Liszt Franz

Sonata in si minore – due Studi da concerto

Questa spartito è brillante sia dal punto di vista tecnico che musicale, emotivo e profondo allo stesso tempo. Liszt era un pianista diabolico, che ha scritto una musica che sembra richieda più di dieci dita per poter essere suonata. La Sonata in SI minore è un pezzo per pianoforte che solo il più virtuoso dei pianisti può affrontare. Dove si parla di Liszt, è giusto nominare Cladio Arrau. Con la sua tecnica talvolta spregiudicata mi ha convinto profondamente e ritengo questa incisione meritevole di essere annoverata tra le grandi registrazioni del secolo. Registrazioni effettuate dal 1969 al 1970 e rimasterizzazione eseguita nel 2001. Audio eccellente. Imperdibile!!

Sonata in si minore

Scritta a Weimar nel 1852-53, la Sonata in si minore fu dedicata da Liszt a Schumann, il quale a sua volta nel 1839 gli aveva dedicato la Fantasia op. 17. Nella composizione, non diversamente da quanto avviene nei concerti per pianoforte, il ripensamento del genere classico e dei suoi presupposti appare segnato da uno spirito di radicale sperimentazione. L’ambiziosa volontà di superare gli schemi precostituiti della tradizione si concretizza in una composizione che si presenta come un unico, grande arco musicale internamente articolato dove le prerogative di coesione e organicità si fondono con quelle di un’invenzione visionaria e affabulatoria. Gli aspetti più evidenti di questo ripensamento sono individuabili anzitutto nella definizione di una complessità formale pluridimensionale o polivalente, volutamente ambigua e sfuggente, e nel principio della trasformazione caratteriale dei temi, differente dalla logica dello sviluppo motivico, consistente nell’elaborazione di piccole cellule e correlata alle funzioni della macrostruttura, propria dello stile classico (logica pur presente anch’essa nella sonata). A questo proposito Liszt, che già aveva sperimentato una soluzione costruttiva polivalente nella Fantasia quasi Sonata «Après une lecture de Dante» (1837; versione definitiva 1849), trovava un precedente importante nella «Wandererfantasie» di Schubert, che non a caso trascrisse per pianoforte e orchestra nel 1851. E un ulteriore riferimento per una forma che conciliasse il movimento di sonata e il ciclo sonatistico era dato dal finale della Nona Sinfonia di Beethoven.

Dal punto di vista formale, la sonata si configura dunque come una struttura pluridimensionale o polivalente, che cioè può essere interpretata contemporaneamente secondo varie prospettive. In essa coesistono gli archetipi del movimento di sonata (Introduzione – Esposizione – Sviluppo – Ripresa – Coda), della sonata in quattro movimenti con un tempo lento e uno Scherzo e infine, dal punto di vista esclusivamente tematico, uno schema bipartito (Esposizione – Ricapitolazione a partire dallo «Scherzo» fugato). Per di più, sebbene priva di qualsiasi programma extramusicale, la sonata per la sua singolarità formale invita a essere letta in chiave narrativa o perlomeno evocativa e immaginifica: i temi che ne costituiscono l’ossatura sono trattati infatti come autentici personaggi (o diversi atteggiamenti di uno stesso personaggio) che nel corso della composizione, oltre a essere contrapposti e accostati, si trasformano, indipendentemente o anche l’uno nell’altro. Nello specifico, si è spesso voluto vedere nel mito di Faust il programma segreto sotteso alla sonata anche se, in mancanza di riscontri documentari, appare molto problematico interpretarne in tal senso ogni singolo episodio. Certo per via allusiva e simbolica la sonata narra una storia. Dietro e dentro la pura struttura musicale è individuabile la rappresentazione di una lotta, di conflitti, di metamorfosi di personalità comunque riconoscibili tra accenti di slancio eroico, furore demoniaco, cupa desolazione, esaltazione mistica venata di erotismo e raccoglimento religioso: in qualche modo la sonata è una metafora di un’esperienza esistenziale nutrita di forte tensione ideale. Forse la stessa dedica a Schumann, teorizzatore di una «musica poetica», può aiutare a comprendere lo spirito della composizione. D’altronde fu proprio degli autori della generazione romantica sottintendere un programma o un’«idea poetica» senza che fosse necessario esplicitarne i dettagli; anzi l’esibizione dichiarata del programma sarebbe stata esteticamente sconveniente e dannosa, in quanto avrebbe reso prosastico e didascalico ciò che doveva restare insinuante, suggerito e allusivo. Il fatto che Liszt abbia per contro scritto decine di vere composizioni, sinfoniche e pianistiche, a programma non rappresenterebbe comunque un ostacolo a questo eventuale accostamento od omaggio all’estetica di Schumann. Quando la sonata viene pubblicata nel 1854 Schumann è già ricoverato nell’ospedale di Endenich e né Brahms né Clara Wieck apprezzeranno la composizione che Liszt suona davanti a loro a Weimar. Elogi verranno invece, naturalmente, da Wagner; in ogni caso soltanto nel 1857 la sonata conosce la prima esecuzione pubblica, a Berlino, per merito di Hans von Bülow.

Claudio Arrau

Dei sei temi della sonata, i primi tre (temi 1-3) si identificano con il materiale motivico fondamentale da cui sono derivati gli altri tre (temi 4-6); il tema 1 ha funzione di cornice e inoltre interviene a segnare punti nodali nell’articolazione della forma. L’introduzione, in tempo Lento assai, genera un’atmosfera misteriosa e di attesa sinistra, al limite del silenzio. Il tema 1 si svolge in un contesto armonico imprecisato: sordi rintocchi di ottava incorniciano due scale minori discendenti, la prima frigia, la seconda zigana. Dopo una pausa, l’attacco dell’Allegro energico coincide con il primo gruppo di temi dell’esposizione e l’affermazione, sia pure interlocutoria, della tonalità d’impianto, si minore. Irrompono in scena il tema 2, ricco di slancio, eroico e faustiano, poi il tema 3 nel registro grave, minaccioso e mefistofelico, quasi ghignante. Subito dopo si scatena un conflitto tumultuoso e concitato tra i temi 2 e 3 sino a un virtuosistico passaggio in ottave; la ricomparsa del tema 1 funge quindi da transizione. Il secondo gruppo, in re maggiore, è aperto dal tema 4, definito Grandioso, che deriva dal tema 1 alcuni motivi melodici e ritmici: è una sorta di corale che esprime esaltazione religiosa e si estingue in modo interlocutorio su una sospensione con corona. Ha allora inizio il vero e proprio processo di trasformazione ed elaborazione dei temi. Dapprima è il tema 2 ad assumere carattere sognante, quindi la riapparizione di motivi del tema 3 suggerisce che anch’esso sta per essere trasformato. In effetti il tema 5 deriva direttamente dal tema 3, di cui rappresenta una variante lirica a mo’ di notturno. La duplice enunciazione del tema di conclude in una breve cadenza con lunghe note trillate e due reminiscenze della testa del tema 2. Segue un improvviso cambio di atmosfera: in quella che può essere considerata una prima sezione di Sviluppo vengono elaborati il tema 2 con connotazione eroica e quindi brillante, il tema 5 e quindi anche le scale discendenti del tema 1. Lo stacco accordale del tema 4 si alterna ora, drammaticamente, a brevi sezioni di Recitativo, liberamente desunte per moto retrogrado dal tema 3; conclude l’episodio una nuova elaborazione condotta combinando le teste dei temi 3 e 2, che termina con un effetto di progressiva dissolvenza sonora.

Un accordo tenuto assicura la continuità con l’Andante sostenuto che apre la parte mediana della sonata e ne costituisce al contempo il «movimento lento». I conflitti si placano, l’atmosfera si fa tersa: il tema 6, in fa diesis maggiore, è un’intima preghiera che parafrasa alcuni elementi melodici dei temi 4 e 5. In tempo Quasi Adagio segue una seconda sezione di Sviluppo; nella tonalità di fa diesis maggiore ritorna il tema 5, quindi ricompare il tema 4, ora drammaticamente combinato con elementi del tema 2. L’elaborazione delinea poi un’enfatica ripetizione del tema 6, che rappresenta il climax espressivo del movimento, e un’ulteriore apparizione della testa del tema 5. Un nuovo processo di progressiva dissolvenza sonora viene coronato dalla ricomparsa del tema 1, che segna la transizione al movimento successivo.

L’Allegro energico prende avvio con un fugato che funziona da falsa ripresa, terza sezione di sviluppo e contemporaneamente da «Scherzo». La tonalità è quella di si bemolle minore, un semitono sotto il si minore d’impianto in cui dovrebbe avere inizio la Ripresa. L’impressione di una falsa ripresa è data dalla ricomparsa dei temi 2 e 3 (cioè del primo gruppo tematico dell’Esposizione), che, contrapposti e combinati, generano appunto un fugato a tre parti, sardonico e sulfureo: in realtà l’episodio è una terza sezione di Sviluppo con carattere di
Scherzo. Una breve riconduzione introduce la vera ripresa nel tono d’impianto, si minore. Questa coincide con il conflitto tra i temi 2 e 3. Una riapparizione variata del tema 1 in tempo Più mosso porta quindi alla libera ricapitolazione della prima sezione di Sviluppo. Da questo punto in avanti sono riproposte e per così dire risolte nel tono di si maggiore le idee tematiche che in precedenza erano state enunciate in tonalità diversa da quella d’impianto. Tocca dapprima ai temi 4 e 5, cui segue una Stretta quasi Presto. La stretta implica una progressiva accelerazione agogica e il raggiungimento del trionfante climax virtuosistico con ottave e accordi pieni, ricorrendo nell’ordine a motivi dei temi 5,1 (Presto), 2 (Prestissimo) e 4. Una pausa separa il climax dalla ripresa del tema 6, in tempo Andante sostenuto, che termina con una sospensione destinata a non trovare immediata risoluzione armonica. La concatenazione con la coda avviene infatti per mezzo di una cadenza evitata che protrae il senso di tensione del discorso musicale. La coda delinea un effetto di progressiva dissolvenza. Inizia in tempo Allegro moderato: riappaiono le teste dei temi 3, a mo’ di pedale nel registro grave, e 2, a definire un clima di cupo e soffocato dolore. Quindi, a chiudere il cerchio formale ed espressivo della sonata, interviene il tema 1, Lento assai come nell’introduzione, nel registro più grave dello strumento. Dopo cinque, luminosi accordi nel registro medio-acuto che evocano una sorta di catarsi o trasfigurazione celestiale conclude un breve, isolato e lugubre si grave, una delle note più gravi della tastiera, quasi simbolo di morte. Nella versione originaria Liszt aveva concepito per la chiusa della sonata un epilogo trionfale che sarebbe risultato molto più banale. Il ripensamento comportò invece questo finale di straordinaria efficacia e intensità emotiva, per cui la sonata si conclude così com’era incominciata, in una zona d’ombra al limite del silenzio.

Due Studi da concerto

Il primo dei Due Studi da concerto S. 145, Mormorii della foresta (Vivace), è ambientato in un’atmosfera delicata dai colori impressionisti, che prefigura la scrittura pianistica di Ravel e ricorda il suo Ondine (da Gaspard de la nuit). Studio ottimo per esercitare un sottile uso del pedale di risonanza, produce immagini sonore fantasiose e naturalistiche. Delizioso l’effetto iniziale, un fruscio in sestine, al modo di stormir di fronde, generato dal moto concentrico di un arpeggio in moto perpetuo, mentre una melodia dolce con grazia scorre sottostante imitando suoni cristallini d’acque ruscellanti: un’affascinante rappresentazione paesaggistica del bosco incantato. Poi ritorna la melodia dolce (con qualche variante superficiale di fioritura), proiettata in risalto al canto su bicordi d’ottava e piccola mutazione nel finale, ove è iterato un segmento che dà la stura a un breve passo elaborativo che porta a mutare lo scenario tonale di riferimento.

Franz Liszt

Ecco allora una ripresa elaborativa in altra tonalità del fruscio iniziale insieme al tema dolce, però esposto non in continuità ma a segmenti, anche in imitazione, con il moto di sestine che si inframmezza, anziché solo sovrapporsi al canto; ne scaturisce una sorta di divertimento dai colori delicati, eppure molto cangianti. Prosegue e diviene trascinante, come un fiume in piena, la descrizione “fantastica”, di stampo nettamente più elaborativo e complesso, indirizzata a ripetute riprese-imitazioni di segmenti del tema e sestine, rafforzati dai toni accesi, da armonie più “cariche”, dall’uso di una tecnica di complicazioni effettistiche (martellato, accenti, salti, uso di destrezza e potenza). Ma Liszt non ha ancora compiuto del tutto la sua palpitante ricognizione nel mondo silvestre: ecco la ripresa del fruscio di sestine e del tema dolce, con una nuova permutazione finale in cui cambia la scrittura in un passo in cui il tema corre e si inerpica in ritmo sincopato al sovracuto, fissandosi poi in una sorta di fedele, garrulo pigolio risolto in tremolo febbrile, quasi l’onomatopea d’un battito d’ali, che coinvolge l’intero campo sonoro e poi si spegne in un largo ritenuto. Da ultimo, mirabile poesia sonora, nell’indicazione A tempo riemerge il ricordo del tema dolce, ornato dal delizioso cesello frusciante della mano destra, fissato in un’ultima immagine fuggitiva.

Ridda di gnomi (Presto scherzando), secondo degli Studi da concerto, è uno scherzo amabile che fa pensare a brani della medesima temperie come Sogno di una notte d’estate di Mendelssohn. Tema tecnico, fra gli altri: alternanza delle mani. Si sente un impalpabile, puntiforme gioco di lucenti note saltellanti in staccato e leggiero con acciaccatura; dopo l’introduzione, s’intravede la formazione di una traccia che pare disegnare l’immaginario appropinquarsi di folletti e gnomi. Giunge il tempo Un poco più animato: inizia la danza in cerchio della ridda di gnomi, in un moto bruciante dalle ampie volute
arpeggiate della destra, sostenute da vellutati ribattuti accordali della sinistra; un sollevamento del piano su calibrata progressione armonica restituisce l’idea di sciami di folletti in febbrile danza, mentre il frantumarsi dell’idea motivica in repentine scalette discendenti, il veloce sciogliersi del gruppo. Dopo la piccola introduzione d’esordio riprende il tema degli gnomi (a tempo come prima); il ritorno dell’Un poco più animato su tonalità «spostata» di un grado (da la maggiore a si bemolle maggiore) accresce l’agitazione della nuova festosa danza di folletti, che si conclude ancora con le velocissime figure scalari, più un motivetto di collegamento su passo di balzi leggiero. Inizia un passo elaborativo: una sequenza martellata di crome della sinistra derivata dai ribattuti accordali crea un senso d’attesa prima del ritorno, variato, del tema degli gnomi e della ridda di danza, ma qui ancor più agitati (molto crescendo e stringendo, poi Vivacissimo); il sollevamento del piano motivico è preso alla lettera e spinto alle conseguenze più eclatanti in una rincorsa sfrenata e prodigiosa (il più Presto possibile). Nello stretto si sente la variante della sequenza martellata, ma sempre più piano, con accenno fugace al tema, diradato e confinato ai registri esterni (grave, sovracuto): il progressivo, definitivo dileguarsi delle fantastiche figure.