Franz Joseph Haydn

Sinfonie Londinesi

Le interpretazioni non sono esagerate come sovente vengono considerate le incisioni delle composizioni settecentesche di Karajan. Le battute iniziali, per citare solo alcuni esempi del primo movimento della Sinfonia n. 96 “Il miracolo” e il “Rullo di timpani” nella sinfonia n. 103 sono fenomenali, da ascoltare più volte senza mai stancarsi. La sinfonia n. 104 “London” è uno dei cavalli di battaglia di Karajan e questa esibizione è la sua migliore (il tempo musicale è precisissimo in entrambi i movimenti e senza dubbio il climax rimane invariato). La Berliner Philharmoniker Orchestra dà il suo meglio. Se credete che Hadyn sia un grande sinfonista e un’orchestra di punta possa rendergli giustizia in maniera plateale, questa collezione fa per voi. Registrazioni eseguite dal 1981 al 1982 e rimasterizzazione effettuata nel 1990.

Haydn, primus inter pares di Sergio Sablich

L’incisione delle dodici Sinfonie che Haydn scrisse per Londra fra il 1791 e il 1795 (e perciò dette “Londinesi”) è, tra quelle del Karajan maturo, una delle più meritevoli di interesse e di attenzione. Si spalanca qui, ascoltando il monumentale ciclo nella sua integrità, una visione che spazza via non pochi luoghi comuni sulla presunta identificazione di Karajan – anche del Karajan discografico – con il repertorio romantico e tardo romantico: come se le qualità originali e i personalismi percorsi poetici dell’interprete – la bellezza assoluta del suono, l’intensità dell’espressione, l’estenuazione dei valori agogici e dinamici, la cura maniacale dei particolari – mal si adattassero, in via di principio, al rigore e alla misura dello stile classico e dovessero trovare, nelle Sinfonie di Haydn, una resistenza oggettiva.
Certo a nessuno verrebbe in mente di collegare Karajan – e la sua fama di interprete – alle Sinfonie di Haydn: tanto meno partendo da un punto di vista storicistico, a lui peraltro del tutto estraneo, incline cioè a considerare ogni realtà in rapporto al progresso e all’evoluzione storica.
Paradossalmente, proprio questo modo di vedere, al cui estremo opposto si pone la vana pretesa di ricreare, magari con strumenti “originali”, l’autentico stile di un compositore del passato, ha nuociuto a Haydn: confinandolo, a seconda dei casi, o nel ruolo di un precursore di Beethoven, che anticipò tratti distintivi dell’epoca romantica, o in quello di un autore troppo semplice e lineare rispetto a Mozart e a Beethoven stesso.
Nella triade classica Haydn-Mozart-Beethoven, solo cronologicamente Haydn è il primo; di fatto, nella considerazione generale, a lui tocca l’ultimo posto, come dimostrano sia la diffusione nei concerti sia le presenze discografiche.
Neppure Karajan ha mai fatto di Haydn uno dei pilastri dei suoi programmi; anche se nei concerti non era raro imbattersi in una sua Sinfonia, magari accoppiata con Beethoven, Brahms o Strauss.
L’incisione integrale delle “Londinesi”, come quella delle sei “Parigine”, che per molti versi ne è il completamento, non nasce però da un mero calcolo commerciale, per riempire un vuoto del catalogo.
Essa significa piuttosto il confronto meditato e consapevole con un autore importante, affrontato in tarda età, all’inizio degli anni Ottanta, con i mezzi più sofisticati della tecnica di registrazione moderna.
A questa tappa della sua carriera di direttore Karajan giunge con intenzioni interpretative precise, per fissare l’immagine globale di Haydn nella sostanza dell’opera musicale in quanto tale.
Insomma, mai come in questo caso il disco ci consegna la testimonianza di una visione unitaria, che a noi è possibile seguire nei singoli dettagli e nello sguardo d’insieme.
Per Karajan, ciò che conta è l’individuazione delle peculiarità di Haydn sinfonista in quella stagione della musica che trapassa impercettibilmente, senza soluzione di continuità, dall’autunno di un’epoca intrisa di Empfindsamkeit alla primavera di una nuova coscienza formale, colta nell’atto di venire alla luce.
Di quel lungo istante in cui l’espressione sinfonica si chiarifica e si rafforza, Karajan sembra prolungare l’epifania; quasi a volerlo sospendere nel tempo per contemplare tutti i particolari, cesellare ogni sfaccettatura, tornire tutti i rilievi, in un giuoco di luci e di ombre che riflette gli sbalzi e le torsioni, o viceversa le distensioni e le risoluzioni, di cui sono costellati i percorsi, nuovi ma mai accidentali, dei lavori sinfonici dell’ultimo Haydn.
Franz Joseph Haydn

Ciò che gli importa non è tanto giustificare Haydn attraverso Mozart o Beethoven quanto rendere percettibile e significativa l’identità di una musica del tutto matura e individuale nei suoi mezzi e nei suoi scopi.
Karajan restituisce a questa musica anzitutto la sua pienezza: pienezza di suono e di spessori, grandiosità di tono, e pienezza di contenuti nell’articolazione del processo formale.
Per Karajan, Haydn è un capitolo a sé stante nella storia della sinfonia: perfettamente compiuto e conchiuso, dove passato e futuro si cristallizzano nell’attimo protratto e insistito del presente. Alcuni atteggiamenti fondamentali nell’interpretazione di Karajan emergono per così dire nei luoghi decisivi del divenire della forma. Per esempio negli Adagi introduttivi.
Per Karajan queste introduzioni lente non sono solo veicolo di pensieri profondi, o grandi gesti che rivelano un’agitazione interiore, ma anche premesse della elaborazione compositiva che ne consegue: la sorgente di un’idea finalizzata a una meta.
Non vi è però in esse quella tensione spasmodica, quel “dramma musicale” che contraddistingue invece analoghi procedimenti beethoveniani: il passaggio, per quanto pregno di relazioni nascoste, avviene per crescita naturale, e dà la misura di una concezione originaria che a poco a poco si sviluppa e prende forma, per avviare un discorso che si espande unitariamente e verrà concluso.
E benché Karajan imprima slancio a quest’arco, vi è in esso costantemente il calcolo esatto di una proporzione che aspira idealmente alla classicità (si ascolti in questo senso, nella varietà di accenti risolta in luminosa trasfigurazione e purificazione dell’espressione, la Sinfonia n. 104 in re maggiore, l’ultima e più complessa del ciclo).
Più screziato risulta l’approccio ai tempi centrali.
Nei Minuetti, Karajan dà ben poca importanza all’immagine tradizionale che li vorrebbe ricollegare al gusto popolare, a danze paesane e rudezze contadine, o a stilemi settecenteschi: anche qui il suo Haydn è prima di tutto elegante, raffinato, quasi aristocratico.
Affiora semmai, in certi indugi o andamenti rapsodici dei Trii, una nostalgia, uno struggimento che richiama qualcosa di indistinto e di lontano, evocando colori tenui e climi crepuscolari: e in questi momenti Karajan è unico, sublime. Questi particolari intensamente poetici si ritrovano anche nei movimenti lenti, ai quali Karajan imprime ora un piglio decisivo, ora una scorrevolezza feconda, ora un andamento più trattenuto e sostenuto per dare respiro alle grandi campiture melodiche, ottenendo autentici miracoli dal “legato” prodigioso degli archi dei Berliner e finezze da musica da camera dagli strumentini.
Karajan evidentemente non tiene in gran conto i titoli che accompagnano alcune Sinfonie tra le più eseguite e che ne sottolineano tratti caratteristici.
Per lui le ultime Sinfonie di Haydn sono musica assoluta, destituita di ogni fondamento programmatico, descrittivo o illustrativo. Ciò non impedisce che alcune trovate che infiammano l’ispirazione o connotano un clima (la “sorpresa” del colpo di timpano nella 94, il ritmo regolare della pendola nella 101, i segnali militari di tromba e la musica “alla turca” nella 100, il sensazionale rullo di
timpano all’inizio della 103, l’eroismo della 94 o la vena idillico-pastorale delle Sinfonie con i clarinetti), vengono colte e rese nelle loro funzioni integrative all’interno del materiale formale.
Anche il brio e l’umorismo, l’ammicco e la serietà tragica, fanno parte di un rango aristocratico a cui Karajan sembra guardare quasi con complicità. E nello stesso tempo risplende la pienezza della vita, l’immediatezza di un fare musica che si riconosce nella gioia degli slanci affettivi o nel dramma dei ripiegamenti interiori, ma senza perdere mai la limpidezza formale, la solidità dei contorni, la sostanza del suono, la certezza di un ordine superiore.
Così, il più analitico dei direttori mette l’impeccabilità della resa strumentale al servizio di uno stile individuale, definito in se stesso. Nell’interpretazione di Karajan, il ciclo delle “Londinesi” è un capitolo chiuso nel grande libro della sinfonia, ma sempre attuale: concluso nei suoi valori e nella sua essenza.
Di fronte ai contemporanei e ai posteriori, nella triade classica, Haydn occupa il posto che gli compete con un rilievo inusitato, quello di un primus inter pares.

Sinfonia n. 93 in re maggiore, Hob:I:93

Dopo la morte del principe Nikolaus Esterhàzy nel 1790, il suo successore Anton ridimensionò le attività musicali della corte, e ridusse il salario di Joseph Haydn a una modesta pensione. Il compositore non potè allora rifiutare la generosa proposta che gli venne da Johann Peter Salomon, violinista tedesco che era diventato una delle figure più importanti della vita musicale di Londra, nella veste di impresario, di solista, di fondatore e direttore di una propria orchestra. Salomon propose ad Haydn di scrivere per la sua orchestra delle nuove Sinfonie, e i due partirono insieme alla volta di Londra, dove arrivarono dopo un viaggio di 17 giorni, il giorno di capodanno del 1791. Haydn fu accolto come una celebrità dal mondo musicale londinese, e si mise subito al lavoro. Compose sei Sinfonie in quel primo viaggio, tra ii 1791 e il 1792, e altre sei nella sua seconda visita londinese, tra il 1794 e il 1795. E tutte le dodici Sinfonie scritte per Salomon ed eseguite dalla sua orchestra furono poi battezzate «Sinfonie londinesi».
Anche per venire incontro ai gusti del nuovo pubblico di Londra, Haydn elaborò una nuova maniera in queste Sinfonie, che appaiono più accattivanti e di impatto immediato rispetto alle precedenti. E questo spiega perché divennero subito tanto popolari. Il contenuto espressivo, la nitida sagomatura dei temi, il sapiente dosaggio dei chiaroscuri, la brillantezza della scrittura orchestrale, il vivace gioco di contrasti, la chiarezza delle architetture formali, si univano al gusto arguto, alla ricerca della sorpresa umoristica, alla capacità di fare sintesi fra alcune novità collaudate e una certa galanteria rococò.
Un carattere brillante, spettacolare, ha la Sinfonia n. 93 in re maggiore, la terza di questo gruppo di Sinfonie (anche se compare come prima nel catalogo Hoboken), composta nella primavera del 1791 e poi eseguita il 17 febbraio 1792 nel concerto inaugurale della stagione per sottoscrizione, diretto dallo stesso Salomon. La reazione del pubblico e della critica fu entusiastica, fu ammirata la novità delle idee, il capriccio grazioso mescolato alla grandiosità tipica di Haydn.
Come nelle altre Sinfonie londinesi, anche nella Sinfonia n. 93 Haydn prepone all’Allegro iniziale un’introduzione lenta (Adagio), 20 battute che si aprono con due Re scanditi all’unisono dall’intera orchestra, seguiti da un inciso degli archi dal carattere meditativo e da escursioni in tonalità lontane. Il galante ritmo di valzer sul quale è modellato il primo tema dell’Allegro assai, ritorna anche nel secondo tema integrato da disegni di scale che poi forniscono il materiale principale dello sviluppo, ricco di imitazioni e di intrecci contrappuntistici, prima della ripresa, dove si innestano nuovi controcanti e passaggi solistici al fagotto.
Il Largo cantabile (in sol maggiore) è costruito come un gruppo di variazioni su un temino enunciato all’inizio da quattro archi soli. Nelle variazioni resta il contegno serioso e compassato, che sembra quasi fare il verso a un’ouverture à la francaise, e che viene sottolineato dal frequente uso del modo minore, e dagli improvvisi scarti di densità e di dinamica. Ma alla fine quando la musica si fa più diradata e sembra spegnersi, un inaspettato Do grave in fortissimo dei due fagotti, ha un effetto davvero spiazzante (una sorpresa che piacque molto al pubblico londinese), come uno sberleffo che precede la chiusa di tutta l’orchestra.
Tipico dell’ultimo Haydn, il Minuetto (Allegro) si avvicina sempre più allo Scherzo beethoveniano, prendendo invece le distanze dal gusto galante delle Sinfonie precedenti. Il carattere un po’ aggressivo, il passo pesante, sono messi in risalto dai colori saturi, dagli imprevedibili slittamenti di ritmo e di tempo, dal costante uso dei timpani. In questo Minuetto, Haydn richiama anche motivi dei movimenti precedenti, e innesta un originale Trio basato sul netto contrasto tra fanfare marziali e morbidi passaggi degli archi in tonalità lontane.
Haydn non fu contento del Finale (Presto ma non troppo) di questa Sinfonia – dopo la “prima” Haydn confessò a Frau von Genzinger che era un movimento «troppo debole» rispetto all’Allegro iniziale – anche se è una pagina piena di energia e di verve, che fonde rondò e forma-sonata in maniera molto libera, con due elaborati sviluppi, una trama tematica ricca di fantasia, di break e modulazioni improvvise, di contrasti pieni di humour, con una coda davvero trascinante.

Sinfonia n. 94 in sol maggiore “The Surprise” (La sorpresa o Con il colpo di timpano), Hob:I:94

Il primo viaggio in Inghilterra – dal gennaio 1791 al giugno 1792 – doveva costituire un autentico rivolgimento professionale nell’esistenza di Haydn. Nel settembre 1790 un evento inatteso aveva posto bruscamente fine alla realtà musicale in cui il compositore si era trovato continuativamente ad operare per oltre un trentennio, in qualità di dipendente presso la corte dei principi Esterhàzy. Alla morte improvvisa del principe Nicolaus, raffinato mecenate, amante delle arti e della musica, il figlio Anton aveva licenziato la troupe operistica, l’orchestra e la compagnia di attori attive presso la residenza di Esterhàza, concedendo ad Haydn una lauta pensione vitalizia. Di qui la decisione, per il compositore, di accogliere l’invito dell’impresario e musicista inglese John Peter Salomon a recarsi in Inghilterra per prendere parte alla stagione concertistica diretta dallo stesso Salomon.
In realtà la fama di Haydn era ben alta in Inghilterra assai prima che il compositore sbarcasse a Dover, grazie alla diffusione editoriale delle sue partiture, che gli aveva garantito una celebrità europea, almeno a partire dagli anni Ottanta del secolo. La vita musicale londinese, d’altra parte, mancava da decenni di importanti compositori autoctoni e si nutriva di musicisti immigrati, provenienti soprattutto dall’area austro-tedesca; e nessuno aveva colmato il vuoto lasciato, nel 1782, dalla scomparsa di Christian Bach fondatore, con Carl Friedrich Abel, di un fortunatìssimo ciclo di concerti pubblici a pagamento. Haydn si trovò a ricoprire appunto il ruolo che era stato ideato da Christian Bach e Abel, dirigendo al cembalo tutti i concerti delle stagioni di Salomon. Il pubblico londinese lo ricompensò tributandogli i massimi onori. I commentatori lo paragonarono a Händel, alludendo ai «primi due compositori della scuola antica e di quella moderna». Non mancarono i riconoscimenti pubblici di tutta l’alta società e della stessa casa reale. Per i concerti di Salomon alle Hanover Square Rooms, dunque, furono create quasi tutte le dodici sinfonie dette “londinesi”. L’orchestra per cui queste partiture vennero concepite comprendeva illustri virtuosi e compositori, e raggiungeva un numero di strumentisti quasi doppio rispetto a quello disponibile alla corte di Esterhàza. Ovvio che la stessa produzione sinfonica venisse direttamente influenzata da queste mutate condizioni. La scrittura strumentale di Haydn potè dunque avvantaggiarsi di una rinnovata varietà di effetti, sviluppandosi da una concezione ancora cameristica del suono orchestrale a una pienamente “sinfonica” in senso moderno.
Ma anche un altro fattore fu determinante nella novità dei risultati del ciclo delle sinfonie “londinesi”, il mutamento dei rapporti produttivi. Il passaggio da Esterhàza a Londra implicò per Haydn la brusca transizione dalla condizione di compositore dipendente, autore di brani rivolti a un pubblico ristretto e specializzato, a quella di libero professionista, consapevole di scrivere per un pubblico, come quello londinese, preparato, esigente e pieno di aspettative. E proprio la particolare attenzione al pubblico portò Haydn a redigere delle partiture che potessero “impressionare” per dei precisi, riconoscibili tratti distintivi. In questa prospettiva si chiarisce il significato metonimico dei soprannomi legati a molte delle “Londinesi”: i vari nomignoli, riduttivi ma non necessariamente fuorvianti, vogliono puntualizzare proprio quello che è di volta in volta l’elemento più saliente di un ingegno sempre rinnovato sul piano espressivo. Nel caso della Sinfonia n. 94 i due soprannomi – “Sorpresa” nei paesi anglosassoni e “Colpo di timpano” in quelli di lingua tedesca – che accompagnano la partitura fin dalla sua creazióne puntualizzano una caratteristica saliente del secondo movimento; «il mio desiderio era […] quello di sorprendere il pubblico con qualcosa di nuovo» osservò Haydn.
Eseguita per la prima volta a Londra il 23 marzo 1792 sotto la direzione dell’autore, la Sinfonia n. 94 è la terza (e non la seconda, nonostante il numero d’ordine) del gruppo delle “Londinesi”; si affida a un organico composto da coppie di flauti, oboi, fagotti, corni, trombe, e da timpani e archi. Per il superiore equilibrio nella concezione della forma, l’impiego di materiale tematico di carattere “popolare”, la ricerca continuamente variata delle soluzioni strumentali, armoniche, di sviluppo, la Sinfonia esprime tutte le caratteristiche peculiari del gruppo delle “Londinesi”, e costituisce uno dei risultati più alti del sinfonismo haydniano.
L’Adagio cantabile introduttivo, improntato ad una ambientazione lirica, contiene, in nuce, il materiale tematico del seguente Vivace assai; il carattere “danzante” del motivo iniziale si proietta sull’intero movimento, che non è fondato su una pronunciata contrapposizione tematica (un tema secondario compare solo nella coda dell’esposizione, e lo sviluppo è basato interamente sul primo), ma sulla mirabile elaborazione. Il secondo tempo è un tema con variazioni, in cui ogni successiva comparsa dell’aria popolare (citata da Haydn anche nelle Stagioni) acquista colorazioni variegate grazie a una superba strumentazione; è qui che trova luogo il “colpo di timpano” del titolo, a scandire la prima metà del periodo iniziale. Il Minuetto ha il carattere di Ländler, legato tematicamente al Trio, ma rispetto a questo nettamente contrastante; e questa logica di contrasti trova il suo momento più alto nel Finale, in forma sonata, dinamicamente scattante e impreziosito da quelle pause improvvise e quelle false riprese che sono la manifestazione più umoristica e acuta dell’arguzia haydniana.

Sinfonia n. 95 in do minore, Hob:I:95

Il viaggiatore settecentesco che dall’Europa continentale visitava l’Inghilterra e in particolare Londra, aveva l’impressione di entrare in un mondo dinamico e moderno. La vita delle piccole e grandi città era animata da una classe sociale media di professionisti, commercianti, uomini d’affari che la potenza commerciale inglese, ramificata in tutto il mondo, aveva originato molto tempo prima rispetto agli altri paesi europei. A questa borghesia rimarrà quasi sempre precluso il prestigio della gentry, la classe sociale dei pochi aristocratici inglesi che esercitava il potere politico: tuttavia, giungendo nell’isola, il visitatore non aveva l’impressione di grandi squilibri e profonde differenze sociali. Le ragioni sono molteplici. La prima è la mancanza di una legislazione che rendesse evidenti le differenze di classe. Non ci fu bisogno in Inghilterra, come invece era successo negli altri paesi europei, di concessioni a particolari gruppi di potere, poiché la monarchia era stata nei secoli sempre straordinariamente forte. E non c’era mai stato bisogno nei secoli passati di grandi eserciti e di un massiccio programma di vendita delle cariche, con privilegi di ogni sorta, che originasse una classe dirigente per gestirlo. Come conseguenza di ciò, in Inghilterra nessuno poteva ottenere l’esenzione dalle tasse per rango, status, canea o luogo di residenza: in teoria si era tutti uguali, anche se in realtà un’elite con uno spiccato autocontrollo manteneva il potere e gestiva lo Stato favorendo lo sviluppo della classe media. Così, l’assenza di antagonismi tra gentry e borghesia di ogni livello (una fonte di contrasto sociale che caratterizzò invece il resto d’Europa fino alla metà dell’Ottocento) rendeva stabili e condivisi i gusti e i consumi culturali.
L’Inghilterra era dunque una piazza che, per via della sua moderna organizzazione dello spettacolo e del suo pubblico di danarosi dilettanti, poteva offrire molto a un compositore. Joseph Haydn trovò l’occasione di recarvisi nel 1790, alla morte del principe Nikolaus I Esterhàzy, dipendente del quale era stato occasionalmente dal 1760 e stabilmente dal 1766. Infatti il figlio di Nikolaus I, Anton Esterhàzy, per motivi di controllo della spesa ma anche per poco interesse nei confronti della musica, alla morte del padre aveva licenziato l’orchestra di corte, assicurando ad Haydn, che per tanto tempo l’aveva gestita, una congrua pensione.
Haydn si trovò così libero di accettare una vantaggiosa offerta economica fattagli più volte dall’impresario inglese Johann Peter Salomon: quella di recarsi in Inghilterra e dirigere Sinfonie per grande organico da lui appositamente composte. Sebbene non fosse più giovane (era nato nel 1732, morì nel 1809) il compositore accettò la sfida dando vita a quel gruppo di Sinfonie, dalla n. 93 alla n. 104, dette “Londinesi” proprio perché eseguite in Inghilterra durante i due soggiorni che egli effettuò, il primo tra il 1791 e il 1792, il secondo tra il 1794 e il 1795. Haydn, nell’accingersi a scrivere queste creazioni, decise di essere schietto, accessibile, parco nelle complessità. Fece la scelta giusta: le sue Sinfonie ottennero un enorme successo popolare grazie al loro ottimismo calibrato da sapienti contrasti, alla felice brillantezza melodica e all’omogenea stabilità di schemi definiti che conferiscono al genere una forma-modello molto accurata. La Sinfonia n. 95 appartiene al gruppo delle composizioni realizzate per il primo soggiorno inglese. Già dall’Allegro moderato d’apertura la percezione è quella di una diffusa chiarezza d’insieme arricchita dall’arguzia e da gradevoli sorprese. Il dosaggio dei chiaroscuri e la ricerca del colorito si devono a una dovizia creativa che sa esprimersi in formule gustose, quasi mai problematiche o impegnative. Il risultato è travolgente e immediatamente comprensibile: un dono, quello di saper calibrare qualità e chiarezza, che Haydn seppe portare a superlativi risultati.
Nell’Andante che segue, il compositore ossequia il gusto galante con abilità e solido mestiere, ottenendo limpide soluzioni sonore, gradevoli passaggi estemporanei, svolgimenti e articolazioni interessanti nell’ambito di un linguaggio elegante e mai troppo sperimentale.
Nel Menuetto, terzo tempo della Sinfonia, il sereno segue invariabilmente le ombre minacciose che ogni tanto vi appaiono: Haydn rinuncia a esplorare contenuti profondi per illustrare diversi umori con godibile tocco patinato. Tutto si svolge senza mai turbare l’ascolto di un pubblico che ama compostezza e decoro, scende a patti con controllati effetti drammatici, ma pur sempre richiede una versione edulcorata dell’emotività.
Il Finale, un Vivace in forma di Rondò, inizia serpeggiando in piano, una firma che contraddistingue lo stile del compositore. Sorprendentemente, però, il tessuto sonoro non ripropone subito il tema a grande orchestra, come solitamente accade in brani del genere. C’è qui un trattamento della suspense di cui Haydn fu maestro: la gioiosa perorazione è di molto rinviata, con effetto quasi esplosivo. In aggiunta a questi tratti di voluta incertezza, l’originalità e la freschezza inventiva si incaricano di far percepire gli snodi strutturali su cui la composizione poggia. È questo, in fondo, il pregio maggiore di Haydn: farci partecipi, con franchezza e umiltà, del susseguirsi delle sue idee musicali. Gli inglesi non ebbero torto quando, tributandogli grandi successi, identificarono Haydn stesso con lo spirito e lo stile di questi lavori. Il mondo della vecchia aristocrazia aveva insegnato al compositore il valore della comunicatività e del dialogo. Con esse egli seppe vincere anche le sfide del nascente libero mercato.

Sinfonia n. 96 in re maggiore “The miracle” (Il miracolo), Hob:I:96

La personalità di Haydn giganteggia in tutti i settori della musica e a lui va il merito di aver condotto la composizione strumentale, con la densità delle sue strutture dialettiche e con lo sviluppo della forma-sonata, fuori dalle ingenuità dello stile galante. Egli è stato il pioniere del quartetto d’archi e della sinfonia, il rinnovatore dell’oratorio di stile händeliano, il compositore versatile di opere serie e comiche secondo il gusto italiano, il creatore di una forma pianistica che consegnò al titanismo beethoveniano. L’attività musicale di Haydn è vasta e complessa e passa dalle invenzioni giocose e brillanti dei suoi divertimenti allo splendore preromantico dei pezzi orchestrali e dei grandi e fastosi oratori, che contribuirono alla definizione dell’opera lirica agli inizi dell’Ottocento.
Secondo i dati musicologici più recenti, raccolti nel 1957 nel “Thematìsch- bibliographisches Werkverzeichnis” di Antony van Hoboken, la produzione di Haydn comprende 108 sinfonie, 16 ouvertures, 47 divertimenti per orchestra e per complessi strumentali vari, 83 quartetti per archi, 32 concerti per diversi strumenti solisti e orchestra, 52 sonate per pianoforte, 8 sonate per violino e clavicembalo, 31 trii per pianoforte, violino e violoncello, 126 trii per baryton (un vecchio tipo di viola da gamba), 14 messe, vari brani sacri, cantate, arie e Lieder, 18 opere teatrali, 5 opere per marionette, 3 oratori (Il ritorno di Tobia, La Creazione, e Le stagioni). Naturalmente oltre alla quantità nella musica di Haydn conta la qualità, che punta sulla organizzazione razionale del mezzo espressivo, con l’allargamento delle basi dello “sviluppo” sonoro, inteso come mutazione sia melodica che armonica e ritmica, così da intensificare l’uso delle progressioni e delle modulazioni, quali elementi di un vivace e serrato procedimento dialettico.
Abitualmente il corpus sinfonico di Haydn viene suddiviso in tre gruppi che si fanno coincidere con i luoghi dove l’autore svolse la sua attività. Il primo periodo sinfonico, definito genericamente giovanile, comprende le opere dal n. 1 al n. 5 scritte fra il 1759 e il 1760, durante l’anno in cui il musicista fu al servizio del conte Morzin a Lukavec. Queste sinfonie, elaborate per un organico strumentale ristretto comprendente gli archi con due oboi e due corni, riflettono lo stile galante del tempo, anche se si avverte l’insegnamento dei maestri italiani, da Vivaldi a Sammartini. Il secondo momento della produzione sinfonica haydniana coincide con i lunghi anni di lavoro (quasi trenta) presso la famiglia dei principi Paul e Nikolaus Joseph Esterhàzy, partìcolarmente operosi e fecondi, con una sistemazione economica abbastanza tranquilla, pur ricoprendo una posizione di servitore, in quanto aspettava ogni giorno dai suoi padroni l’ordinazione di un pezzo musicale che doveva essere eseguito subito dall’orchestra della cappella (dai sedici ai ventìdue strumentisti più i cantanti) che il compositore dirigeva nel fastoso castello in stile rococò, una specie di Versailles all’estremità meridionale del lago di Nausiedi, chiamato appunto Esterhàz. Si parla di un blocco di ottantasette sinfonie, che vanno dal n. 6 al del 1761 al n. 92 del 1788 e rivelano una maggiore varietà espressiva, accompagnata da un ampliamento dell’orchestra, che aggiunge un fagotto, un flauto, una tromba e i timpani, fino a stabilizzarsi poi nel tipico organico haydniano, utilizzato anche da Beethoven (flauto, due oboi, due fagotti, due corni, due trombe, timpani e archi). Non c’è dubbio però che le sinfonie comprese fra il n. 93 e il n. 104 e composte a Londra fra il 1791 e il 1795 (è il terzo periodo sinfonico che si identifica con l’acclamata tournée di Haydn nella capitale britannica, organizzata dal violinista Johann Peter Salomon, vissuto tra il 1745 e il 1815) rappresentino la fase culminante dell’attività creatrice del musicista, meritevole a giusta ragione del titolo di “padre della sinfonia”. Infatti “La sorpresa” (n. 94), la “Militare” (n. 100), “La pendola”, detta anche “L’orologio” (n. 101), “II rullo di timpani” (n. 103), la “Salomon” (n. 104), tanto per segnalare qualche titolo, costituiscono i pilastri di quella costruzione sinfonica solida e massiccia che avrebbe influenzato, non solo formalmente, la vita musicale del tempo, a cominciare da Mozart, Beethoven e Schubert, anche se il rapporto fra Haydn e Mozart mostra il salisburghese ad un livello di più spiccata individualità: nel 1788 Mozart aveva già composte le sue ultime tre grandi sinfonie.
La Sinfonia n. 96, composta nel 1791, reca come sottotitolo “II miracolo” a ricordo del curioso incidente avvenuto a Londra, quando venne eseguita per la prima volta. Alla fine dell’ultimo movimento, ripetuto per bis, il pubblico applaudì con entusiasmo e si affollò intorno al compositore, che secondo l’uso del tempo, era seduto al cembalo, per acclamarlo e complimentarsi con lui. In quel momento il grande lampadario appeso al centro della sala si staccò dal soffitto e crollò sul pavimento, senza fare vittime. Passato l’attimo di terrore il pubblico gridò: «Miracolo!» e da allora la Sinfonia in re maggiore ebbe tale nome. Il lavoro è ricco di invenzione tematica sin dall’Allegro iniziale, subentrante al sereno Adagio introduttivo. L’Andante è un tempo lento con variazioni, articolato in tre sezioni, punteggiate da terzine e note lunghe, inserite in un elaborato disegno contrappuntistico. Piacevole e di tono popolaresco è il Menuetto, inframezzato da un grazioso Trio affidato agli strumenti a fiato mentre il Finale in tempo di rondò, quasi da moto perpetuo è gustosamente espressivo nei suoi brillanti giochi strumentali.

Sinfonia n. 97 in do maggiore, Hob:I:97

Una netta predominanza del modo maggiore e una omogeneità dai contrasti smussati nella struttura di ciascuno dei quattro movimenti imprimono alla Sinfonia in do maggiore n. 97 un senso di pacata e maestosa serenità. Sembra quasi che, proprio negli anni della propria emancipazione professionale, Haydn volesse restare ancora legato a un’epoca, come quella delle composizioni atte a celebrare i fasti di corte, ormai destinata al tramonto. In realtà, nella struttura e nel tessuto del suo lavoro, egli riversa il frutto maturo di trent’anni di straordinaria evoluzione, contenente i germi di un nuovo modo di far musica. Non è quindi difficile individuare, come ad esempio negli episodi centrali (Sviluppo) del primo movimento, alcuni degli ingredienti musicali e degli impasti orchestrali che pochi anni dopo, seppur trattati con ben altro dinamismo e forza espressiva, ritroveremo nel sinfonismo beethoveniano.
Il sipario si apre lentamente sulla scena con un Adagio introduttivo nel quale la luminosità del modo maggiore viene appena increspata da alcuni accordi di settima diminuita. Non tarda a giungere il Vivace, con il suo primo tema scolpito sull’accordo di do maggiore, che avanza nel tempo di 3/4 con l’incedere solenne di una danza regale. Anche il secondo tema, a cui si giunge dopo un brillante episodio di transizione, presenta il carattere di danza, ma con toni più gentili e affettuosi, privi della maestosità dell’inizio. A completamento dell’Esposizione troviamo un rapido movimento terzinato e una graziosa cadenza nella quale affiora una cellula melodica già ascoltata nell’Adagio intoduttivo. Lo Sviluppo, dopo una iniziale riproposizione del primo tema in una tonalità lontana (mi bemolle), si articola in due episodi nettamente distinti: un suggestivo ordito contrappuntistico dei fiati (sotteso da un frammento del primo tema che rimbalza tra le diverse sezioni degli archi) e un forte orchestrale, unico momento di una certa drammaticità in cui un saliscendi di scale si intreccia al riecheggiare dell’incipit del primo tema. Al termine della sezione di Sviluppo resta il solo movimento scalare che come un filo d’Arianna conduce alla Ripresa. Quest’ultima si svolge secondo i canoni tradizionali, con l’aggiunta di un episodio interlocutorio che precede la coda conclusiva, basato sul già citato motivo dell’introduzione.

Franz Joseph Haydn

Il secondo movimento, Adagio ma non troppo, ruota intorno a un unico tema che Haydn trasforma attraverso due variazioni e una elaborazione. Il tema in questione prende le mosse da una graziosa melodia dal ritmo puntato e si sviluppa con un’ampiezza inusuale per un tema con variazioni, tanto da formare due episodi tra loro conseguenti ed entrambi ritornellati. Nella prima variazione le due parti del tema senza ritornelli presentano un disegno ornamentale a terzine condotto principalmente dai violini primi, che si snoda toccando le note della melodia principale come i paletti di una traccia. Il successivo episodio non ripercorre fedelmente la struttura del tema ma costituisce una libera elaborazione del tema stesso in tonalità minore, nella quale mesti e soffusi pianissimi si alternano a contrastanti sforzati dell’intera orchestra. Nel riportarsi in modo maggiore Haydn ripropone una nuova variazione dall’andamento gioioso, nella quale il tema questa volta viene fiorito da quartine di semicrome dei violini e con l’aggiunta di ritornelli delle due parti che presentano a loro volta piccole varianti. In conclusione di movimento, Haydn inserisce una cadenza d’inganno da cui ricava una semplice cellula ritmica di tre note che poi dilata con maestria per formare la coda finale.
Il terzo movimento presenta un Menuetto costituito da un ampio episodio unitario senza soluzione di continuità (non vi sono tra l’altro i tradizionali ritornelli letterali) che, ruotando intorno a due frasi (o più correttamente periodi) tra loro conseguenti, scorre fluido rievocando quell’atmosfera da danza di corte ascoltata all’inizio del primo movimento. Il Trio presenta una struttura analoga a quella del minuetto; tuttavia i toni più garbati della tessitura, dovuti a una dinamica contenuta e a una orchestrazione dalla quale vengono esclusi flauti, trombe e le vigorose percussioni dei timpani, danno invece a questa sezione centrale il sapore di una danza popolare.
L’ottimismo che pervade l’intera Sinfonia n. 97 trova il suo apogeo nel divertente Presto assai conclusivo in forma di rondò. Nelle prime otto battute del tema principale troviamo un’incalzante melodia dei violini primi alla quale risponde una perentoria scala a note staccate dell’intera orchestra, due frasi di un unico tema che Haydn svilupperà quasi fossero due temi distinti. Nel successivo botta e risposta tra oboi e archi, questi ultimi sembrano quasi accennare per un istante a una smorfia irriverente con un frammento del tema storpiato da una breve scaletta cromatica discendente. Un nuovo motivo di oboi e violini ha quindi la duplice funzione di restituire fluidità al disegno melodico e di dare il via a una intensa e mirabile elaborazione a mo’ di fugato del secondo elemento del tema principale (crome ribattute con attacco anacrusico), che si conclude invece con echi della prima parte del tema. Dura poche battute la ripresa del tema, che viene quindi trasposto in tonalità minore con un espressivo fortissimo, per poi lasciare spazio a una sezione caratterizzata prevalentemente da successioni armoniche. Dopo una pausa di circa due battute, ritorna il motivo a crome ribattute, che viene più volte reiterato. A questa parte centrale di elaborazone fa seguito una ripresa del tema finalmente completa, seppure senza la presenza dei ritornelli, seguita da un’ampia coda conclusiva basata anch’essa sul motivo a crome ribattute, che si arresta momentaneamente su due cadenze intermedie prima della chiusa finale.

Sinfonia n. 98 in si bemolle maggiore, Hob:I:98

Pur essendo stata scritta nello stesso periodo e con il medesimo organico, la Sinfonia in si bemolle maggiore n. 98 rivela, nel confronto con la n. 97, una profondità introspettiva e un’intensità drammatica di ben altro spessore, con alcuni accenti tragici nei quali molti hanno pensato di leggervi il pianto per la recente scomparsa di Mozart (1791). Se tali «punti beethoveniani ante litteram trovano la loro massima espressione nelle sezioni centrali dei primi due movimenti, il carattere di opera «seria» si stempera invece nella seconda parte della sinfonia con un Menuetto dal tema frizzante e vivace e, soprattutto, cori il travolgente Finale ricco di gustosi coup de théàtre.

L’Adagio introduttivo si apre con uri gesto teatrale a tinte fosche degli archi che, muovendosi all’ottava, anticipano il primo tema dell’Allegro modellandolo sulla lentezza del tempo e sul modo minore. Il tema vero e proprio giunge quasi di soppiatto, scorrendo fluido su un piano iniziale, subito controbilanciato dal forte con cui l’orchestra conferma la tonalità di tonica, per poi passare con un ponte modulante alla tonalità di dominante. Qui si apre il secondo gruppo tematico, nel quale troviamo il primo tema trasportato e trattato con una più ampia evoluzione melodica; da questo nascono infatti nuovi elementi e una seconda parte con spunti totalmente originari, caratterizzati da un plastico motivo dei violini primi seguito da un breve spunto cromatico a note lunghe degli oboi, che porta direttamente a conclusione l’Esposizione.
La sezione di Sviluppo si apre con un breve episodio interlocutorio basato sulla prima idea tematica, subito seguito da tre vigorose note staccate degli archi che lanciano il primo tema mosso all’ottava dagli sforzati dell’intera orchestra. Lo stesso primo tema viene quindi diviso in due frammenti che si contrappongono tra loro in un episodio contrappuntistico ricco di intensità espressiva;, il dinamismo si stempera quindi al termine della fase di Sviluppo in una sezione più pacata, nella quale riecheggiano ancora elementi del secondo gruppo tematico. Nella Ripresa, a differenza della sezione di Esposizione, il primo tema viene riesposto con un forte a opera dell’intera orchestra, mentre l’episodio di transizione si salda direttamente alla conclusione della prima parte del secondo gruppo tematico in tonalità di tonica, evitando così la ripetizione del primo tema in questa tonalità.
L’architettura del secondo movimento (Adagio cantabile) è strutturata anch’essa, seppure con articolazioni semplificate, sullo schema della forma-sonata. Da un primo tema, costituito da un corale degli archi a cui risponde una melodia più mossa dei violini, si passa, dopo una breve modulazione di quattro battute alla tonalità di dominante, a un secondo tema avente chiare affinità con il primo, dato che ne ricalca la medesima articolazione ritmica della melodia (a eccezione del corale iniziale). Nell’episodio centrale di Sviluppo i tremoli a sestine degli archi suscitano cupi presagi momentaneamente smentiti da una serena melodia dei violini primi, ricavata dai temi e sostenuta da fitti arpeggi a sestine dei violini secondi. L’atmosfera si fa però nuovamente intensa e drammatica: l’accompagnamento a sestine si libera in una sorta di moto perpetuo su cui si inseriscono gli accordi modulanti dell’orchestra, nei quali emerge melodicamente l’incipit del primo tema. Nella Ripresa vi è una variante nel primo tema che, nelle prime quattro battute, presenta un suggestivo accompagnamento al basso dei soli violoncelli con un sinuoso andamento a crome; in conclusione gli oboi, accompagnati a sestine staccate dai violoncelli, ripropongono il primo tema, che si riduce a frammentari accenni nella breve coda finale.
Diversamente dal Minuetto della Sinfonia n. 97, questo terzo movimento presenta il tradizionale schema bipartìto con relativi ritornelli. Nella parte iniziale flauti e violini primi disegnano una brillante melodia con guizzanti acciaccature doppie, che si dispiega sopra un forte dell’intera orchestra al quale fa da contrappeso un breve piano dall’incedere più legato dei soli archi. Nella sezione successiva vi è invece una breve evoluzione melodica del tema con accenni in modo minore, alla quale fa seguito la ripresa del tema stesso. Il Trio presenta a sua volta la stessa struttura del Minuetto, ma in un’atmosfera resa maggiormente aggraziata dalle dinamiche più contenute, dalla mancanza di ottoni e timpani e da una melodia che privilegia un andamento fluido a gradi congiunti legati.
Nell’imponente Finale (Presto) Haydn si diverte a creare una spumeggiante costruzione ricca di inventiva, ironia e colpi di scena, dalla quale traspare un evidente desiderio di accattivarsi il «pubblico pagante» londinese, obiettivo che per altro egli persegue senza mai venire meno alla propria classe e maestria di compositore.
Il primo tema saltella con destrezza in tempo di 6/8 passando dai violini primi agli oboi, prima che si accenda il potente tutti orchestrale in risposta cadenzale alla flebile voce degli oboi stessi. Una breve elaborazione dell’incipit del primo tema, con ulteriori spunti tematici originali, porta al secondo tema in tonalità di dominante, dove brevi e spiritosi incisi a note staccate si alternano divertiti sopra un fitto accompagnamento a note ribattute. Lo Sviluppo si apre in maniera singolare con una languida e quasi farsesca elaborazione del secondo tema da parte del primo violino solista. L’irrompere improvviso di un fortissimo dell’intera orchestra porta a un ulteriore sviluppo del secondo tema, per poi abbandonarsi a vigorose successioni accordali. Ritorna quindi il violino solista che porta a conclusione lo Sviluppo e al tempo stesso riespone il primo tema nella Ripresa. In conclusione Haydn gioca le sue ultime carte a sorpresa con una improvvisa riproposizione del primo terna rallentato dall’indicazione Più moderato. Il successivo esplodere del fortissimo orchestrale lascia presagire un trionfante cadenzare conclusivo, che viene invece disatteso dalla ricomparsa del tema rallentato, suonato questa volta a note pizzicate e con l’aggiunta dell’accompagnamento assolutamente inaspettato del fortepiano, grazie al quale il compositore poteva concedersi il vezzo di una breve esibizione finale come esecutore.

Sinfonia n. 99 in mi bemolle maggiore, Hob:I:99

La Sinfonìa in mi bemolle maggiore n. 99 appartiene al gruppo delle dodici “Londinesi”, così definite per essere state composte in occasione dei due trionfali viaggi in Inghilterra compiuti dal compositore nei periodi 1791-92 e 1794-95, dietro invito del violinista ed impresario Johann Peter Salomon. Anche in precedenza Haydn aveva ricevuto pressanti inviti ad oltrepassare la Manica, ma era stato costretto a declinarli a causa del suo impegno di maestro di cappella presso la corte di Esterhàzy. A sollevare il compositore da questo impegno doveva essere l’improvvisa morte del principe Nikolaus, nel settembre 1790, e la conseguente decisione del figlio Anton di sciogliere la cappella familiare. Il contatto – già nel gennaio 1791 – con la prassi musicale inglese si doveva rivelare decisivo per l’estrema definizione dello stile sinfonico haydniano, partito da posizioni ancora legate all’età barocca ed evolutosi verso il mirabile equilibrio formale dello stile “classico”, fino agli altissimi risultati delle Sinfonie “Parigine”.
Tutte le “Londinesi” vennero dunque create per i concerti di Salomon alle Hanover Square Rooms, poi spostati, per le ultime tre, al King’s Theatre. La circoslanza che questi concerti fossero frequentati da un pubblico pagante significò un netto mutamento nei rapporti produttivi ai quali Haydn aveva fino allora fatto riferimento. Il passaggio da Esterhàza a Londra implicò infatti, per l’anziano maestro, la brusca transizione dalla condizione di compositore dipendente, autore di brani rivolti a un pubblico ristretto e specializzato, a quella di libero professionista, consapevole di scrivere per un pubblico, come quello londinese, preparato, esigente e pieno di aspettative. E proprio la particolare attenzione al pubblico portò Haydn a redigere delle partiture che potessero “impressionare” per una ricerca continuamente variata delle soluzioni strumentali, armoniche, di sviluppo, e per dei precisi, riconoscibili tratti distintivi; risultati, questi, ai quali non è estranea la predilezione per un materiale tematico di carattere “popolare”, che permea tutto il gruppo delle “Londinesi”.
Ma anche un altro fattore fu determinante nella novità dei risultati del ciclo. Eccezionali erano le condizioni esecutive di cui Haydn potè disporre; illustri solisti e strumentisti facevano parte dell’orchestra di Salomon, che poteva vantare un organico di dimensioni inconsuete per l’epoca: fino a sessanta elementi. Ovvio che la stessa produzione sinfonica venisse direttamente influenzata da queste mutate condizioni. L’organico strumentale disponibile alla corte di Esterhàza comprendeva meno della metà degli strumentisti dei concerti al King’s Thea-tre; e la scrittura strumentale di Haydn potè dunque avvantaggiarsi di una rinnovata varietà di effetti, sviluppandosi da una concezione ancora cameristica del suono orchestrale a una pienamente “sinfonica” in senso moderno. Proprio la Sinfonia n. 99, in tal direzione, segna una importante novità; questa partitura, scritta a Vienna, nel sobborgo di Gumpendorf, nel 1793, in previsione del secondo viaggio londinese, è infatti la prima nel catalogo di Haydn ad avvalersi dei clarinetti, strumenti di cui il compositore non aveva potuto disporre né a Esterhàza né a Parigi; per quanto l’impiego dei clarinetti appaia assai cauto, principalmente come raddoppio, con scarso rilievo solistico, è evidente che il colore complessivo del gruppo dei fiati si arricchisce in modo peculiare.
È nelle ultime Sinfonie dunque che l’arte sinfonica di Haydn tocca il suo culmine, per la capacità di coniugare al più alto grado la fantasia dell’invenzione e il rigore nello sfruttamento dei mezzi compositivi. Le impostazioni delle varie partiture seguono tracciati in larga parte paralleli, ma le soluzioni strutturali ed espressive conferiscono poi a ciascuna di esse una fisionomia peculiare, alla quale non è estranea la scelta della tonalità di base e delle tipologie espressive ad essa connesse secondo il codice degli “affetti” dell’epoca.
La tonalità della Sinfonia n. 99, mi bemolle maggiore, ha un carattere nobile, di elevato livello concettuale e anche di implicazioni marziali. Grande solennità è quella dell’introduzione lenta, interrotta da pause ed esitazioni e condotta attraverso peregrinazioni che portano lontano dalla tonalità d’impianto. Nel seguente Vivace assai il tema principale è esposto piano dai violini e poi ripreso con aspetto quasi di marcia; tutta l’esposizione appare permeata di questo tema e del suo carattere, tanto da fare a meno di un vero secondo tema; una nuova idea, di carattere garbato e ironico, appare solo nella coda. Tuttavia la sezione dello sviluppo – aperta da un suggestivo richiamo all’introduzione lenta – è principalmente basata su questa ultima idea, prima ripresa in modo drammatico e poi con rimandi frammentari fra legni ed archi. La sezione della ripresa fa riapparire dunque il primo tema come un elemento lungamente desiderato, ma anche in questa ripresa la seconda idea gioca un ruolo diversivo più importante che non nella esposizione, senza che venga meno il carattere vigoroso del movimento, riaffermato anche nella coda.
Vero cuore della Sinfonia è il secondo movimento, che probabilmente Haydn scrisse in memoria di Marianne Genzinger, dama alla quale era legato da un sincero affetto di amicizia. In sol maggiore e in tempo ternario, questo Adagio si affida a due principali idee tematiche; la prima, cantabile e intima, viene esposta dagli archi, e trova ripetuti echi e rimandi negli interventi dei fiati. Questa contrapposizione di gruppi strumentali serve a preparare l’ingresso della seconda idea, assai più calda e intensa; un breve sviluppo porta a toni drammatici il tessuto sinfonico, e la ripresa vede il primo tema impreziosito da un tessuto polifonico; ma è la seconda idea ad essere riproposti) con maggiore intensità e in vesti diverse nell’ultima parte del movimento.
II tratto vigoroso e marziale del primo tempo si ripresenta nel Menuet, dove si inseriscono anche movenze di danza popolare; del tutto contrastante, con un fraseggio legato e una dinamica contenuta, la sezione del Trio, che si raccorda nuovamente al Menuet con una fantasiosa transizione. Piuttosto che concludere la Sinfonia con un movimento gemello di quello iniziale, Haydn preferisce affidarsi a uno dei suoi celebri tempi brillantissimi, arguti e concisi in forma di Rondò; abbiamo così un tema di moto perpetuo e una seconda idea di carattere ritmico, ma soprattutto quel gusto della “sorpresa”, della ricerca di soluzioni continuamente rinnovate e inattese che è il segreto più autentico e felice dell’umorismo del compositore.

Sinfonia n. 100 in sol maggiore “Miltärsymphonie” (Militare), Hob:I:100

La Sinfonia n. 100 in sol maggiore è ormai inseparabile dal soprannome di “Sinfonia militare” che l’accompagna dalle origini; eseguita per la prima volta il 31 marzo del 1794, giorno del sessantaduesimo compleanno di Haydn, fu subito accolta da un grande favore, come dimostra la quantità di edizioni approntate nel solo primo decennio di vita; e al successo ha certo contribuito l’inserto “militare” nel secondo movimento (Allegretto) e in modo meno vistoso nell’ultima sezione del Finale.
La spettacolosa realtà della vita militare, con le sue marcie scandite, e il contorno sportivo di colori, segnali e pennacchi (“bella vita militar!”, come canta il coro del Così fan tutte di Mozart), era un soggetto molto gradito alla fantasia artistica del tardo Settecento; in musica si aggiungeva l’esotismo della cosiddetta musica o “banda turca”, cioè il drappello di piatti, triangolo e gran cassa in uso nelle favolose parate delle truppe ottomane: al loro strepito Haydn unisce trombe e timpani, e così il pacifico Allegretto della Sinfonia n. 100 (fra l’altro, quasi tutto composto nel 1786 come secondo brano di un Concerto per il re di Napoli) indossa l’alta uniforme e si pavoneggia con effetti irresistibili in una monumentalità per la quale non sembrava nato; il “Morning Chronicle”, pochi giorni dopo la prima londinese, ne riferisce il trionfo pubblico con richieste di bis seduta stante. Ma va anche detto che all’effetto immediato deve aver contribuito qualcosa d’altro: nel 1794, con i giornali europei pieni di notizie sui terribili avvenimenti della Rivoluzione francese, e con molti “emigrés” aristocratici riparati a Londra, è probabile che il “frisson” degli strumenti militari fosse causa di emozioni più risentite di quelle indotte dalla pura contemplazione di uno spettacolo.
Del resto sull’aspetto “militare” si è forse, specie alle origini, insistito troppo; esiste anche una recensione francese del 1805 in cui, con sottile perfidia antibritannica, si insinua che Haydn avrebbe scritto quell’Allegretto per scrollare i torpidi organi uditivi di “quella nazione, in genere poco sensibile agli charmes della musica”. In altre parole, curiosità a parte, va ribadito che la Sinfonia risplende di per se stessa nei puri valori musicali in gioco: segnati tuttavia da una certa spavalderia e quasi tracotanza che potrebbe ancora afferire al famoso soprannome; persino il Minuetto si muove in un panneggio più grandioso del solito, ma si pensi soprattutto alla corsa sorridente e luminosa del Finale (Presto), oppure al secondo tema del primo movimento: che infatti, molti anni dopo, troveremo scoppiettare nell’ancora più famosa Radetzky Marsch di Johann Strauss padre; ma prima ci aveva messo gli occhi sopra Rossini, nel duetto “Ai capricci della sorte” dell’Italiana in Algeri, a conferma dell’influenza irresistibile del genio umoristico di Haydn.

Sinfonia n. 101 in re maggiore “The Clock” (L’orologio), Hob:I:101

Nel settembre del 1790, dopo la morte del principe Nicolaus Esterhàzy, Joseph Haydn quasi sessantenne si trovò a godere di una grande libertà professionale e artistica; rimasto al servizio degli Esterhàzy in modo poco più che nominale tentennò a lungo se accettare l’offerta di un nuovo impiego presso Ferdinando IV a Napoli (amava l’Italia e ne conosceva bene la lingua); ma l’indecisione fu rotta da un dinamico violinista tedesco, Johann Peter Salomon, impresario di concerti a Londra, che in breve convinse Haydn ad una tournée in Inghilterra. Due furono i viaggi, nel 1791-92 e nel 1794-95, segnati dall’incontro con musicisti di tutto il mondo, dalla laurea ad Oxford e da ripetuti trionfi nella vivacissima società concertistica della Capitale.
Nel corso delle due residenze londinesi, feconde in ogni campo strumentale e vocale, Haydn corona il suo edificio sinfonico con le ultime dodici Sinfonie (nr. 93-104) composte per i concerti Salomon, una serie di capolavori in cui si compendia il linguaggio musicale del secolo XVIII e modello vincolante ancora per Beethoven, Schubert, Rossini e Weber. Nelle “londinesi” c’è una sorta di ampliamento di tutti gli elementi maturati nella lunga carriera creativa di Haydn; già l’orchestra accoglie stabilmente clarinetti, trombe e timpani, prima usati solo in vista di “Sinfonie solenni”: e poi tutto il tessuto rivela una grana più robusta di intrecci e combinazioni, come se la punta secca dell’incisore sia stata sostituita dall’ampio tratto del pennello, ed è lecito supporre che in questa direzione severa e monumentale abbiano influito le tre grandi Sinfonie di Mozart dell’estate 1788 (la “Jupiter” è stampata nel 1793, fra il primo e il secondo viaggio a Londra).
Rispetto a Sinfonie e Quartetti precedenti, e salvo rare eccezioni, di nuovo nelle “londinesi” c’è ancora un minore radicalismo di pensiero sonatistico: si ritrovano nette divisioni fra canto e accompagnamento e c’è anche posto per uscite solistiche di matrice barocca. Ma questi aspetti sono poi uniti a una caratterizzazione tematica sempre crescente, e soprattutto dal distacco di chi sa padroneggiare e giocare con ogni forma; in questo senso, in questa capacità di governare da sopra le forme più collaudate, alcuni contemporanei vedevano in Haydn, non oziosamente, un equivalente musicale di Laurence Sterne, per icasticità, umorismo, ironia; in realtà, le Sinfonie “londinesi” sono un monumento alla certezza e assolutezza del linguaggio musicale, una sonora smentita a decenni di argomentazioni teoriche sulla inferiorità della musica strumentale, sulla sua inettitudine a significare alcunché.
La Sinfonia in re maggiore n. 101, denominata “L’orologio”, appartiene agli anni del secondo viaggio a Londra e fu presentata al pubblico nel corso della stagione concertistica allestita da Salomon nel 1794. L’Adagio introduttivo è un tratto famigliare in Haydn, ma al posto della più consueta solennità cerimoniosa, qui l’introduzione serve a tratteggiare una zona scura e misteriosa, già presaga, in alcuni andamenti armonici, della rappresentazione del “Caos” con cui esordirà l’Oratorio La Creazione; l’effetto chiaroscurale si risolve nell’attacco del primo movimento, Presto, che spicca sul piedistallo introduttivo con la leggerezza di una danza in punta di piedi. Primo e secondo tema non si staccano né si contrappongono per diversità di figure, volutamente simili; quello che impressiona in questo primo movimento è il vigore delle deduzioni, delle variazioni e degli sviluppi, in una parola la logica compositiva: non solo lo sviluppo centrale è molto elaborato, con fitto ricorso alla scrittura fugata, ma anche la ripresa aggiunge nuove invenzioni, specialmente per via di una mobilità armonica piena di sorprese e di scarti improvvisi; poche battute prima della conclusione, sul tema esposto per l’ultima volta dai violini, il flauto sovrappone il tema di quattro note che conclude la Sinfonia “Jupiter” di Mozart: ancora un’allusione, un’ultima arguzia, ma anche la severa nobiltà di un simbolo.
È l’Andante che ha dato il nome di “L’orologio” alla Sinfonia, per il meccanico ticchettìo di archi pizzicati e fagotti in pianissimo che fanno da sostegno all’aperta melodia dei violini; Robbins Landon è incline a vedere nella pagina una certa adesione al gusto della sensazione particolarmente presente nel pubblico londinese: ma se è vero che Haydn si rivolge all’ascoltatore facendolo parte dei suoi segreti compositivi, la connivenza non ha mai il tono della superficialità, ma solo del gioco leggero sempre riscattato dall’intelligenza; Beethoven nella sua Sinfonia n. 8 riprenderà il tono umoristico di questa pagina. Il tema principale, esposto dai violini primi, ha qualcosa della Serenata nella disposizione piana e simmetrica: nel suo riapparire si presterà al cesello di sottili variazioni e alle lusinghe un po’ impertinenti del flauto solo; al centro, perdurando lo stesso schema ritmico, si apre un episodio in tonalità minore, che presto assume uno stile di sviluppo sonatistico secondo una tendenza dominante in tutta questa Sinfonia.
Fedele al Minuetto settecentesco, Haydn ne modella all’infinito lo stampo; qui, nella Sinfonia n. 101, il respiro della frase è particolarmente grandioso, in contrasto con la immediata freschezza del Trio, dove il flauto solo si esibisce in un numero di equilibrio fra la sommessa approvazione degli archi. Il Finale (Vivace), senza mai fare la voce grossa, rivela una somma maestrìa compositiva: rondò, forma sonata, forma di variazione, tutto è messo a frutto, ma la grandezza di Haydn è nel gesto con cui lascia capire che si potrebbe anche fare di più, ma per educazione, per civiltà, è meglio restare nei limiti.

Sinfonia n. 102 in si bemolle maggiore, Hob:I:102

Nonostante avesse trascorso quasi trentanni alla corte degli Esterhàzy, fra Eisenstadt ed Esterhàza, la “Versailles” ungherese dei suoi protettori, sul finire del 700 Haydn era celebre e ammirato in tutta Europa, stimato e onorato da musicisti (in primis Mozart e Beethoven), sovrani e melomani. E proprio a questa celebrità la Sinfonia in si bemolle maggiore n. 102 deve il suo luogo di nascita. Infatti, alla morte di Nicola I Esterhàzy, il “Magnifico”, nel settembre 1790 il figlio e successore Anton, poco amante della musica, licenziò l’orchestra di corte e, di fatto, lasciò senza lavoro anche Haydn, a cui comunque assegnò una tranquillizzante pensione di duemila fiorini annui, mantenendogli, almeno nominalmente, l’incarico di Kapellmeister.
L’avvenimento non prostrò certo Haydn, che da tempo desiderava quei contatti con l’ambiente musicale esterno che lo splendido isolamento di Esterhàza gli negava, ed era stanco del suo faticoso lavoro, alle prese con gli estri del “Magnifico” Nicola, il quale, appassionato dell’opera italiana, gli aveva fatto allestire e dirigere in quindici anni ben 90 prime esecuzioni di melodrammi di vari autori, con le relative repliche. In aggiunta, ça va sans dire, ai “normali” obblighi di compositore di corte.
Così Haydn cedette alle pressioni di Johann Peter Salomon, violinista impresario sulla piazza londinese, che lo voleva assolutamente in Inghilterra. Salomon era convinto, e vide giusto, che l’arte e la fama del grande musicista avrebbero assicurato un bel successo finanziario, mentre questi, più che da ragioni economiche, era attratto dalle meraviglie musicali di Londra: grandi teatri, le orchestre migliori d’Europa, con gli organici adeguati e musicisti ben preparati, un pubblico competente. Insomma, un mondo affatto diverso dal microcosmo del teatrino di corte, con la sua piccola orchestra e i suoi scelti frequentatori. Era una sfida che, se vinta, valeva la definitiva consacrazione internazionale e Haydn decise di accettarla: accompagnato da Salomon, il 2 gennaio 1791 sbarcò a Londra. Fu un trionfo: artistico, mondano e finanziario. La buona società inglese, in testa il Principe di Galles, accolse le sei Sinfonie (nn. 93-98) composte per l’occasione, con un entusiasmo travolgente e pienamente giustificato, trattandosi invero di autentici capolavori. Il fortunato esito di questa prima esperienza convinse Haydn a riprendere, dopo un breve ritorno in patria, la via di Londra, sempre sotto gli auspici del solito Salomon. Il secondo soggiorno inglese, iniziato nel febbraio 1794, si protrasse fino all’agosto del ’95 e fu coronato da un nuovo strepitoso successo.
Anche stavolta il compositore presentò sei Sinfonie (nn. 99-104), le ultime della sua vasta produzione e ancor oggi le più eseguite, immediatamente salutate dal pubblico londinese come i vertici ineguagliabili di un intero genere musicale. Né il risultato economico poteva essere migliore: dalle due trasferte sul suolo britannico Haydn ricavò complessivamente 24.000 fiorini. Anche la critica recente, del resto, è unanime nel ritenere che le “londinesi” rappresentino l’espressione più compiuta del sinfonismo haydniano. Lo schema formale su cui sono generalmente costruite, adottato fin dalle ventisei Sinfonie degli anni 1773-1784, comporta un primo movimento in forma-sonata; un Adagio cantabile o un Andante con variazioni come secondo tempo; un Minuetto dal ritmo spesso militaresco e comunque assai deciso e il Finale in forma di Rondò.
La Sinfonia in si bemolle maggiore n. 102 in programma questa sera, immeritatamente meno nota e meno eseguita delle consorelle, si impone invece all’attenzione per la varietà delle invenzioni e per la limpida chiarezza del discorso musicale. Vi si ritrovano, infatti, tutti i tratti peculiari alle sinfonie “londinesi” che, rispetto alle precedenti, mostrano un’architettura di più vaste dimensioni; un ampliamento dell’organico, reso possibile dalla maggior consistenza numerica e dalle capacità tecniche delle orchestre inglesi; una predilezione per esposizioni tematiche più brevi ed incisive; un’attenuazione decisa degli echi dello stile “galante” e un’orchestrazione di straordinaria linearità.
Il primo movimento si apre con un breve Largo introduttivo: vi affiorano su un leggero crescendo degli archi, motivi che richiamano, senza enunciarlo esplicitamente, il primo tema dell’Allegro vivace, che esplode poco dopo, robusto e scattante, introdotto da un arpeggio del flauto ed esposto dai violini, mentre il secondo tema, preannunciato da un fortissimo dell’orchestra, ha un carattere sobrio ed incisivo. I due temi ora si contrappongono fra drammatici sbalzi sonori, ora sono sovrapposti in un vivace contrappunto strumentale, finché un violento rullo di tamburi introduce alla turbinosa coda finale.
Il secondo tempo, un Adagio calmo e cantabile, poggia su una semplice suggestiva melodia degli archi, che conferisce a questa pagina un senso di pacata serenità, cui contrasta l’irruenza popolaresca del Menuett, col suo marcatissimo ritmo di danza paesana. Nel Trio, oboi e fagotto intrecciano le loro voci a imitare una pastosa zampogna creando un clima morbido, che la ripresa del Menuetto fuga improvvisamente.
Il Presto finale è un umoristico e incalzante Rondò, che chiude la Sinfonia in un clima di allegra cordialità. Il continuo ripresentarsi del motivo principale è inframmezzato da episodi musicali assai contrastanti tra loro che si susseguono fino alla gustosa Coda, in cui Haydn sembra divertirsi, in un gioco di rimandi fra legni ed archi, quasi a nascondere il tema, che nessuno strumento enuncia per intero. E infine la splendida Sinfonia si conclude con un piglio festoso e travolgente.

Sinfonia n. 103 in mi bemolle maggiore “Mit dem Paukenwirbel” (col rullo di timpani), Hob:I:103

Composta nel 1795, la Sinfonia n. 103 in mi bemolle maggiore fu eseguita la prima volta il 2 marzo dello stesso anno al King’s Theatre in Haymarket di Londra, nel quarto concerto della stagione dell’Opera Concerts. Presiedeva all’esecuzione Haydn in persona, seduto al clavicembalo o al pianoforte secondo la vecchia consuetudine, ormai meramente cerimoniale, del basso continuo. È la penultima delle sinfonie “londinesi”, detta “col rullo di timpani” perché un sommesso e solitario mi bemolle rullato dei timpani, di durata indeterminata, cioè con corona, si fa sentire all’inizio e verso la fine del primo tempo. Il grave disegno, legato lentamente e pianamente snodato dai soli bassi (fagotti, violoncelli, contrabbassi), subito dopo il rullo sostanzia parte dell’elemento tematico dell’Allegro con spirito seguente, dove si individuano comunque un agile tema principale in 6/8 e un leggero tema secondario come di valzer. Poco prima della conclusione del movimento, l’Adagio della introduzione interrompe brevemente l’Allegro con spirito, per far ascoltare di nuovo il rullo di timpani e il meditativo disegno dei bassi, e lasciar quindi riprendere il tempo veloce in una stringata coda. L’Andante adotta la forma del tema con variazioni, ma Haydn l’applica ingegnosamente a due temi distinti, ancorché molto somiglianti, entrambi di estrazione popolare (probabilmente croati), l’uno esposto piano dai violini, in do minore, l’altro enunciato forte dagli oboi e dai violini, in do maggiore; cosi maggiore e minore si alternano, entro le tante sorprese che il brano riserva, fra cui quella di una variazione dedicata al violino solo, e quella di una coda ricca di immaginativa e di armoniche prelibatezze. Il Minuetto contrappone ancora una volta il vigore della prima parte alla leggerezza del Trio. E il turbinoso Allegro con spirito gioca su due temi, quasi nei modi non rigorosi di una doppia fuga (l’uno esposto subito dai soli corni e identificato nella loro tipica fanfara, l’altro immediatamente subentrante) dei violini primi, che costituirà lungo tutto il finale e per tutta l’orchestra l’elemento ostinato e irresistibile.

Sinfonia n. 104 in re maggiore “Salomon”, Hob:I:104

La Sinfonia n. 104 in re maggiore, l’ultima di Franz Joseph Haydn – «la dodicesima che ho composto in Inghilterra», come scrisse sul frontespizio della partitura autografa lo stesso autore – fu eseguita nella New Room al King’s Theatre, a Londra, il 4 maggio 1795. Fu un evento speciale, «La notte di Haydn», fuori abbonamento rispetto ai previsti concerti dell’Opera Concert (cui il musicista era da poco passato per la discontinuità dei concerti Salomon quell’anno) di Giovanni Battista Viotti e a totale beneficio del compositore. Il successo fu tale che Haydn scrisse: «L’intera compagnia ne è rimasta lieta, e anch’io. Questa sera ho fatto 4000 fiorini. Una cosa del genere è possibile solo in Inghilterra». Una somma al tempo straordinaria: basti pensare che corrispondeva al doppio di tutti i suoi risparmi prima di arrivare in terra inglese.

Franz Joseph Haydn

La critica andò ben oltre a ciò che Haydn avrebbe potuto sperare, tanto che due giorni dopo si poteva leggere sul Morning Cronicle: «Seppe ben ricompensare le aspettative dei suoi amici scrivendo per l’occasione un brano che per completezza, ricchezza e valore in tutte le sue parti è considerato dai migliori critici come un’opera capace di superare tutte le sue precedenti composizioni». Sebbene il titolo «London» o «Solomon» avrebbe dovuto essere applicato a
tutte le sue ultime dodici sinfonie, le «londinesi» (nn. 93-104), fu proprio la Sinfonia n. 104 che ricevette entrambi gli appellativi: una sorta di testimonianza simbolica che univa al nome delia città quello dell’impresario che aveva costruito la sua immensa fortuna. Ma la n. 104 fu anche la sua ultima sinfonia, una sorta di testamento spirituale che i! vecchio compositore lasciava al nuovo secolo che stava per nascere.
Già a un primo ascolto spicca l’orchestrazione, che rivela una cura precipua per i colori, per gli impasti strumentali: sfarzosi, scintillanti anche, e soprattutto, per il contributo dei fiati, elemento che rivela come Haydn sapesse dare alla miscela timbrica un valore aggiunto. L’orchestra si compatta in un organico che sarà confermato da Beethoven e Schubert: i quattro legni raddoppiati a due parti (flauti, oboi, clarinetti e fagotti), affiancati ai due ottoni (corni e trombe) pure suddivisi in due, timpani e quintetto d’archi. Notiamo una grande maturità nello svolgere le relazioni tematiche, nell’intersecare le parti del testo ramificandone i riferimenti, così che la percezione è quella di uno svolgersi continuo, senza debolezze. I temi hanno calibro e personalità forte e si percepiscono come linee guida all’interno del brano, ma ben integrate con i frequenti interludi e frasi di collegamento che brillano per spigliatezza. Un ritmo spesso fremente innerva queste idee, conferendo una vitalità esuberante. Le strutture sono quelle classiche (forma-sonata, forma rondò, forma minuetto di sonata, ecc.), con le dovute eccezioni, dettate dall’originalità, che fanno la regola. L’elemento folclorico e popolare anima larghi tratti del lavoro e si combina con un’arguzia e un umorismo di fondo che spesso, in un certo senso, detta i destini della forma: sottintesi, riferimenti, elaborazioni, variazioni, frasi sospese e riprese, giochi tematici ed elementi ludici ne sono un caso concreto. E una sorta di pensiero narrativo sottostante, di storia svolta, legata al singolo strumento, al singolo tema, si manifesta come elemento strutturante il discorso, dettandone la regia.
Nel primo movimento, ad esempio, un’introduzione (Adagio), che stupì molto per la sua originalità i suoi primi ascoltatori, costituisce una sorta di livida «ouverture avanti all’opera». Quando inizia l’Allegro il sipario è aperto per un primo scatto emotivo forte, dato dal contrasto, netto, tra ciò che precede e il gaio primo tema che si mostra con tutta la sua eleganza, plasticamente disegnato dai violini primi. Inizia un ponte modulante, una festante ghirlanda sonora che per il gioco del circolo delle quinte conduce dal tono d’impianto di re maggiore alla dominante della dominante (mi maggiore) e, dunque, prepara la risoluzione alla dominante (la maggiore) sul secondo gruppo tematico. Ci si aspetterebbe il secondo tema, ma, a sorpresa, con calma olimpica Haydn ripropone ancora il primo, svolgendolo nella sua interezza. Il secondo tema compare solo dopo, con tutte le sue caratteristiche di docile eleganza e di grazia galante, naturalmente esposto alla dominante. Nello Sviluppo Haydn dà fondo

alla sua fantasia, presentando i due temi principali elaborati in un contrappunto complesso, armonicamente tormentato. L’orchestra pulsa di vita, mentre gli scontri delle masse si accentuano sotto un cielo drammatico creato da armonie sature, da ritmi incalzanti, dal frantumarsi della linea melodica in una somma di segmenti. Anche la Ripresa proprio perché non testuale, evidenzia elementi di forte originalità. Il primo tema ritorna, ma in una variante «pastorale» offerta dal quartetto di flauti e oboi; il ponte, dopo un inizio identico a quello dell’Esposizione, cambia corso in una frase in progressione che porta a una ennesima riedizione di asseverativi stralci del primo tema, rielaborati però in modo significativamente simile allo Sviluppo. Ciò causa una rottura della canonica ripresa tematica e, in un certo senso, di nuovo Haydn «mischia le carte»: una frase di raccordo (ancora basata sugli stessi stralci del primo tema, ma attutiti dalla dinamica in piano e da pause di cesura) riavvia per la seconda volta il ciclo tematico con il primo tema, la frase di collegamento, il secondo tema, questa volta nella tonica re maggiore. Finalmente una trascinante frase di epilogo affretta il discorso e chiude i giochi concludendo, maestosamente il primo tempo.
Il secondo movimento è un Andante. La forma scelta da Haydn è quella del tema con variazioni (forma a lui assai cara), ma dentro una struttura triadica suddivisa in una parte espositiva, una centrale e una di ripresa. Nella prima sezione un tema aggraziato degli archi in sol maggiore si sviluppa su due arcate motiviche diverse (a-b), prima di essere ripreso una seconda volta (a1), ma rimanere poi come sospeso su di un accordo con corona. Questa nota di arrivo (mi) sarà più avanti un pretesto per sviluppare il discorso musicale. Dopo tale enfatica pausa, l’eloquio prosegue in una frase risolutiva (c), cui si aggiunge una codetta. La sezione centrale è già un primo esempio di variazione: il tema elegiaco d’inizio si presenta in una poetica versione in sol minore lasciata al flauto solo, ma viene subito sopravanzato da una vibrante elaborazione in re minore che scuote l’intera orchestra. Si riaffaccia poi il leggiadro profilo del tema principale, questa volta in si bemolle maggiore, e la tempesta pare terminata; ma ancora l’animo si scuote in una nuova fase di sviluppo dalle forti tensioni, prima che una frase di collegamento spenga lentamente l’agitazione. La terza sezione corrisponde alla Ripresa della parte espositiva, ma proprio qui Haydn lavora di cesello presentando diversi livelli di variazione: ricompaiono il primo tema nelle sue due arcate portanti (a-b), fiorito da nobili abbellimenti che ne esaltano l’intrinseca eleganza. Quando però la prima arcata si ripresenta la seconda volta (a1), dopo pochi passi rimane polarizzata sulla nota mi bemolle e poi scivola su fa (anziché mi), cioè risolve su un accordo «altro»: l’orchestra letteralmente perde il filo del discorso, si inceppa, come smarrita. I! flauto, diligentemente, tenta di riprendere la frase risolutiva (e), ma, rallentata com’è (più largo), si perde anch’essa in un non-sense, sospesa verso l’alto e

incompleta. Si inserisce una frase di raccordo basata sull’incipit tematico, con il compito di riordinare la sequenza: di nuovo riappare il primo segmento tematico (a1), al punto in cui si era «perso» e questa volta la frase è terminata sulla nota «giusta», il mi dell’Esposizione. Tutto può rimettersi in moto: l’annuente aggiunta di una melodia ascendente del flauto avvia il «corretto» completamento del giro tematico, con la riproposta della frase conclusiva del tema e la coda. Gusto e ironia dettano il filo logico di questo episodio di raffinata musicalità, un aspetto tipico che stava «nelle corde» del miglior Haydn.
Il Minuetto costituisce un perfetto modello classico di «forma di minuetto di sonata», un’architettura bipartita dove sono presenti, sottostanti al succedersi periodico del materiale tematico, esplicite funzioni strutturate in esposizione, sviluppo e ripresa. Nella prima parte, chiusa da un segno di doppia barra e corrispondente al primo periodo) è esposto un trascinante motivo di danza. Nella seconda vengono dapprima elaborati alcuni tratti dell’avvolgente tema danzante (secondo periodo) con un progressivo innalzamento del piano tonale verso la dominante e con chiara valenza di sviluppo; poi, introdotto da una frase di collegamento, ritorna il tratto caratteristico del tema iniziale con netta funzione di ripresa (terzo periodo). E tutto con una leggerezza gioiosa e, diremmo, spensierata. Dopo la parentesi incantata del Trio, con il suo tema «gentile» che spicca per grazia, il ritorno del Minuetto riporta alle danze più sfrenate.
Si è così preparato il terreno per il Finale (Spiritoso), un agile rondò in forma- sonata in cui ancora predomina l’elemento popolare, questa volta persino a livello di citazione diretta: il tema refrain di questo gioioso rondò, infatti, deriva dal canto croato Oj Elena, una melodia qui introdotta dal pedale di corni e violoncelli con effetto di bordone. Il Refrain è esposto tre volte: in tonica re maggiore, alla sottodominante sol maggiore, alla dominante la maggiore, e per tre volte al tema si collegano fulminei episodi di danza che spiccano per brio e vigore ritmico. Solo una volta giunti alla dominante interviene un secondo elemento tematico che, dopo tanto clamore, emerge con la sua quieta imperturbabilità, esposto in forma di corale da archi e primo fagotto. Molti gli elementi sottoposti a elaborazione nello Sviluppo: oltre al tema ritornello, in rapida sequela si avvicendano il terzo episodio, il secondo episodio, il secondo tema, qui enfatizzato in una versione languente e sofferta carica di stridori tensivi. È la preparazione per la Ripresa che, salvo aggiustamenti relativi ai piani tonali dei temi (si rimane più ancorati al tono d’impianto) conferma il materiale dell’Esposizione sino al secondo episodio. Quando si giunge all’epilogo invece, le varianti sono più esplicite e Haydn gioca di più anche sulle sfumature, ripresentando una versione del secondo tema impreziosita dalla melodia soave del flauto; e la frase di raccordo che segue, derivata dall’incipit del tema principale, è ora letteralmente sublimata nello stesso tema refrain, che ritorna a più riprese, reiterato dai fiati. Nella coda, dopo l’esibita enfatizzazione della frase di raccordo che si muove in profondi, meccanici salti, domina infine la costellazione tematica del refrain, che conclude in un clima di gioia la sezione.