Mahler Gustav

Sinfonia 3 in re minore

Ascoltavo il primo movimento della III di Mahler diretta da Solti nel 1982 e queste parole – tratte da un programma di sala – mi sono sembrate le più appropriate per descrivere le sensazioni suscitate dal travolgente ritmo delle marce imposte da Solti. Mahler forse non avrebbe apprezzato, lui che aveva più volte cambiato le “intestazioni” ai 6 movimenti della sinfonia fino a cancellarli definitivamente quando la diresse, per la prima volta, nel 1902 per la gioia di Richard Strauss, di sua moglie Alma e del pubblico presente. Ma queste parole, per quanto imprecise, ed insufficienti a contenere l’intero progetto creativo della musica di Mahler servono, o possono servire, ad avvicinarsi alla interpretazione di Solti che aveva già inciso la III di Mahler alla guida della LSO nel 1968 (DECCA ADD con Helen Watts) in una esecuzione che resta il suo capolavoro “direttoriale”. Se l’incisione del 1968 coglie il “carattere spirituale “ della musica di Mahler, qui Solti, alla guida della CSO, ne coglie il carattere sensuale. La musica di Mahler è una architettura “inclusiva”, ovvero tiene in sé il bello ed il brutto, il giorno e la notte, il canto del cucù e quello dell’usignolo, la dolcezza del coro dei bambini e lo stridore di un tamburo rullante e continua così fino al sesto movimento, un “largo” che insolitamente chiude la sinfonia in un “esplosivo stridore” che l’orchestra ed il direttore conducono coraggiosamente sino alle più estreme conseguenze. E’ per l’interpretazione del “largo” – ripreso da Mahler dal “Lento assai, cantante e tranquillo” del quartetto per archi opera 135 di Beethoven – che Solti si è “meritato” le critiche da parte dei più trasformando – secondo alcuni – un poema sinfonico in una “sarabanda di ottoni e piatti”, smorzando la “voce cantabile” insita nella partitura mahleriana. Per ragioni opposte, “gli audiofili impenitenti”, hanno sempre considerato e continuano a considerare questa esplosione di musica la terra vitale di tutti gli ascolti “audiofili” perdendosi, a volte, sulla “giusta distanza dall’orchestra” del suono della cornetta da postiglione che compare nel terzo movimento della sinfonia. Il suono in digitale nativo (DDD) è spesso duro anche su “impianti valvolari”, gli ottoni stridono ma sono realistici, gli archi li seguono a ruota in un gioco vizioso di sonorità mitigate dalla voce del contralto Helga Dernesch e dal coro femminile…….

Gustav Mahler scrisse:
«In quanto a me so che non posso far musica fintantoché la mia esperienza si può raccogliere a parole. La mia esigenza di esprimermi musicalmente – sinfonicamente – inizia solo quando dominano le “oscure” sensazioni, ed esse dominano sulle soglie che conducono all’altro mondo, il mondo in cui le cose non si scompongono più nel tempo e nello spazio. Come trovo volgare inventare musica su programmi prestabiliti, così considero insoddisfacente e sterile voler dare un programma a un’opera musicale. Non cambia niente il fatto che l’occasione per una creazione musicale sia un’esperienza del compositore, dunque qualche cosa di reale che avrebbe tali caratteri di concretezza da poter essere espresso a parole. Anch’io mi sono costruito un “sistema” e su di esso ho lavorato; ma dopo aver scritto alcune sinfonie, con autentiche doglie, e dopo essermi imbattuto sempre negli stessi malintesi e negli stessi problemi, finalmente per quel che mi riguarda ho raggiunto questa visione delle cose».

Registrazioni eseguite dal 1983 al 1985. Altamente raccomandato.

Sinfonia n. 3 in re minore

Ancor prima di completare la Seconda Sinfonia – il cui finale, su testo dell’ode di Klopstock venne concepito nel 1894 – Mahler cominciò ad immaginare un nuovo progetto sinfonico. La stesura della Prima Sinfonia lo aveva impegnato per un periodo di quattro anni (1884-1888), cui erano seguiti però altri sei anni di ripensamenti e correzioni; mentre la Seconda Sinfonia aveva avuto una gestazione anche più tormentata, nei sei anni compresi fra il 1888 e il 1894.

Helga Dernesch

La concezione del terzo dei suoi lavori sinfonici doveva tenere impegnato il compositore invece per un periodo assai più limitato: a parte qualche appunto dell’estate 1893, la piena realizzazione della stesura comprese solamente le due estati del 1895 e del 1896, trascorse in villeggiatura nella baita di Steinbach, sulle Alpi salisburghesi. Era questa infatti l’unica stagione in cui Mahler era libero di comporre, dati i suoi grandi impegni durante quegli anni: la direzione di uno dei teatri più illustri della Germania, quello di Amburgo, alla guida del quale Mahler consolidò la propria fama di direttore carismatico per le capacità tecniche ed espressive nonché innovativo per le scelte artistiche e di repertorio.

Dal serrato lavoro di quelle villeggiature doveva nascere una delle partiture sinfoniche più sterminate e complesse mai scritte, che supera l’ora e mezza di durata e che a una grande orchestra aggiunge un contralto solista, un coro femminile e un coro di voci bianche. E l’impegno richiesto per l’esecuzione della partitura ne ritardò certamente la presentazione al pubblico, che avvenne – dopo alcune proposte parziali – solamente il 9 giugno 1902, a Krefeld, sotto la direzione dell’autore.

Alla Terza Sinfonia Mahler lavorò dunque in modo consapevole e determinato, per quanto sofferto, come testimoniano le lettere di quel periodo alla cantante Anna von Mildenburg – a cui il compositore era sentimentalmente legato – nonché a vari amici. In questa corrispondenza si trovano anche le differenti intestazioni che l’autore aveva pensato di apporre all’intera partitura: Pan, La gaia scienza (da Nietzsche), La mia gaia scienza, La vita felice, Sogno di un mattino d’estate, Sogno di un mezzogiorno d’estate e Sogno di una notte di mezza estate (intestazione, quest’ultima, a proposito della quale l’autore precisò ironicamente: «Non da Shakespeare. Nota per i critici e i cultori di Shakespeare»). Altri titoli, anch’essi mutati più volte nel corso del tempo, vennero apposti ai singoli movimenti, che in origine dovevano essere sette:

1. Risveglio di Pan. Irrompe l’estate (corteo di Bacco)
2. Ciò che mi raccontano i fiori di campo
3. Ciò che mi raccontano gli animali del bosco
4. Ciò che mi racconta la notte (o l’uomo)
5. Ciò che mi raccontano le campane del mattino (o gli angeli)
6. Ciò che mi racconta l’amore
7. La vita celestiale.

In seguito l’ultimo movimento venne soppresso, per diventare poi lo spunto generatore della Quarta Sinfonia; vennero soppresse, anche tutte le intestazioni, sia nella pubblicazione a stampa, edita nel 1898, che nella locandina della prima esecuzione. Si pone dunque il problema del significato da attribuire a questi titoli; problema che va esteso, prima ancora, a tutti i titoli delle sinfonie di Mahler.

Jean-Paul Richter

Non senza motivo nello stesso periodo di gestazione della Terza Sinfonia, Mahler soppresse analoghe didascalie esplicative tanto dalla Prima quanto dalla Seconda Sinfonia; in una lettera a Max Marschalk del 26 marzo 1896 ebbe modo di chiarire come fosse per lui «una insulsaggine inventare della musica a partire da un programma dato». Avversione, dunque, verso la musica a programma della tradizione romantica, e, nel contempo, pari distacco da una concezione della sinfonia come musica “pura”, autoreferenziata. Punto di mediazione fra questi due estremi – che avevano animato il dibattito culturale di tutta la seconda metà del secolo – era quello di attribuire al genere della sinfonia un percorso interiore, psicologico, che si dipanasse progressivamente da un movimento all’altro, e che si traducesse in termini puramente musicali. Il programma, in questa prospettiva, deve essere inteso come una traccia, una suggestione, per rendere più chiaro agli interlocutori e al pubblico un contenuto musicale estremamente complesso. I titoli, di conseguenza, vanno respinti – come li respinse l’autore – nel loro troppo puntuale didascalismo; eppure possono essere utili per comprendere quale fosse il percorso interiore che l’autore aveva in mente nel concepire la sinfonia.

Se la Prima Sinfonia indagava i rapporti fra individuo e natura, e la Seconda Sinfonia procedeva dalle esequie verso la resurrezione, la Terza Sinfonia pone nuovamente al proprio centro l’idea della natura e il suo confronto con l’uomo, ma in una prospettiva assai differente da quella della Prima Sinfonia. Nonostante il nome di Nietzsche venga evocato sia dal titolo provvisorio di La gaia scienza apposto all’intera partitura, sia dalla scelta di una pagina da Also sprach Zarathustra come testo poetico del quarto movimento, l’idea di superuomo che, in qualche modo, si affermava nella Prima Sinfonia (Il titano è il titolo, mutuato da Jean-Paul Richter, che Mahler appose alla Prima per qualche tempo), è del tutto assente dalla Terza Sinfonia, che non punta su affermazioni trionfalistiche, ma su visioni apocalittiche e misteriche, dubbi, angosce, che trovano la loro risoluzione in un misticismo pannaturalistico.

Illuminanti, a questo proposito, le parole dell’autore, scritte ad Anna von Mildenburg il 1 luglio 1896, poche settimane prima di completare la partitura: «Si comincia con la natura inanimata e si ascende fino all’amore di Dio. […] All’incirca potrei definire l’ultimo tempo così: “ciò che Dio mi racconta”. E precisamente proprio in quel senso che Dio infine può essere inteso solo come amore». Una visione mistica che deve però essere considerata come frutto di una religiosità personale, non istituzionalizzata.
Ancora più interessanti le parole inviate alla medesima cantante pochi giorni prima: «La mia sinfonia sarà qualcosa di inaudito! Tutta la natura vi trova una voce e narra un mistero così profondo quale forse nel sogno si può presagire. Ti dico che io stesso talvolta mi sento molto a disagio di fronte ad alcuni passi e mi sembra di non averli fatti io: quando riesco a compiere ciò che mi propongo».

Troviamo qui sia la consapevolezza dell’abnormità e dell’audacia del lavoro, sia il suggerimento che il percorso interiore che guida la partitura vada ricercato in stadi dell’inconscio che possono essere portati alla luce solo attraverso un sistema di segni che trasmetta simboli e non significati, come la musica. Non a caso, se la parola è inadeguata a palesare i contenuti del percorso della sinfonia, ecco che in qualche modo simbolici sono i due testi prescelti per essere intonati nel quarto e nel quinto movimento.
Le parole di Zarathustra procedono per ellissi, per affermazioni apodittiche ed enigmatiche (anche qui la notte e il sogno vedono meglio del giorno), che si chiariscono solo in relazione a quanto precede e quanto segue; il testo del coro angelico proviene, invece, da Des Knaben Wunderhorn (Il corno magico del fanciullo), l’antologia di canti popolari raccolti e rielaborati da Achim von Arnim e Clemens Brentano, pubblicata nel 1805-1808, da cui Mahler trasse la maggior parte dei propri testi liederistici; e qui il canto popolare vale perché la sua ingenuità attinge a verità più profonde.
L’ambizione di questo progetto sinfonico riesce a conseguire i propri obiettivi “inauditi”, anche perché Mahler sceglie di tradurre la tensione ideale in termini musicali, essi sì davvero inauditi. Con la Terza Sinfonia l’orchestra di Mahler raggiunge dimensioni ipertrofiche (quattro flauti con due ottavini, quattro oboi con corni inglese, cinque clarinetti, quattro fagotti, otto corni, quattro trombe, quattro tromboni, basso tuba, due arpe, percussioni e archi); la stessa forma sinfonica arriva al numero, esorbitante rispetto ai consueti parametri, di sei movimenti, che devono essere divisi in due parti; una prima parte che si riferisce al solo, lunghissimo primo movimento (oltre mezz’ora), e una seconda parte che abbraccia gli altri cinque.

E sono poi le scelte musicali alla base di ogni singolo movimento a mostrare come il compositore si avvalga della vecchia forma per creare qualcosa che da una parte non ha precedenti, dall’altra si impone per la sua capacità di definizione. La forma sinfonica, invece di nutrirsi della coerenza e della coesione di tutti i materiali, viene animata da una logica del tutto dissimile, che si avvale di materiali eterogenei e li allinea non secondo ferrea consequenzialità, ma piuttosto secondo sbalzi logici. Così, il tempo iniziale (Vigoroso. Risoluto) può essere considerato come una gigantesca marcia; tuttavia gli equilibri interni della forma sonata (introduzione, esposizione, sviluppo, ripresa) vengono alterati e deformati.

Max Marschalk

Non a caso questo movimento è stato oggetto di analisi distinte e contrastanti, relativamente alla scansione interna delle varie sezioni. Dunque, più che scendere nel dettaglio delle varie ipotesi su dove finisca l’introduzione e cominci l’esposizione e via dicendo, sarà utile osservare che proprio questa difficoltà di analisi è dovuta al fatto che le varie idee tematiche si succedono e si accavallano secondo una giustapposizione che risponde alla logica dell’accumulo, e che sfrutta continui procedimenti di dissolvenza. Secondo le parole di Adorno «lo schema della sonata è veramente solo un sottile involucro steso sul decorso formale interiore che è assai libero».

Il movimento parte così con un tema degli otto corni all’unisono, debitore tanto al finale della Prima Sinfonia di Brahms che a un canto goliardico inserito dallo stesso Brahms nella Ouverture Accademica; un riferimento alla classicità della forma, che assume però una connotazione tragica e quasi grottesca. Si succedono quindi una marcia funebre attraversata da lacerti tematici che non arrivano a una precisa definizione (richiami dei legni, lacerazioni della tromba, scale ascendenti dei bassi), poi una seconda serie di temi, con la ingenua melodia dell’oboe, ripresa successivamente dal violino, e altri frammenti tematici che si spengono nel nulla. Una riesposizione abbreviata dei temi principali conduce a un nuovo episodio (secondo alcuni all’esposizione vera e propria) di capitale importanza: un lungo recitativo del trombone solo, che rielabora idee già sentite con progressiva intensità; “come da molto lontano”, gli archi danno vita a un serrato ritmo di marcia, che incalza e aggrega i vari gruppi strumentali in una densità parossistica.
Tutta questa grande sezione (introduzione-esposizione) presenta il materiale di base del movimento, che non ha però successione consequenziale, ma piuttosto appare avvicendamento quasi casuale di materiali eterogenei. La sezione dello sviluppo, dal canto suo, potenzia ancora questa casualità, riproponendo le medesime idee come continue varianti, accentuando tuttavia la loro disgregazione. Quando si giunge alla sezione della ripresa, questa acquista un significato di ricapitolazione mnemonica e di riepilogo; i materiali vi appaiono come riavvicinati fra loro, in una convergenza che ha un movimento di spirale, e non di cerchio.

Dunque qual è il motivo ultimo di questo enorme movimento? E soprattutto, che connessione ha con l’idea di natura? Risponde Adorno: «L’idea letteraria del grande Pan ha conquistato il senso formale, in quanto la forma stessa diventa terribile e mostruosa, come oggettivazione del caos: questo è l’unico vero significato del concetto di natura di cui si ama abusare soprattutto parlando di questo tempo di sinfonia».

Rispetto al primo monumentale movimento, quasi dimessi appaiono i cinque seguenti, presi singolarmente. In particolare il secondo, Tempo di Menuetto, ha una scrittura quasi cameristica e si basa su una melodia di canzone popolare; non dunque un minuetto in senso settecentesco ma un bozzetto di stile, dove un artigianato di raffinatissimo manierismo si riconosce soprattutto nella mirabile definizione timbrica, crepuscolare e nostalgica; la prima idea musicale si ripresenta ogni volta variata, e trova atmosfere più increspate negli episodi secondari, che non contraddicono peraltro l’assunto di base.

Gustav Mahler

Anche se Mahler non definì Scherzo il terzo movimento, esso ne ha tuttavia le sembianze e ne svolge le funzioni. Come per lo Scherzo della Seconda Sinfonia, anche in questo caso l’autore scelse di offrire una versione sinfonica di uno dei tanti Lieder giovanili tratti da Des Knaben Wunderhorn, nello specifico «Ablösung in Sommer» («Cambio della guardia in estate»), scritto nel 1888-90. In questo Lied si narra di come, alla morte del cuculo, gli animali del bosco eleggano come suo successore l’animale meno indicato, l’usignolo. Il contenuto cinico e crudele del testo poetico – tipico di tutta l’antologia di Arnim e Brentano – viene realizzato da Mahler con una intonazione di stridente e ironica gaiezza, nella quale i vari legni si impegnano nell’imitazione di versi di animali; a ciò si contrappone una nuova sezione degli archi (originale, non derivata dal Lied) più fitta ed animata.

L’intero movimento (che assume la forma ABACAB- CA) vede a un certo punto, e per due volte, l’interruzione di questo Lied tragicamente umoristico per lasciar spazio a un episodio del tutto nuovo e diverso, che corrisponde alla sezione del Trio: dall’esterno, come da lontano, giunge il suono di una cornetta da postiglione che intona una melodia popolare, su un sommesso accompagnamento. L’astrazione e la trascendenza che questo richiamo acquisisce viene ancor più sottolineata nella seconda apparizione, anche perché il materiale dello Scherzo vero e proprio subisce, parallelamente, ispessimenti ed inasprimenti che – come avveniva per il primo tempo – trasformano in spirale la circolarità della forma.

Si giunge così al primo dei due movimenti cantati, il cosiddetto Mitternacht- Lied (“Canto della mezzanotte”) dal penultimo capitolo di Also sprach Zarathustra di Friedrich Nietzsche. Al di là degli interessi nietzschiani di Mahler, è verosimile che questo testo sia stato scelto per motivi che riguardano esclusivamente la sinfonia, e non il pensiero del filosofo; i versi scultorei e arcani cantano infatti la transizione dal dolore alla gioia, invocando l’uomo. È questa dunque la chiave di passaggio e di volta della sinfonia, dalla sofferenza umana verso la consolazione trascendente, e la veste musicale scelta dal compositore è infallibile; su una definizione timbrica statica e rarefatta si inserisce la voce oracolare del contralto, il cui fraseggio scultoreo, insieme al continuo slittamento minore/maggiore, creano una sorta di ipnosi. Solo verso la fine della pagina (Lust, Gioia) il canto si anima in vera melodia, parallelamente all’infittirsi delle voci orchestrali, che si spengono poi nel nulla.

Con una nuova transizione espressiva, la gioia profetizzata dal testo di Nietzsche arriva nel quinto movimento, una sorta di “canto degli angeli”, in cui il testo popolare tratto da Des Knaben Wunderhorn narra come l’apostolo Pietro durante l’ultima cena pianga i suoi peccati e venga invitato da Gesù a pregare e ad amare Dio, così da conseguire la gioia celeste. La contrapposizione dolore/gioia viene riproposta in una nuova accezione, questa volta sbilanciata verso la seconda parola; Mahler trova qui infatti la veste ingenua del canto infantile, e non a caso sfrutta il coro di voci bianche per intonare gli onomatopeici rintocchi di paradisiache campane.

Gustav Mahler e Anna von Mildenburg

La marcia tetra del primo movimento si trasforma in una marcia festosa del coro femminile, interrotto a tratti dal contralto per rievocare il dolore.
La ballata popolare è quasi una sorta di bagno purificatore prima di accedere all’ultima e più alta regione della sinfonia, l’Adagio conclusivo. Già la scelta di chiudere una sinfonia con un tempo lento era quasi inedita – unico precedente di rilievo, il finale della Sinfonia Patetica di Caikovskij. In questo caso il tema principale del movimento è derivato chiaramente dal Lento assai del Quartetto op. 135 di Beethoven. Il richiamo alle depurate atmosfere espressive dell’ultimo Beethoven è di per sé esplicito, come anche l’allusione a un modello di composizione che fa un uso libero e avveniristico della forma. Tuttavia la fitta polifonia degli archi che apre il movimento è anche una trasformazione, in veste trasparente e sublimata, del vibrante tema iniziale della partitura, effigie del caos in natura, che segna dunque, attraverso il materiale musicale, una sorta di trasfigurazione e di ritorno ciclico.

Nella sua forma piuttosto complessa – una sorta di rondò, che ripropone però i vari temi in ordine libero e con apparizioni di volta in volta variate – questo finale approda a una conclusione basata sull’apoteosi del primo tema; non c’è, tuttavia, il trionfalismo non esente da un sospetto di retorica delle prime due sinfonie, bensì l’ascesi mistica, che costituisce una filiazione del Parsifal e di certe sinfonie di Bruckner. Le tensioni e gli aneliti di tutta la partitura vengono sublimati in questo Adagio; i sotterranei richiami tematici non solo saldano la partitura sotto il profilo costruttivo, ma ricordano come l’atto di amore che è la conclusione dell’opera si nutre e si sostenta di un fattore sempre presente e vivo nella poetica di Mahler: l’esperienza e la permanente consapevolezza del dolore.