una funzione consolatrice dell’opera di fantasia, che si indirizza senza distinzioni di caste e di classi a tutta l’umanità dolorante e smarrita. «Spesso, quando sono in lotta con ostacoli di ogni genere, quando le forze declinano e mi è divenuto difficile perseverare nella via intrapresa, un sentimento segreto mi sussurra: vi sono quaggiù così pochi uomini lieti e contenti, dappertutto è dolore e angoscia; forse il tuo lavoro potrà essere qualche volta una fonte alla quale chi è oppresso dall’angoscia possa attingere per un istante un sollievo». Questa aspirazione che egli espresse in una lettera è forse la lezione più alta che egli ritrasse dai suoi viaggi londinesi, dall’esperienza di una civiltà musicale aperta a tutti coloro che vi volessero e sapessero attingere; senza dubbio essa non si realizza in nessuna delle sue opere più compiutamente che nella Creazione e le da un senso di più ampia umanità e di più profonda religiosità.

Riccardo Muti

In un punto solo, più che a narrare e a descrivere, Haydn si attentò a rappresentare l’atto e il momento stesso della creazione: all’inizio. Una pagina strumentale che porta il titolo di Ouverture e che si può paragonare, tranne la maggiore ampiezza, a quelle introduzioni lente e modulanti che tanto spesso egli usava premettere alle sue sinfonie e che erano destinate a dar risalto con la loro esitante incertezza all’apparizione chiarificatrice e decisiva del tema fondamentale. Il sinfonista non poteva concepire in maniera diversa il contrasto tra l’oscurità informe e senza tempo del Caos e la manifestazione improvvisa del primo atto della Volontà creatrice, il folgorare della luce. Il Caos è nella rappresentazione di Haydn non un cupo e drammatico agitarsi di forze indomite e scatenate, ma un languore torpido, qua e là agitato da presentimenti e da aspirazioni confuse; e si spegne da ultimo, quasi come un suono che nel suo infinito perseverare divenga insensibile, assottigliandosi in un moto di passi cromatici che inaspettatamente precorrono l’ansia di annientamento del preludio del Tristano. Formalmente l’introduzione si conclude trapassando nel recitativo di Raffaele, cui si unisce il coro; dura però il senso di sospensione che si risolve in un passo famoso, in un trionfale accordo di tutta l’orchestra, nel quale riesce oggi a noi difficile ritrovare l’emozione che nel 1808 ancora faceva balzare in piedi Haydn dalla sua poltrona di infermo. Nell’aria di Uriele, che segue, un cromatismo discendente evoca la fuga delle ombre e degli spiriti delle tenebre, di contro ai quali si leva, con la compattezza di un corale, ma con l’incisività ritmica di un inno il canto che celebra il sorgere del mondo.
Famosi e anche troppo celebrati nella Creazione sono gli squarci sinfonici che come rapide immagini intramezzano i recitativi: il muggire dei venti, la fuga delle nubi, la folgore e il tuono, la neve, la grandine e la rugiada, ancor prima che annunziati dagli arcangeli vengono evocati dall’orchestra. Tutta l’inventiva di Haydn è in queste brevissime pitture, così come più tardi nell’evocazione del canto degli uccelli, del balzo delle fiere, dell’ondeggiare dei serpenti. E tuttavia tutto ciò appare oggi come secondario e deteriore al confronto dell’incanto che emana dall’aria pastorale di Gabriele o dal coro finale della prima parte, interrotto da una pausa di romantica serenità nel recitativo che ricorda, dopo l’apparizione dell’astro del giorno, il sorgere sereno della luna.
Più avanti il canto si ripiega in meditazione quando sul lento scorrere di gravi armonie degli archi Raffaele enuncia in un arioso solenne e commosso il comandamento divino dell’amore e della propagazione della vita. Grado a grado il poema attraverso il racconto della nascita della natura inanimata, degli animali, infine dell’uomo, ci conduce alle soglie dell’Eden, al quale è dedicata la terza parte. Al canto degli angeli e degli arcangeli succede quello delle creature umane, Adamo ed Eva. Sono un uomo e una donna.

Franz Joseph Haydn

E tanto uno ha accenti virili, decisi, tanto l’altra li ha femminilmente trepidi, sottomessi, vezzosi. Nel duetto che l’oboe dolcemente inizia, Von deiner Gùt, la seconda parte, l’allegretto, è incantevole. Una melodia semplice e graziosa vien successivamente svolta dai principali personaggi, e il diverso timbro vocale, le diverse parole, le minime varianti dell’accompagnamento, e i trapassi tonali ne rinnovano volta a volta l’appropriatezza. Nell’altro duetto, che celebra lo splendore dell’alba, la frescura della sera, il sapore dei frutti, il profumo dei fiori, l’espressione dei due, come dire? innamorati, trabocca appassionata. Ma la chiusa, formalmente la chiusa di un duetto d’amore, è casta. E castissimo e trionfale risuona il coro finale.