Franz Joseph Haydn

Sinfonie parigine

Registrazione eseguita nel 1981. Altamente raccomandato.

Haydn: le Sinfonie “Parigine”

Haydn non viaggiò fuori dell’Austria neppure una volta fino all’età di quasi 60 anni; ma a quell’epoca la sua fama si era già saldamente affermata in tutta Europa. Uno dei centri musicali in cui era particolarmente stimato era Parigi, dove le sue composizioni per orchestra furono frequentemente eseguite e pubblicate non appena gli editori riuscivano ad entrare in possesso delle copie. Da questo successo Haydn trasse ben pochi vantaggi economici; ma a 53 anni fu molto contento di ricevere una generosa commissione per un gruppo di sei nuove Sinfonie da parte della società orchestrale parigina “Le Concert de la Loge Olympique”, allora molto in auge. Si mise al lavoro con entusiasmo, e compose le sei Sinfonie durante gli anni 1785 e 1786 (secondo il grande studioso di Haydn H.C.Robbins Landon in quest’ordine: 83, 87, 85, 82, 84, 86). Esse furono eseguite per la prima volta durante la stagione concertistica parigina del 1787, con enorme successo, e furono pubblicate l’anno successivo non solo a Parigi ma anche a Londra, Vienna, Berlino e Amsterdam.
Queste sei Sinfonie, insieme alle altre cinque che Haydn scrisse per Parigi (nn. 88 e 89 per il violinista Johann Tost; nn. 90, 91 e 92 di nuovo per la “Loge Olympique”) costituiscono un nuovo capitolo nella storia della sua produzione sinfonica.
Le orchestre di Parigi erano molto più grandi della cappella di corte degli Esterházy per la quale Haydn aveva composto quasi tutte le sue Sinfonie precedenti, ed egli poté quindi scrivere in modo tanto più sostanzioso e brillante, dispiegando una più vasta gamma di timbri e concedendo ai fiati un’indipendenza maggiore, sia a livello solistico che di gruppo strumentale. Questo linguaggio orchestrale brillante era accompagnato da un piglio assai intenso, che Haydn evidentemente riteneva appropriato al pubblico parigino, ben diverso dal chiuso circolo del principe Esterházy e dei suoi ospiti: introduzioni lente, in alcuni casi, per attrarre l’attenzione del pubblico verso il primo Allegro; drammatici contrasti dinamici; conclusioni enfatiche, o almeno chiaramente marcate, per garantire l’applauso alla fine di quasi tutti i movimenti.
Più d’ogni altra cosa, tuttavia, sembra che Haydn nelle sue prime sei Sinfonie Parigine fosse deciso a mostrare alla Francia il meglio di cui era capace: gli Allegri di apertura sono fra i suoi più ricchi di inventiva e più complessi per elaborazione; i secondi movimenti si presentano in tutte le varietà che offriva questo tipo di movimento; troviamo inoltre dei Minuetti elaborati in modo spesso straordinario e, naturalmente dei Finali brillanti e umoristici. Nell’insieme, questa mezza dozzina d’opere costituisce un po’ la dimostrazione della maestria raggiunta da Haydn in una forma alla cui affermazione egli aveva tanto contribuito – una dimostrazione ad un livello creativo costante, che non è raggiunto forse neppure dalle sue ultime dodici Sinfonie scritte per Londra.

La Sinfonia n. 82 in do maggiore è orchestrata per flauto, due oboi, due fagotti, due corni nel registro acuto o trombe (o probabilmente sia gli uni che le altre, ma certamente i corni soli nel movimento lento), timpani e archi. Il suo titolo tradizionale L’Ours (L’orso) si deve al tema principale del Finale, il cui basso di bordone a mo’ di cornamusa pare che ricordasse ai parigini un “orso che balla”. Il primo movimento ha un’esposizione piena di energia, ricca di contrasti e d’inventiva: un’idea di transizione, secondaria ma di effetto notevole, è costituita da una serie di accordi dissonanti ben scanditi; essi ritornano verso la fine dell’ingegnosa sezione di sviluppo, ma sono omessi nella ripresa.
Il secondo movimento è una di quelle doppie variazioni tipiche di Haydn, sviluppate alternativamente su un tema in fa maggiore e su un altro in fa minore, che non è una variazione del primo ma è imparentato con esso per via della sua struttura ritmica.
Il Menuet (Haydn adottò il termine francese in quasi tutte queste Sinfonie Parigine) è sostanzioso, e il Trio è più sostanzioso ancora, con un’escursione inattesa in una tonalità lontana nella seconda parte.

Franz Joseph Haydn

Il Finale è dominato dal suo tema principale, quello “dell’orso che balla”, e in particolare da una piccola figura d’andamento circolare, che può essere rintracciata in tutti i precedenti movimenti della Sinfonia, a cominciare dalla prima frase di tono tranquillo del primo movimento. Un tocco divertente si ha quando il “tema dell’orso” comincia a passare attraverso tonalità differenti (ciò avviene a ritmo serrato all’inizio della sezione di sviluppo) e il basso di bordone, al contrario di quel che ci si aspetterebbe da una cornamusa, procede di pari passo!
La Sinfonia n. 83 in sol minore ha l’organico di fiati caratteristico delle Sinfonie Parigine: flauto, due oboi, due fagotti e due corni. Il primo movimento ha due temi principali in straordinario contrasto fra di loro: il primo tema è energico e ricorda quelle Sinfonie in tonalità minore, nello spirito dello “Sturm und Drang”, che Haydn aveva scritto una quindicina d’anni prima, mentre la seconda idea è gaia e “chiocciante”, e ad essa la Sinfonia deve il soprannome di La Poule (La gallina).
È notevole il graduale allentamento della tensione tra i due temi nell’esposizione, mentre ha poi un rilievo particolare la loro giustapposizione al principio della sezione di sviluppo.
L’Andante in mi bemolle maggiore, in forma-sonata, ha anch’esso i suoi momenti di incisivo contrasto, quando il sereno fluire della melodia dei violini è improvvisamente rotto da vigorose interruzioni del “tutti”, che sembrano ogni volta aver l’effetto di congelare la musica in un’immobilità completa.
Dopo questi due movimenti in tonalità coi bemolle, il luminoso Menuet e il Trio indicano decisamente che il resto della Sinfonia sarà non in sol minore ma in sol maggiore.
Il Finale è un movimento in forma-sonata composto da diverse varianti della sua idea di apertura; la misura di 12/8 genera un discorso musicale di notevole impeto, che verso la fine è frenato solo temporaneamente da una successione di pause.

La Sinfonia n. 84 in mi maggiore ha un’introduzione lenta di carattere sereno e serio, che potrebbe esser derivata direttamente dalle Sette parole del Redentore per orchestra, che Haydn aveva composto in quello stesso anno, 1786.
Essa introduce un vivace Allegro, in cui una sola idea funge, con due sviluppi diversi (ognuno dei quali comprende una figura ripetuta), da primo e secondo tema. Il secondo movimento è costituito da una serie di variazioni in si bemolle maggiore, in 6/8.
I fiati, dopo esser stati assenti dall’enunciazione del tema per buona parte della
prima variazione in minore e per tutta la seconda, danno infine un contributo sostanziale alla terza; poi, nella coda, i cinque legni eseguono una cadenza quintupla sostenuta dal leggero accompagnamento degli altri strumenti, come se tutto il movimento fosse stato fin dall’inizio un pezzo “concertante” in funzione dei legni.
Il Menuet, con le sue spiritose anacrusi, ha una seconda sezione più estesa, come di consueto, ma il suo Trio è l’unico in tutte queste sei Sinfonie ad esser composto secondo il modello considerato “regolare”, con due periodi ripetuti, di otto battute ognuno.
Il Finale, nonostante i molti episodi della scrittura energica affidati al “tutti”, nell’insieme fa un effetto piuttosto smorzato, soprattutto per via dei passaggi tranquilli e misteriosi che precedono e seguono la ripresa del tema principale, anch’essa dai toni tranquilli.

La Sinfonia n. 85 in si bemolle maggiore aveva già acquisito il titolo di La Reine all’epoca in cui fu stampata per la prima volta a Parigi, poiché si sapeva che era uno dei pezzi preferiti della regina, Maria Antonietta.
La sua introduzione lenta è piena di ritmi puntati, che forse si rifanno all’ouverture barocca francese; il loro andamento a scatti è in forte contrasto con il fluire omogeneo delle Vivace, in misura ternaria.
Come accadeva nella Sinfonia n. 84, il primo e il secondo soggetto di questo movimento sono inizialmente identici, qui non solo nella melodia ma anche nella linea del basso, in forma di scala discendente; ma la versione del secondo soggetto, presentato dall’oboe, ha una conclusione contrappuntistica nuova e aggraziata.
Se è tentati di supporre che fu il secondo movimento, una Romanza in mi bemolle maggiore, a suscitare la particolare ammirazione di Maria Antonietta: queste variazioni su una vecchia canzone francese in tempo di gavotta, La gentille et jeune Lisette, hanno la stessa aria di finta semplicità rustica che ha il “Petit Trianon”, il padiglione di Maria Antonietta a Versailles; c’è persino un canto d’uccello, delicatamente artificiale, nel contrappunto del flauto alla terza variazione.
Dopo un movimento come questo, la funzione dei forzandi sui tempi deboli del Menuetto è forse quella di portare un soffio più autentico di aria campestre nella sala da concerto.
Il Finale è un movimento compatto in forma di rondò-sonata, nel quale l’esitante ritorno dalla sezione centrale di sviluppo alla melodia principale è una caratteristica battuta di spirito.

La Sinfonia n. 86 in re maggiore, come si conviene a una sinfonia settecentesca, aggiunge trombe e tamburi all’organico dei fiati in tutti i movimenti eccetto quello lento. Ha una spaziosa introduzione lenta che afferma coscienziosamente la tonalità fondamentale, e fa così sembrare in qualche modo inatteso il primo tema dell’Allegro, che nelle quattro battute d’apertura si riporta dolc
emente alla tonalità fondamentale, dopo che era partito da una certa distanza da essa.

Herbert von Karajan

Questo contrasto fra instabile cromatismo e sicura affermazione della tonalità ricompare a ogni ritorno del primo tema in tutto il pezzo.
Il movimento lento, in sol maggiore, ha un titolo insolito, Capriccio, e un’insolita struttura: la figura arpeggiata d’apertura (che forse riecheggia la linea del basso delle battute d’apertura della Sinfonia) ritorna più volte, e ogni volta funge da punto di partenza per l’esplorazione di una regione diversa; il piano formale è così libero, e la continuità così spesso interrotta, che quegli elementi di ripresa che vi si trovano sembrano quasi casuali.
Forse a titolo di compenso, il Menuet è un movimento eccezionalmente serrato, che segue un piano, chiaramente percettibile, di esposizione, sviluppo, ripresa e coda.
Il Trio, al contrario, è un Landler privo di complicazioni, di sapore più viennese che parigino. Questa singolare Sinfonia è conclusa da un movimento in forma- sonata pienamente sviluppato, con due temi distinti, che hanno in comune la figura in levare di cinque crome ripetute.

La Sinfonia n. 87 in la maggiore è descritta da Robbins Landon come “la Cenerentola delle Sinfonie Parigine”, perché è trascurata in confronto alle sue compagne, e ciò per nessuna ragione immediatamente evidente.
Il primo movimento gioca molto con due figure in forma di scala, una di tre note, che è associata col dramma, l’altra di sei (compresa una nota in levare) che è associata con la commedia e, nella sezione di sviluppo, persino con la farsa.
Il movimento lento, un Adagio in re maggiore, contiene la scrittura per legni più stravagante di queste sei Sinfonie, compresa una cadenza in miniatura per flauto ed oboi a metà del pezzo, e un’altra, più elaborata, che comprende anche i fagotti e i corni, oltre ai primi violini (ma brevemente) verso la fine.
Questo rilievo dato ai legni continua fino al Trio del Menuet, nel quale la melodia è affidata ovunque al primo oboe, senza il raddoppio, abituale in Haydn, da parte dei primi violini.
Il Finale è un movimento in forma-sonata monotematica, nel quale l’idea iniziale genera tante di quelle varianti e domina la sezione di sviluppo al punto che Haydn la sopprime nella ripresa fino al momento in cui ci si comincia a chiedere se l’abbia dimenticata del tutto.

Anthony Burton
(Traduzione: Silvia Gaddini)

Sinfonia n. 82 in do maggiore “L’Ours” (L’orso), Hob:I:82

A conclusione del programma è posta un’altra delle cosiddette Sinfonie ‘parigine’, la n. 82 (in do maggiore Hob., I n. 82) unica, tra quelle presentate nell’odierno concerto, ad avere un titolo aggiunto successivamente, come non di rado accadde durante tutto l’Ottocento a diversi lavori del compositore

austriaco. In questo caso L’Ours (L’orso), sembra alludere a una specifica caratteristica del movimento finale, ovvero l’insistere dei bassi su una medesima nota preceduta da una breve appoggiatura che sembra imitare il passo pesante di un orso, anche quando a presentare l’ostinata ripetizione sono i violini nel registro acuto. Ma di sicuro interesse è anche il primo movimento (Vivace assai), durante il quale diverse sono le situazioni di stridente contrasto che vanno a interrompere il tranquillo procedere della tonalità di do maggiore, dalle dissonanze alle repentine e pur transitorie modulazioni, segno della ricerca di una varietà che in questo lavoro raggiunge risultati particolarmente significativi. Al posto del consueto movimento lento troviamo infatti un Allegretto in tempo di due quarti che, pur nella diversità di carattere, rimanda facilmente all’analoga soluzione adottata da Beethoven nella sua Settima Sinfonia. Qui però Haydn alterna due sezioni, rispettivamente in modo maggiore e modo minore, che vengono ripetute, generando un effetto formale che punta alla forma del Rondò. Particolarmente elegante è il successivo Minuetto, corredato da un Trio in cui il compositore si diverte nelle imitazioni tematiche affidate ai vari strumenti a fiato. Arriva infine il movimento che, come abbiamo visto, ha portato all’appellativo dell’intera sinfonia, ma l’attenzione dell’ascoltatore oltre che dall’incedere del grande mammifero sarà attirata probabilmente dal generale clima festoso creato da tutta l’orchestra intorno a questa nota ostinata, clima che nella seconda parte conosce sviluppi dotati di una inaspettata forza drammatica, prima che tutto si concluda in modo estremamente solare su una serie di accordi che si dispiegano dopo una breve coda costruita sul rullare dei timpani.

Sinfonia n. 83 in sol minore “La Poule” (La gallina), Hob:I:83

Il 1779 è l’anno che doveva segnare per Franz Joseph Haydn l’apertura verso l’Europa. Dal 1761 il compositore era al servizio della famiglia degli Esterhàzy, nobili ungheresi amanti delle arti, ai quali sarebbe rimasto legato complessivamente per quasi un trentennio, fino alla morte del principe Nikolaus Esterhàzy nel 1790. Presso la mirabile residenza di Esterhàza il principe Nikolaus manteneva in attività una troupe operistica, un’orchestra e una compagnia di attori; Haydn dunque aveva modo di applicare il proprio ingegno a tutti i principali campi compositivi, dal teatro d’opera, alla sinfonia, alla musica da camera. La sua produzione, tuttavia, era rivolta esclusivamente al suo datore di lavoro, con proibizione di scrivere per altri e di vendere ad altri le sue composizioni. Il nuovo contratto firmato da Haydn nel 1779 pose fine a questo stato di cose, consentendo al compositore di stabilire relazioni con le più importanti case editrici e le più prestigiose istituzioni europee; a prescindere dai vantaggi economici, ne derivò per il compositore l’occasione di adeguare il suo stile ad altre realtà, e dunque di sperimentare una vasta serie di modelli

compositivi a cui tutt’ora i posteri guardano con ammirazione non solo per la qualità musicale ma anche per la varietà delle soluzioni formali ed espressive.
In questo contesto si inserisce la commissione, nell’inverno 1784-85, di un gruppo di sei Sinfonie da parte di una delle più rinomate orchestre parigine, quella del Concert de la Loge Olympique. Nato nel seno di una loggia massonica, il Concert de la Loge Olympique era impegnato in una serratissima rivalità per la supremazia cittadina con un’altra prestigiosa orchestra, quella del Concert Spirituel; in questa lotta senza esclusione di colpi si rivelò decisivo il ricorso al più celebrato compositore europeo. Haydn scrisse così le sei Sinfonie “Parigine” (nn. 82-87) eseguite con enorme successo nel 1787. Gli anni seguenti, fra il 1787 e il 1789, videro nascere un’altra fioritura di cinque Sinfonie in qualche modo legate alla Francia, e quindi considerate anch’esse “Parigine” – sia pure impropriamente. Le Sinfonie nn. 88 e 89 furono affidate da Haydn a Johann Tost, violinista attivo ad Esterhàza, con l’incarico di venderle ad un editore francese; le Sinfonie nn. 90-92 invece furono destinate probabilmente di nuovo alla Loge Olympique, poiché le ultime due sono dedicate ad un illustre esponente della loggia, il conte d’Ogny.
Al di là dell’occasione specifica che le vide nascere, le “Parigine” – tanto le sei originarie quanto le successive – sono segnate dalla loro destinazione per quanto riguarda il contenuto musicale, pensato su misura per le necessità della committenza, o indirettamente ispirato a quelle necessità. Non esistono in realtà tracce degli accordi intercorsi fra il compositore e la loggia parigina, ma è difficile non mettere in relazione i nuovi orientamenti del sinfonismo haydniano con le condizioni della prassi musicale francese, così diverse da quelle di Esterhàza. Presso la residenza principesca l’orchestra di corte contava una trentina di elementi; non si conosce con esattezza l’organico del Concert de la Loge Olympique, ma è probabile che questo non fosse inferiore ai 57 strumentisti del Concert Spirituel. Haydn dunque adeguò lo stile elegante e cameristico delle sue opere ungheresi allo stile orchestrale parigino, basato su un suono possente, su forti contrasti, sul virtuosismo degli esecutori.
A tali caratteristiche risponde anche la Sinfonia n. 83, che appartiene al gruppo originario delle “Parigine”. La strumentazione è piuttosto sobria, comprendendo flauto, coppie di oboi, fagotti, corni, ed archi, escludendo trombe e timpani; quattro sono i movimenti, un Allegro spiritoso in forma sonata, un Andante, un Menuet e un Finale in forma sonata con elementi di rondò. Colpisce nella partitura soprattutto la coerenza del contenuto, che stabilisce un netto parallelo fra i due movimenti estremi. E colpisce anche il gusto della dialettica fra contrasti espressivi, che si impone immediatamente nel tempo iniziale. L’apertura è drammatica, per grandi valori, con una sforzata perorazione degli archi. Ma un breve ponte conduce a un secondo tema dalla fisionomia incerta e poi ad un terzo tema del tutto contrastante, una frase “galante” ed ironica dei violini, sull’accompagnamento puntato del flauto; è appunto questo terzo tema che è all’origine della denominazione “La poule” voluta dall’editore all’atto della pubblicazione della Sinfonia. Entrambi i temi innervano la sezione dello sviluppo, prima alternati in forma paratattica e con diverse implicazioni espressive, poi protagonisti di una elaborazione contrappuntistica.
L’Andante è la pagina più ampia e complessa della Sinfonia, articolata in una compiuta forma sonata. Su di un accompagnamento insistito i violini intonano una melodia lirica ma non ben definita; e il discorso viene più volte interrotto da alcuni scoppi in fortissimo; Haydn evita insomma i modelli più consueti e più semplici della canzonetta e dell’adagio contemplativo, preferendo un movimento ispirato ed imprevedibile, in qualche modo “mozartiano” (sono gli anni in cui Mozart scrive la “Haffner” e la “Linz”). Il Menuet, alla francese, si basa sui ritmi spostati del fraseggio e su una raffinata definizione timbrica; contrasta il trio, ritmicamente semplicissimo e affidato principalmente al flauto. Con il Finale troviamo il gusto del contrasto del tempo iniziale convertito a fini giocosi; il tema di “caccia” dell’incipit dà luogo a una conduzione ricca di idee sempre nuove; soprattutto, nella sezione dello sviluppo, ecco le screziature drammatiche e gli intrecci contrappuntistici. Prima della conclusione, le sapienti “sospensioni” del discorso mostrano la calibratissima arguzia del compositore.

Sinfonia n. 84 in mi bemolle maggiore “In nomine Domini”, Hob:I:84

Negli anni immediatamente precedenti la Rivoluzione francese, ad Haydn pervennero da Parigi diverse commissioni. Le sei Sinfonie nn. 82-87 (1785-86), dette “parigine”, furono scritte su richiesta della società orchestrale “Le Concert de la Loge Olympique” con sede nella capitale francese. Le Sinfonie nn. 90-92 (1787-89) furono commissionate dal conte d’Ogny e dal principe Oettingen- Wallerstein, mentre le nn. 88 e 89 (1787) vennero composte per il violinista Johann Tost. La destinazione francese delle opere poneva il magistero haydniano di fronte a due ineludibili diritti-doveri.

Franz Joseph Haydn

Il primo era il fatto di avere a disposizione le orchestre locali, dotate di un organico più ampio di quello offerto dall’orchestra di corte degli Esterhàzy; il secondo era la possibilità di adottare un tono più solenne e ricco di chiaroscuri, più consono ai gusti degli ascoltatori francesi. Ma, al di là di questi particolari, le Sinfonie “parigine” sono uno dei frutti più rappresentativi della produzione
haydniana e, non a caso, sono state recentemente il veicolo di un accresciuto interesse per il compositore viennese.
Composta nel 1786, penultima delle “parigine” a esser messa su carta, la Sinfonia n. 84 ha in organico un flauto, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni e archi.
Nel primo movimento, come in altre Sinfonie “francesi”, l’opera si apre con un’introduzione lenta, che qui ha un carattere sereno e serioso. I due temi dell’Allegro successivo sono derivati da un’unica idea musicale. In tempo 6/8 e nella tonalità di Si bemolle maggiore il secondo movimento è un Andante in forma di tema con variazioni. Protagonisti principali del tessuto sonoro sono gli archi, che enfatizzano il tono drammatico quando la tonalità passa al minore. L’indugio su una cadenza evitata e l’attesa conclusione orchestrale segnala però una netta cesura. Nell’ultima variazione gli strumenti a fiato sono posti in risalto, sostenuti da un leggero accompagnamento in pizzicato degli archi, segue una breve ripresa del tema iniziale.
Vigorose anacrusi e l’attacco sul registro medio-grave degli archi connotano il tema del Menuet suddiviso in Allegretto-Trio-Allegretto. Haydn, al contrario delle altre Sinfonie “parigine”, rinuncia qui a raddoppiare l’estensione del Trio per poter arrivare più “speditamente” al quarto movimento, Finale; qui il tema principale è particolarmente brioso e caratterizzato da ritmi puntati e pause. Il rapido susseguirsi dei brillanti episodi centrali farebbe pensare a un finale festoso, mentre la ripresa, con cui termina la Sinfonia, ha un carattere disteso che allenta ogni tensione.

Sinfonia n. 85 in si bemolle maggiore “La Reine”, Hob:I:85

La Sinfonia n. 85, che appartiene al gruppo originario delle “Parigine”, ed è anzi, per l’adozione di stilemi e melodie “francesi” di cui si dirà, una delle più legate alla committenza; sembra che il nomignolo “La Reine” sia dovuto alla predilezione mostrata verso questa partitura dalla regina Maria Antonietta. La strumentazione è piuttosto sobria, comprendendo flauto, coppie di oboi, fagotti, corni, ed archi, escludendo trombe e timpani; quattro sono i movimenti, un Vivace in forma sonata preceduto da una introduzione lenta, un tema con variazioni, un Minuetto e un Finale in forma di rondò. Colpisce nella partitura soprattutto la coerenza del contenuto, basata sulla raffinatezza del materiale e sulla capacità di sfruttare al massimo un assunto di base piuttosto sobrio.
Il tempo iniziale si apre con una introduzione lenta, un Adagio che& presenta subito un tema ascendente all’unisono in ritmo puntato, il cosiddetto ritmo “alla francese” tipico dell’ouverture di Lully; e non a caso questa breve introduzione mantiene sempre una intonazione solenne e aulica. Succede ben presto il seguente Vivace che costituisce l’ossatura del primo tempo; il tema principale, sussurrato ed elegante, forma un netto contrasto con quanto precede, ma la scala

ascendente in “forte” che segue costituisce una trasformazione di quella dell’introduzione, e salda dunque in un tutto unico il movimento; significativo è poi il fatto che al posto del secondo tema Haydn preferisca riproporre il primo, sotto una nuova luce, esposto dall’oboe e accompagnato dagli archi (ci troviamo dunque di fronte a un esempio di forma sonata monotematica, modello piuttosto caro a Haydn). In sostanza il primo movimento non si basa sul contrasto tematico ma anzi sulle variazioni coloristiche e strumentali di poche idee; ritroviamo, nelle ombreggiature in minore di alcuni spunti e in tutte le peregrinazioni della sezione dello sviluppo, l’impronta del periodo Sturm und Drang attraversato da Haydn all’inizio degli anni Settanta.
Simile la logica che presiede ai tempi seguenti. In seconda posizione troviamo una Romance in Allegretto che è in realtà un tema con variazioni, basate sul motivo di una canzone popolare francese, “La gentile et jeune Lisette”; e anche qui rimane il principio del gusto coloristico. Infatti le cinque variazioni non si snodano secondo un principio di accrescimento ritmico, ma lasciano sempre ben riconoscibile il tema, e lo attorniano di altre idee o lo impreziosiscono con nuove vesti strumentali e (nella quarta variazione) con la suggestione del modo minore. Il Minuetto, cerimonioso e solenne, trova i suoi momenti più efficaci nella sezione del Trio, per la melodia accompagnata in pizzicato come il fatto di non avere una conclusione netta, ma “aperta” alla riesposizione del Minuetto. Il finale è l’unico vero e proprio Rondò del gruppo delle sei “Parigine”; il refrain, estremamente vivace e scattante, viene contrapposto a idee differenti in rapida successione, con un gusto del contrasto, del gioco strumentale e della dialettica – come la “sospensione” del discorso prima dell’ultima ripresa – che mostrano la maestria raggiunta da Haydn nell’elaborare in modo complesso e calibratissimo i temi più semplici.

Sinfonia n. 86 in re maggiore, Hob:I:86

L’apporto di Haydn alla storia della Sinfonia è sempre stato fuori discussione, ma a lungo lo si è travisato, riducendolo a un arido modello di perfezione e d’equilibrio, quasi che le sue Sinfonie ripetessero meccanicamente uno schema cristallizzato e immodificabile. Solo una conoscenza meno superficiale della sua vastissima produzione ha evidenziato che il classicismo haydniano non è affatto una norma rigida e ripetitiva ma uno stile che si attua in modo sempre diverso.
Poco dopo la metà del diciottesimo secolo, la Sinfonia era ancora incerta nella forma, gracile nelle dimensioni, limitata nelle ambizioni: infatti il numero, il tipo e l’ordine dei movimenti erano variabili, l’orchestra era esigua e anche la funzione era piuttosto modesta, paragonabile a quella d’un antipasto in un banchetto musicale il cui piatto forte sarebbe stato gustato solo nel proseguimento della serata (non era dunque molto diversa dalla “sinfonia avanti l’opera”, da cui aveva avuto origine). Alla fine del secolo la Sinfonia era invece concordemente considerata la più importante delle forme di musica strumentale: l’artefice di questa trasformazione era stato proprio Haydn, che in quasi quarant’anni d’incessante lavoro e di sperimentazioni anche audaci aveva sviluppato enormemente le possibilità di questa forma musicale, dandole un’organizzazione solida ed equilibrata e allo stesso tempo tanto duttile da potersi piegare alle esigenze dei più diversi compositori nel corso di quasi due secoli, passando attraverso molte trasformazioni ma non ripudiando mai completamente i fondamenti haydniani.
Per alcuni anni, a partire dal 1781, Haydn aveva avuto scarse occasioni di comporre Sinfonie, perché il principe Esterhàzy, dopo aver fatto costruire un nuovo teatro nel suo palazzo, rivolgeva il suo interesse principalmente all’opera e non chiedeva più Sinfonie al suo maestro di cappella. Giunse dunque al momento opportuno la commissione di sei nuove Sinfonie da parte di Claude- Francois-Marie Rigoley, conte d’Ogny, uno dei promotori dei concerti della Loge Olympique a Parigi: Haydn vi lavorò nel 1785 e nel 1786 e l’esecuzione avvenne nel corso della stagione del 1787. Con le sei Sinfonie “parigine” (dalla n. 82 alla n. 86) iniziò il periodo culminante della produzione sinfonica di Haydn, che si concluse nel 1795 con l’ultima delle “londinesi” (la n. 104): si tratta di ventitre capolavori, che, pur nella loro varietà, formano un insieme organico e rappresentano un vertice assoluto nella storia della Sinfonia.
La Sinfonia n. 86 in re maggiore, composta nel 1786, è non solo la più ampia delle “parigine” ma anche quella più ricca di soluzioni originali, che rivelano come Haydn si muovesse ormai nella forma sinfonica con una padronanza e con una libertà fino ad allora mai raggiunte da nessuno. L’Adagio introduttivo, complesso e solenne pur nella sua brevità, inizia nel registro acuto degli strumenti ad arco, ma presto diventa più corrusco, per rasserenarsi proprio all’ultima battuta, su cui s’innesta il garrulo primo tema dell’Allegro, che dapprima non dimostra una personalità molto rilevante, ma che, smembrato nei suoi elementi costitutivi fino a divenire irriconoscibile, si carica progressivamente di una forza irrefrenabile, culminante in un furioso passaggio fitto di note ribattute sottolineate dai timpani. In questa atmosfera battagliera, il secondo tema appare inizialmente un po’ spaurito e resta in secondo piano. Da questi due temi, piuttosto elementari ed anonimi, Haydn sa trarre uno sviluppo ampio e ricco, al cui termine un crescendo conduce alla ripresa della parte iniziale, resa più interessante da una serie di sottili variazioni.
Il secondo movimento, Largo, è definito Capriccio per indicare una forma libera e inusitata, vicina all’improvvisazione: si tratta di un’ampia pagina contemplativa ed estatica, quasi fiabesca, attraversata però da leggere ombre. L’elemento da cui si sviluppa questo movimento, uno dei più originali e profondi tra quelli in tempo lento di tutta la produzione di Haydn, è un ampio arpeggio ascendente, che si ascolta nella prima battuta e ritorna altre tre volte nel corso del movimento, dividendolo in quattro sezioni principali e indirizzandolo ogni volta verso nuovi sviluppi.
Il Menuetto mette definitivamente da parte il carattere di esile danza settecentesca per divenire un vigoroso e ampio movimento sinfonico, attraversato da venature drammatiche, cui si contrappone la serenità del Trio centrale con una deliziosa melodia campagnola intonata da fagotto e violini.
L’ultimo movimento, Allegro con spirito, rivaleggia col primo per importanza e dimensioni. Il primo tema è caratterizzato da una figura iniziale a note ripetute e staccate, che gli danno un tono leggero e umoristico; da questa stessa figura, con un procedimento che non poteva non apparire originale e sorprendente agli ascoltatori dell’epoca, Haydn fa scaturire anche il secondo tema. Entrambi i temi vengono ampiamente sviluppati seguendo i solidi principi architettonici della forma-sonata, con passaggi contrappuntistici e momenti energici e inquieti, ma la conclusione è traboccante di gioia e vitalità.

Sinfonia n. 87 in la maggiore, Hob:I:87

E’ questa la sesta delle undici Sinfonie composte da Haydn per i «Concerti spirituali» di Parigi. Questo gruppo di opere, – commissionate al Maestro nel 1780, quando egli, a quarantotto anni, era già famoso in Austria e in Germania – precede quindi la serie delle ultime grandi sinfonie composte per Londra. Se nelle sinfonie «londinesi» Haydn raggiunge la perfezione dello stile sinfonico, da lui stesso stabilito sulla base dello sviluppo tematico, schiudendo nello stesso tempo le vie all’avvenire beethoveniano, in queste «parigine» egli sembra piuttosto impegnato a consolidare ed accrescere le conquiste di quel suo stile, senza riguardi verso il futuro, quindi, ma come appagato nell’esercizio di un’arte che la sua straordinaria maestria gli rendeva estremamente agevole, in una sorta di superiore artigianato.

Herbert von Karajan

Onde nell’odierna Sinfonia si avverte quella gioiosa serenità che deriva all’artefice dalla facilità e felicità con cui riesce a liberare in forme d’una luminosa chiarezza, precise ed ubbidienti, il suo pensiero creativo.
Una serenità, tuttavia, che non si esaurisce in una mera gioia inventiva di euritmiche architetture toniche, ma che attinge al mondo sentimentale dell’artista: onde nel movimento lento si avverte la presenza di una affettuosa presenza umana, che nel primo tempo mosso si manifesta negli aspetti di una spiritosa cordialità e nel finale afferma una irresistibile gioia di vivere.
Da notare, nel Trio dell’avvincente Minuetto, l’amabile a solo dell’oboe, spinto fino al mi sopracuto.