Mahler Gustav

Sinfonia n. 7 in mi minore

Ciò che mi piace di questa registrazione è l’attenzione al ritmo e all’emozione. Il ritmo di apertura è ben eseguito e gli assolo di corno che seguono sono eccellenti. La Chicago Symphony Orchestra è al top della forma in questa esecuzione e l’aspetto più sorprendente di questo disco è il bilanciamento dei vari strumenti orchestrali. L’accentuazione e l’attenzione alla dinamica sono superbe. Gli assoli di mandolino sono chiari e godibili e l’arpa è lucente . Il terzo movimento è uno dei migliori mai registrati.

Il movimento conclusivo è un risultato di proporzioni spettacolari. Gioioso, eccitante e spiritualmente edificante, Registrato nel Krannert Center acusticamente perfetto nel campus della University of Illinois dalla DECCA ci è stata nuovamente offerta un’eccezionale performance di Sir Georg Solti sul podio della CSO che resterà nel tempo. Registrazione eseguita nel 1971 e rimasterizzazione effettuata nel 1985. Altamente raccomandato.

Sinfonia n. 7 in mi minore

La “Settima” è tra le più difficili e complesse delle nove sinfonie di Mahler, a detta dello stesso compositore, che vi lavorò «in un accesso di furore» – come disse la moglie Alma – durante l’estate del 1905 e in un clima di quasi assoluto isolamento. Veramente già l’anno precedente Mahler aveva abbozzato la struttura della Sinfonia, specie per quanto riguardava le due Nachtmusiken, ma non aveva composto lo Scherzo e il Finale, due tempi sottoposti a correzioni e modifiche sino a pochi giorni dalla prima esecuzione assoluta della “Settima”, avvenuta a Praga il 19 settembre 1908 sotto la direzione dello stesso autore. La Sinfonia ebbe un mediocre successo di pubblico, ma suscitò notevole interesse nell’ambiente musicale; in particolare Schönberg e Berg espressero giudizi favorevoli sulla poderosa composizione (la sua durata si aggira su un’ora e trenta minuti) in riferimento soprattutto a certe invenzioni armoniche e a certi impasti orchestrali di straordinario valore espressivo. Infatti, ciò che colpisce subito all’ascolto di questa Sinfonia è la varietà della strumentazione e la ricerca di timbri diversi e particolari nel vasto caleidoscopio orchestrale. Nel primo movimento colpisce l’amalgama fra archi nel registro grave e legni, dove ad una sonorità in pianissimo si accompagnano ritmi cupi, evocanti un clima di marcia funebre. Su questo sfondo si innalza il suono del corno tenore, dal fraseggio morbido e vellutato e secondo quel procedimento di straniamento o di richiamo della memoria, che è tipico della creatività mahleriana. Non mancano impasti e combinazioni strumentali di particolare effetto (ad esempio, l’uso dei fiati nel registro acuto con gli archi in quello grave oppure i clarinetti all’unisono con le viole divise) e l’inserimento di strumenti poco utilizzati in orchestra, come il mandolino e la chitarra, impiegati per creare un’atmosfera di serenata notturna. Insomma, l’orchestra della “Settima” di Mahler è ricca di idee, di proposte anche nuove e di colori opportunamente studiati per sottolineare situazioni psicologiche e descrittive, tenendo conto di quel “programma interiore” al quale Mahler mirava con la sua musica, lontana d’altra parte da qualsiasi precisa intenzione illustrativa.

La Settima Sinfonia è articolata in cinque movimenti, in cui sono racchiuse, nel secondo e nel quarto tempo, due Nachtmusiken di chiara intonazione romantica e una sezione centrale, uno Scherzo, con l’indicazione come sottotitolo di “Schattenhaft” (indistinto oppure come un’ombra).

Il primo movimento si apre con un Adagio, in cui si avvertono in modo contrastante le sonorità degli archi e dei legni da una parte e la melodia del corno tenore. C’è una continua oscillazione tra il modo maggiore e quello minore, con sbalzi repentini di tonalità e cambiamenti di armonie che lasciano presagire i successivi approdi del linguaggio musicale verso l’atonalismo schoenberghiano.

Alma Mahler

Su questa mutazione non solo formale, ma psicologica, è costruito l’Allegro risoluto, ma non troppo, dove il tema principale si presenta con un gioco alterno tra ritmi incalzanti e schiarite riposanti. Anche il secondo tema attacca con “grande slancio”, ma successivamente ha un andamento molto controllato, in un altalenante rapporto tra accenti ritmici vivaci e sonorità fin troppo spezzate. Naturalmente non si tratta di sviluppo di variazioni nel senso brahmsiano del termine, quanto di un procedimento musicale allo stato puro e aperto ad ogni interpretazione espressiva. È una visione quanto mai ambivalente della realtà sonora e lontana da qualsiasi precisa classificazione estetica in senso tradizionale, pur non dimenticando suadenti abbandoni melodici e la poesia timbrica di una musica dagli antichi sapori armonici.

Al contrario, un richiamo naturalistico è presente nella Nachtmusik I del secondo movimento, in cui si possono cogliere non solo le idee e l’atmosfera dei canti dal “Corno magico del fanciullo”, della “Prima” della “Seconda” e della “Terza” Sinfonia, ma il clima agreste della “Pastorale” di Beethoven e della Scène aux champs della “Fantastica” di Berlioz. Sembra che Mahler nel comporre questo primo notturno si sia ispirato alla “Ronda di notte” di Rembrandt dai colori spettrali, frammista alla visione di un paesaggio di montagna con voli di uccelli e interventi di campanacci (Herdenglocken), suonati – come consiglia il musicista – sempre con discrezione e a intermittenza, imitando realisticamente lo scampanare di una mandria al pascolo. La sezione principale del movimento è nella tonalità di do minore, ma con sfumature verso il tono maggiore. Vi si alternano due trii: uno brillante con triangolo e glockenspiel che introducono un ritmo di marcia insistente e uno triste in fa minore con il suono penetrante dell’oboe e con i trilli del clarinetto. Insomma, in questo movimento Mahler raggruppa e fonde tra di loro gli elementi più diversi, dai Lieder ai tempi di marcia, dalle suggestioni impressionistiche alle “voci” concrete della natura.

Il terzo movimento è uno Scherzo tradizionale, con il trio e la ripresa in forma libera della sezione principale. È un muoversi di figure spettrali e irreali tra ritmi di danza irregolare e uscite di sapore parodistico della tuba, del controfagotto e dell’oboe. Il Trio in re minore è un canto popolare armonizzato per gli oboi e interrotto da un “a solo” del violino.

La seconda Nachtmusik, che costituisce il quarto movimento, è scritta per chitarra, mandolino, arpa e orchestra da camera ed è un pezzo di straordinaria delicatezza musicale. Al corno è affidato il tema principale e la scrittura ha una luminosa trasparenza melodica e vi predomina una cantabilità affettuosa e amabile, come del resto viene sottolineato da quell’Andante amoroso segnato dal musicista all’inizio del movimento. La Nachtmusik II è una pagina ricca di emozioni e suggestioni romantiche e tra le più tipiche dell’inventiva liederistica mahleriana.

Il Rondò-Finale è una esplosione di gioia di vivere espressa con sonorità vigorose e massicce, tra squilli di fanfare, colpi di timpani e scampanii fragorosi. Mahler cerca di esaltare l’orchestra in tutte le sue componenti e non si vergogna di apparire rumoroso e a volte banale, ricorrendo a reminiscenze del repertorio musicale del passato, fino ad una citazione del preludio dei Maestri cantori di Wagner.

Rembrandt “Ronda di notte”

È l’espressione di un sinfonismo tripudiante e festoso di travolgente effetto sonoro, anche se ha sempre suscitato riserve e perplessità presso gli stessi critici e musicologi ben disposti e comprensivi nei confronti dello stile creativo mahleriano. Ma l’artista boemo è un musicista sincero e schietto, tanto è vero che nel suo tormentato mondo sinfonico si riflettono le luci e le ombre di una società in cui si andavano esaurendo gli ultimi bagliori della grande esperienza del pensiero romantico.

Das Knaben Wunderhorn

Il primo incontro di Gustav Mahler con l’antologia «Des Knaben Wunderhorn» di Achim von Arnim e Clemens Brentano, che, pubblicata in Germania agli inizi dell’Ottocento aveva contribuito al risveglio nazionalista dopo il Trattato di Lunéville (1802), si verificò al tempo in cui era secondo direttore dello Stadttheater di Lipsia, precisamente quando frequentava la casa di Karl e Marion von Weber ed attendeva all’orchestrazione dei frammenti dell’opera Die drei Pintos. Complessivamente Mahler mise in musica circa due dozzine di canti dal «Des Knaben Wunderhorn» tra il 1888 e il 1901 e si possono distinguere due diversi gruppi di composizioni: i nove per canto e pianoforte, cioè Um schlimme Kinder artig zu machen. Ich ging mit Lust dürch einen grünen Wdld, Aus Ausi, Starke Einbildungskraft, Zu Strassburg auf der Schanz, Ablosung im Sommer, Scheiden und Meiden, Nicht Wie-dersehen e Selbstgefühl; i dieci per canto e orchestra, suddivisi in due album di cinque ciascuno, cioè Der Schildwache Nachtlied, Verlor’ne Muh, Trost im Unglück, Wer hat dies Liedlein erdacht?, Das irdische Leben, Des Antonius von Padua Fischpredigt, Rheinlegendchen, Lied des Verfolgten im Turm, Wo die schonen Trompeten blasen, Lob des hohen Verstandes; cui sarebbero da aggiungere anche la prima stesura di Urlicht, assorbita nel Finale della II Sinfonia, Es sungen drei Engel, confluito nella III Sinfonia, e magari anche Revelge e Der Tamboursg’sell che sono stati poi riuniti nel ciclo dei Sieben letzte Lieder, assieme ai Fünf Lieder nach Rückert.

I primi quattro lavori dei Wunderhorn-Lieder per canto e orchestra furono composti e strumentati in breve tempo, nel gennaio-febbraio del 1892, assieme alla musica che costituirà il Finale della IV Sinfonia, e portavano il titolo Humoresken, caduto in seguito (1893) perché ritenuto troppo estetizzante: la loro articolazione orchestrale è davvero sinfonica nella concezione, ed il loro clima espressivo va in misura notevole smarrito nella riduzione pianistica. Non costituiscono un ciclo a sé stante, determinata essendo la raccolta unicamente dalla successione cronologica di scrittura. Stilisticamente si collocano nell’alveo della tradizione romantica delle ballate di Schubert e Loewe, pur evidenziandosi già in essi, come appresso verrà rilevato, caratteri autonomi ed originali, sintomatici della poetica di Mahler. In linea generale si nota altresì che fa parte della prassi concertistica moderna, nonché discografica, distinguere l’interpretazione dei Lieder a duo tra una voce maschile e una voce femminile ma l’autografo non autorizza affatto tale abitudine che pure conferisce una maggiore vivacità: anzi lo stesso Mahler ebbe a scrivere nel 1903 al direttore Nicodé che tutti i suoi Lieder di questo ciclo erano assegnati ad un registro maschile, pur se si annoverarono saltuarie esecuzioni di Clementine Prosska già nel 1893 e di Selma Kunz nel 1900. Ancora, in una lettera del 2 marzo 1905 a Karpath, Mahler descrisse i Wunderhorn Lieder come «nettamente distinti nello spirito dai poemi o da qualsiasi caratterizzazione letteraria, traendo linfa direttamente dalle sorgenti dell’arte, la natura e la vita ». Contrariamente alle Sinfonie, di cui è quasi ultimata l’edizione critica a cura della «Mahler Gesellschaft» di Vienna, per i Lieder la ricognizione unitaria delle fonti non è stata ancora avviata e si annoverano varie stesure nel tempo.

Il SCHILDWACHE NACHTLIED è l’unico della serie ad esser stato abbozzato parecchio prima di vedere la luce con varie modifiche al testo e la composizione, iniziata nel 1888, fu portata a termine il 28 gennaio 1892 ed eseguita nel 1893 dal baritono Paul Bulss. In tempo di marcia, in 4/4 e poi in 6/4, nella tonalità del si bemolle, ha la struttura del rondò secondo lo schema A- B-A-B-A-B, esige una marcata presenza delle percussioni e presenta netti è ascendenti intervalli di quarta. La melodia è assai affine ad un antico canto della Westfalia.

In VERLOR’NE MÜH’, ultimato il 1° febbraio 1892, nella tonalità di la maggiore, il tempo è di 3/8 ed ha un carattere di Ländler moderato. Fu eseguito la prima volta dal contralto Amalie Joachim nel 1892. Rispetto al poema, contenuto già in una precedente edizione di Arnim (1790), Mahler conservò solo la prima e la terza strofa, dando al canto l’aspetto di un «Tanz-Lied» strofico.

Il manoscritto di TROST IM UNGLÜCK porta la data del 22 febbraio 1892 con l’indicazione della tonalità nel la maggiore, del tempo in 6/8 e poi 2/4, con la continua alternanza ritmica ora binaria ora ternaria anche simultanea tra la voce e l’accompagnamento. Conosciuto la prima volta nel 1893 col baritono Paul Bulss, questo Lied segue una struttura prossima al rondò, secondo lo schema però di A-A-B-A, con relazione ritmica tra la prima strofa e la seconda, che pur è in 2/4 e in sol maggiore, per fondersi nella strofa conclusiva. Evidente è l’ascendenza con un noto motivo del folclore della Slesia, «Husarenliebe».

La tonalità di WER HAT DIES LIEDLEIN ERDACHT? è il fa maggiore e il Lied porta la data del 6 febbraio 1892: la prima interprete fu il soprano di coloratura Clementine Prosska nel 1893. Il ritmo è da Ländler, nel tempo di 3/8 e la forma è quella del «Tanz-Lied» strofico. La seconda strofa, variata ed interpolata nel testo, inizia in re minore, instaurando un efficace contrasto dialettico con le battute iniziali e conclusive del brano, secondo un procedimento tecnico di scrittura vocale che sembra anticipare quello esperito dall’autore nel Finale della IV Sinfonia.

Clemens Brentano

La composizione di DAS IRDISCHE LEBEN risale all’estate 1893, la tonalità iniziale è del si bemolle minore, nel modo lidio, e la prima esecuzione ebbe luogo nel 1900 con Selma Kunz: è un canto strofico in 2/4, animato, in un sinistro crescendo drammatico, che viene sottolineato dalla continua permutazione di tonalità, al mi bemolle minore, si bemolle minore, do bemolle minore, fa bemolle minore sino al definitivo ed angosciato sol bemolle. Negli scarni mezzi espressivi impiegati, si impone la monotona e ribadita fissità dell’ostinato d’accompagnamento, d’arcaica origine, con presumibile riscontro in antiche cantilene popolari.

DES ANTONIUS VON PADUA FISCHPREDIGT porta nell’autografo la data di composizione del luglio-agosto 1893 e fu cantato la prima volta dal baritono Anton Moser nel 1905; la tonalità è il do minore con una sezione in fa maggiore, ha l’aspetto del «Ländler» in tempo moderato, 3/8, mentre la struttura è quella del rondò strofico secondo lo schema A-A-B-A, trattato però liberamente, con la sezione B che funge da Trio. Si esalta in questo Lied il magistero contrappuntistico di Mahler allorché, invece, nell’atmosfera fondamentale convengono le reminiscenze del melos moravo della sua infanzia, magari proposto anche dalle zampogne contadine.

In RHEINLEGENDCHEN è l’istanza musicale del compositore a precedere la suggestione del testo – secondo la confessione dell’autore a Natalie Bauer- Lechner. Fu ultimato il 9 agosto 1893, la tonalità è del la maggiore, il tempo è in 3/8 e fu conosciuto nell’autunno dello stesso anno con il baritono Paul Bulss. Il testo è rimasto invariato e la melodia denuncia scoperti richiami al folclore delle popolazioni delle montagne tra Baviera e Tirolo. Ha l’aspetto del «Tanz- Lied», secondo la tradizione austriaca assimilata da Mahler: nella tecnica di scrittura e nel clima espressivo si riallaccia inequivocabilmente al Finale della IV Sinfonia, con l’intensificazione intellettualistica del motivo popolare «Das Märchen von Ringlein» anche nell’ambito armonico che dal fa diesis bruscamente ritorna al mi maggiore. Già in Schubert era comparso del resto un procedimento abbastanza analogo, nel Trio della Sonata in sol maggiore D. 894.

La data di composizione del LIED DES VERFOLGTEN e del WO DIE SCHÖNEN TROMPETEN BLASEN è sconosciuta ma si presume vada ricondotta all’estate del 1895, dopo il completamento della II Sinfonia. Il primo Lied, nella tonalità del re minore, è un motivo appassionato e fervido in tempo di 12/8 che trapassa in 6/8 all’intervento della fanciulla. Fu conosciuto pure nel 1895 con il baritono Anton Moser. Il testo è invariato rispetto alla silloge originaria e la melodia sembra sia riconducibile ad un’ascendenza svizzero- tedesca: la struttura è di nuovo nella forma del rondò, secondo lo schema A-B- A-B-A-B-A, come tutti i canti dialogici, e la tonalità varia di strofa in strofa, passando dal re minore, al sol maggiore, al sol minore, al la bemolle maggiore, al do maggiore, al fa maggiore, per tornare al re minore. La ritmica segue la scansione marcata dello «yodel» e della marcia militare, ma contemporaneamente si pone in risalto il magistero contrappuntistico, assai scaltrito, dell’autore.

Invece fu il soprano Selma Kunz a presentare nel 1900 Wo DIE SCHÖNEN TROMPETEN BLASEN, il cui testo fonde assieme due distinti poemi, «Unbeschreibliche Freude» e «Bildchen», oltre a presentare versi scritti appositamente da Mahler: la tonalità è in re minore. La struttura è quella del rondò dialogico, tra il 2/4 in minore del soldato con accompagnamento di strumenti a fiato e il 3/4 in maggiore della ragazza. sullo sfondo degli archi.

Achim von Arnim

Lo schema infine è all’incirca A-B-A-(C)-A-B-A ma i vari episodi non conservano la tonalità d’origine, che trascorre dal re minore al re maggiore e poi di nuovo al minore, al sol bemolle, al si minore e poi ancora al re, maggiore e minore. Il clima «notturno» e spettrale del Lied è confermato dai lontani rintocchi delle percussioni e da una ritmica variata e assai originale. Secondo il Pamer, vi si trovano reminiscenze sia di «Funiculì Funiculà» di Denza, sia di un canto tedesco, «Die Freundenlose».

LOB DES HOHEN VERSTANDES fu composto nel giugno del 1896, mentre Mahler attendeva alla stesura dei primi abbozzi introduttivi della III Sinfonia, e strumentato immediatamente: secondo dichiarazioni dell’autore, l’intento era di prendersi garbatamente beffa dei critici e, nonostante ciò, il testo dal «Des Knaben Wunderhorn» risulta sostanzialmente invariato. La tonalità è del re maggiore, il ritmo binario di danza ricorda la «bourrée» in 2/4 ed anche un canto a cinque voci del XVI secolo a Norimberga. La struttura è a strofe semplici, con lo schema A-A-A-B-A: la terza sezione attacca in minore con accompagnamento sardonico di corni, fagotto e tromboni, ma viene troncata bruscamente alla fine della prima frase, per esser ripresa dall’orchestra con la voce che compare dopo alcune battute in unisono agli archi; ogni interludio strumentale provvede a sommuovere l’equilibrio della strofa corrispondente ma all’ultima si torna alla riproposta della prima ed il passaggio strumentale assume la funzione di Coda. Un arcaismo di base sottende anche a questo Lied, come attestato dal canto per terze dell’interprete che corrisponde al cuculo. Sempre secondo il Pamer, anche in questo lavoro è ribadito il solido background culturale di Mahler dalle somiglianze, troppo precise per essere casuali, con un frammento di un canto popolare di Tubinga, «Es wohnte eine Müllerin», immanente anche al «Quodlibet» delle bachiane Goldbergvariationen, nonché con un passaggio dell’ultimo movimento della schubertiana Sonata in re maggiore D. 850.

Pur essendo normalmente classificati tra i SIEBEN LETZTE LIEDER dopo la morte di Gustav Mahler, furono ispirati a poemi dell’antologia «Des Knaben Wunderhorn» anche REVELGE e DER TAMBOURGESELL, la cui composizione rispettivamente porta la data del giugno-luglio 1899 (con prima esecuzione a Vienna il 29 gennaio 1905) e dell’estate 1901 (con prima esecuzione a Vienna nella medesima serata del 29 gennaio 1905). Sia in REVELGE sia in DER TAMBOURGESELL i cambiamenti al testo originario sono minimi e per lo più dettati da ragioni onomatopeiche ma, anche nell’aspetto psicologico, risultano assai interessanti, specie il primo che ripropone la stessa tematica di un Lied giovanile Zu Straussburg auf der Schanz, mentre l’elemento melodico popolare in entrambi questi ultimi Wunderhorn Lieder appare, rispetto agli anni giovanili ed ai precedenti lavori della serie, maggiormente mediato dalla complessa personalità dell’autore che ha trovato ormai modo di esprimersi con più intense prospettive nelle grandi forme sinfoniche.

Su un piano più generale, sembra opportuno soffermarsi brevemente su alcuni rapporti esistenti tra Mahler e il «Lied» e sulla collocazione dei Wunderhorn Lieder nell’ambito della produzione del musicista moravo.

Natalie Bauer Lechner

Come liederista, Mahler indubbiamente discende dalla tradizione romantica tedesca di Schubert-Schumann-Loewe ecc., che aveva trovato nell’epos del weberiano Freischütz il suo più preciso momento focale d’avvio, rispetto al quale Malher venne ad identificare praticamente la sua poetica nella conclusione dell’itinerario di tale genere musicale, il cui estremo revival si ebbe forse con gli straussiani Vier letzte Lieder.

Proprio negli anni in cui il musicista moravo attendeva alla composizione dei suoi primi Lieder, vedeva la luce l’ultima silloge dei Deutsche Volkslieder di Brahms: ma, in rapporto al mondo circostante, la concezione individuale ed artistica dei due musicisti è radicalmente differente. In tali composizioni dell’Amburghese, il rifiuto solipsistico del mondo, che contraddistingue la maggior parte della sua liederistica, non solleva ambiguità o mostra indecisioni di carattere, quanto invece concede un franco attestato alla vitalità popolare, alla grandezza e all’importanza di tutto ciò che è oggettivo. In Mahler invece si coglie sempre la sua diversità di fondo, l’origine morava ai margini dell’ impero absburgico e l’origine ebraica, ma specie si avverte come nel tempo in cui egli vive risulti totalmente in crisi il mondo contadino che aveva dato vita al Lied.
Uno studioso americano, alquanto ignorato dalla musicologia ufficiale, Abraham Skulsky, ha notato che nell’unione Mahler-Wunderhorn venivano a realizzarsi le tre fondamentali componenti del temperamento del musicista, cioè il senso del dramma, il senso del popolare e il senso del religioso. Con maggiore pregnanza è stato però Ugo Duse a rilevare che «è soprattutto nei Wunderhornlieder che Mahler realizzò la sintesi tra una evoluzione, nella direzione segnata da Schubert, e una forma espressiva di tipo lisztiano… armonicamente Mahler fu rigorosamente diatonico ma del diatonicismo proprio del canto popolare, rimanendo fondamentalmente un bruckneriano. E specialmente nei Wunderhornlieder si coglie tutta l’immensa ricchezza della conoscenza di Mahler della ritmica, delle danze e delle marce del XVIII secolo e anche di quelli precedenti ». Intelligentemente ancora Duse confuta il pregiudizio della banalità della musica mahleriana, anche a proposito di certi momenti di questi Wunderhornlieder: «così parlano coloro che non hanno compreso la sua arte… quella che è detta in Mahler banalità, altro non è se non la cosciente ricerca del substrato empirico del concetto attraverso la massima purezza concettuale, la ricerca del fenomeno più per immagini che per esplicazioni, la sostituzione delle parole con l’ideogramma, l’unica via per arrivare a comunicare agli altri, con il meno alterato dei mezzi, cioè quello della poesia e della musica popolare appunto, il proprio credo nuovo». E Duse ancora ha notato che Mahler «andò al Lied perché nel Lied poté esprimere la propria concezione del mondo con maggior sicurezza e più compiutamente… e riportò il Lied al di là del Romanticismo, ricollocandolo nel suo tempo attraverso il proprio, perché il proprio tempo fu da lui sentito, vissuto come il tempo dei suoi Lieder.

Gustav Mahler

Sappiamo bene che è una risposta insufficiente, tuttavia per ora è la sola possibile. Perché Mahler non fu solo un grande sinfonista che scrisse molti Lieder, perché fu l’ultimo grande liederista che scrisse alcune sinfonie. E si tratta di una vita sola, di una sola poetica, di una sola visione del mondo. Probabilmente della fine di una stessa stagione».
Resta da osservare ancora che l’organico strumentale dei Wunderhornlieder richiede ottavino, flauti, oboe, clarinetti in si bemolle, in la e in mi bemolle, corno inglese, fagotti, corni in fa, trombe in si bemolle e in fa, tromboni, tuba, timpani, triangolo, tamburo militare, piatti, grancassa, archi e, nel primo Lied del II album, anche una frusta. Può risultare utile anche una considerazione riassuntiva sulle forme predilette, in ossequio all’esigenza, sempre congeniale in Manler, di far soggiacere le forme ai contenuti. Per alcuni Lieder si è trattato di impiegare la forma variata del Lied strofico, non solo nel contrappunto delle voci o nella melodia ma più frequentemente nel trascorrere dal maggiore al minore o attraverso tonalità diverse, in genere tendendo all’acuto. Se non spesso, fu adottata la forma strofica tripartita e comunque secondo un libero trattamento, mentre sintomatico appare l’impiego del «rondò», con la presenza di intermezzi e contrasti melodici che sembrano ricondurre ai tempi interni della sinfonia.

In conformità agli studi del Pamer (cfr. Gustav Mahler Lieder in “Studien zur Musikwissenschaft” voll. XVI eXVII dei «Beihefte der Denkmäler der Tonkunst in Oesterreich») si è constatato come essenzialmente fosse il principio della sistematica variazione del tema non come una semplice tecnica della libera trasformazione strofica quanto piuttosto un particolare caso di applicazione del «durchkomponiert» in condizioni di esasperata espressività inerenti al carattere del testo, cioè all’antologia di Arnim e Brentano, le cui fonti di ispirazione risalgono per la maggior parte all’età della guerra dei Trent’anni che lasciò tracce profonde, e dolorose, per tutta la Boemia e Moravia. Ed infine va sottolineata la costante di un atteggiamento arcaico assai spesso presente nella scrittura mahleriana, la predilezione per gli intervalli di quarta che, particolarmente quando inseriti in una triade di sesta maggiore, sono infatti tipici dell’antica musica fiamminga, nonché il continuo cimentarsi con la polifonia e con un tipo di strumentazione che imitava i vecchi bassi d’organo di ascendenza bruckneriana.