Mendelssohn Felix

Paulus

Ottima registrazione di un oratorio poco conosciuto ma molto bello. È una performance meravigliosa che mette in risalto la bellezza e la potenza di questa composizione profondamente luterana, che guarda a Bach e Haydn e precede Brahms e Bruckner. Cast sellare con Teo Adam (Paulus) superlativo. Eccezionale la conduzione di Kurt Masur sul podio della Gewandhausorchestra di Lipsia. Un plauso al Rundfunkchor Leipzig e al Gewandhaus-Kinderchor per la loro magnifica interpretazione. Registrazione equilibrata tra solisti, coro e orchestra eseguita nel 1987. Audio in DDD spettacolare. Un 5 stelle meritatissimo. Buon ascolto a tutte e tutti voi.

Paulus: Oratorio per soli, coro e orchestra op. 36

La prima idea di scrivere un oratorio nacque durante il primo viaggio compiuto da Mendelssohn in Italia, paese da cui il compositore trasse impressioni destinate a lasciare una impronta indelebile nella sua personalità di uomo e di artista. Soprattutto l’incontro con la grande polifonia italiana ascoltata in S. Pietro dal coro della Cappella Sistina, nonostante alcune riserve sullo stile dei cantori papali, al pari del fascino subito al cospetto della Disputa e della Scuola di Atene di Raffaello, sono all’origine della composizione del Paulus, la cui intenzione venne annunciata al padre Abraham sin dal 1832; tuttavia sin dal 1830, sotto l’influsso della tradizione polifonica italiana, il compositore si era cimentato in una serie di pezzi di carattere sacro, tra cui i Tre pezzi sacri op. 23, un corale luterano per otto voci a cappella, un Ave Maria, il salmo Non nobis, Domine e il corale tedesco O Haupt voll Blut und Wunden per coro e orchestra, lavori che sotto vari aspetti costituiscono un fondamentale approccio ai problemi di policoralità che lo avrebbero poi impegnato nella composizione del Paulus.
Tra l’altro ancora nel 1830, appena un anno dopo che il giovane musicista rivelasse al pubblico berlinese la Passione secondo S. Matteo di Johann Sebastian Bach, con cui aveva inizio il culto bachiano del musicista amburghese, Mendelssohn compose una tra le sue opere religiose più spontanee e ispirate, i tre Mottetti per voci femminili e organo Für die Stimmen der Nonnen auf S.ta Trinità de’ Monti op. 39.

La genesi

Iniziata la composizione del Paulus nel 1832, Mendelssohn affidò la stesura del libretto all’amico teologo Julius Schubring invitandolo a trarre il testo dalle Sacre Scritture, come testimonia una lettera del 6 settembre 1833 in cui il compositore offre una prova eloquente della cura dedicata alla preparazione del testo, che egli considerava fondamentale per la stesura della parte musicale:

«Caro Schubring!
Mentre stavo riordinando i fogli del mio oratorio e pensavo alla musica che voglio scrivere quest’inverno, mi giunse a proposito la lettera in cui mi desti il tuo aiuto, e mi parve tutto così giusto che copiai tutto il testo per esteso, come ora è, e te lo mando con la preghiera, appunto come feci in principio, di onorarmi ora per l’intero testo delle tue osservazioni e delle tue aggiunte. Troverai già in margine molte osservazioni sopra ciò che mi manca ancora e per le quali vorrei avere dei punti della Bibbia o anche del Libro dei Cantici. Ma poi desidererei principalmente la tua opinione: 1) Sulla forma di tutto il lavoro, specialmente sulla parte narrativa; se in generale tu credi che le cose possano restare come sono, essendovi frammischiata a vicenda la rappresentazione drammatica e la narrativa. Io qui non posso adottare la forma di Bach coi racconti personificati, e questa mescolanza mi pare quindi la cosa più naturale, assai più difficile in alcuni punti a causa della narrazione così estesamente concatenata; 2) Se tu pensi che sia omesso o falsato alcun tratto caratteristico della storia e delle cose di fatto, come pure nel carattere e negli insegnamenti di Paolo; 3) Dove faresti tu le distribuzioni delle parti (la prima e la seconda); 4) Se ti pare che possa introdurvi anche il corale. Io da diversi ne fui dissuaso assolutamente, però non so decidermi a rinunziarvi del tutto, perché penso che in ogni oratorio tratto dal Nuovo Testamento il corale debba esservi per sua natura. Se tu sei della mia opinione dovresti segnarmene tutti i posti e tutti i canti. Vedi che domando molto, ma io vorrei approfondirmi in tutti questi studi preliminari prima di comporre la musica».

Gundula Jonowitz

In realtà il compito dello Schubring fu quello di consulente, poiché la vera stesura del testo fu opera dello stesso Mendelssohn che vi impegnò più tempo della composizione della musica; costantemente rivolto allo studio di testi di carattere storico-teologico, il compositore si avvalse della consulenza di vari studiosi e fu molto influenzato dalla Geschichte des Urchristentums (Storia del primo Cristianesimo) di Gförer. Abbozzato già nella primavera del 1832, il lavoro fu portato a termine nel 1835 negli intervalli tra i numerosi impegni che lo vedranno diviso tra l’attività direttoriale e organizzativa e quella creativa,
pressoché instancabile; in questi anni porterà a termine la Sinfonia “Italiana”, la Sonata op. 28, l’ouverture La bella Melusina e vari Lieder ohne Worte. Nominato direttore del Gewandhaus di Lipsia, si stabilirà definitivamente in questa città, che vedrà in lui la personalità musicale più autorevole della Germania, e potrà dedicarsi completamente al suo oratorio dopo la morte improvvisa del padre che, se lo getterà in uno stato di grande prostrazione, lo spingerà a dedicarsi alla composizione con maggiore impegno. Così scriverà infatti all’amico Schubring:
«Avrai appreso, caro Schubring, quale sventura crudele ha spezzato la mia vita felice […]. Non so se tu hai conosciuto la bontà senza limiti di mio padre nei miei riguardi; in questi ultimi anni egli era divenuto per me un amico e io tenevo a lui con tutta l’anima. Mi voglio immergere nel mio lavoro del Paulus: l’ultima lettera di mio padre mi spingeva a farlo. La mia unica consolazione è di dire a me stesso che, una volta terminato il lavoro, esso avrebbe avuto la sua approvazione».
Come ha osservato Remy Jacobs nel suo profilo del compositore, per il lavoro che l’aspettava già nei primi mesi del 1834 Mendelssohn aveva ricevuto la benedizione paterna: il suo Paulus doveva rappresentare il riscontro cristiano delle opere giudaiche del nonno Moses e allo stesso tempo la conferma della scelta della religione luterana da parte della famiglia Mendelssohn.
Il 1834, sotto il profilo musicale, era stato per Mendelssohn particolarmente significativo; deluso dal teatro d’opera rappresentato a Parigi da Rossini, Meyerbeer e Auber, si era rivolto alla riscoperta di Händel, e dopo aver diretto il Messia a Elberfeld e aver assistito all’esecuzione di Deborah, diresse il Te Deum di Dettingen e il Judas Macabaeus. Era naturale pertanto che sotto l’influsso di questa musica e avendo per Bach un’ammirazione senza limiti dovesse trovare nel Paulus la risposta alle sue esigenze creative. Estraneo al teatro musicale, Mendelssohn trovò nell’oratorio la possibilità di proseguire sulla via tracciata da Haydn e da Beethoven, facendo appello tuttavia non alle lusinghe del linguaggio romantico, bensì rivolgendosi alla riscoperta dei grandi affreschi händeliani e bachiani quanto dei maestri della polifonia italiana, rivissuti in una dimensione rinnovata la quale, pur assecondando i gusti d’un pubblico conservatore non dimentico della grande tradizione musicale germanica, non poteva correre il rischio di cadere in una sorta di rivisitazione archeologica caratterizzata da stilemi manieristici non più accettabili nell’Europa musicale del primo Ottocento.
La prima esecuzione del lavoro ebbe luogo a Düsseldorf il 22 maggio 1836 durante il festival del Basso Reno, direttore lo stesso Mendelssohn, e riscosse un successo entusiastico.

Theo Adam

Tuttavia il compositore, mai soddisfatto, riprese in mano il lavoro e vi apportò varie modifiche prima di darlo alle stampe. In seguito, tradotto il libretto in inglese da Karl Klingemann, il Paulus fu eseguito il 3 ottobre 1837 a Liverpool ove riportò un successo travolgente destinato a durare nel tempo ancor più che nell’area tedesca e in altri centri musicali europei ove, a poco a poco, il lavoro cadde in un oblio protrattosi per oltre un secolo.
Concepito inizialmente in tre parti, poi ridotte a due, il libretto attinto da Schubring alle Sacre Scritture, in particolare agli Atti degli Apostoli, segue fedelmente il testo sacro, come testimoniato da una lettera a Schubring del luglio 1834: «Caro Schubring […] le tue indicazioni sul Paulus erano splendide; le ho messe tutte in atto senza eccezione; è singolare ed è bene che, nel comporre tutti i passi dove prima per l’uno o per l’altro motivo volevo introdurre dei cambiamenti, a poco a poco li rimetta tali e quali li trovo nella Bibbia: e questo è pur sempre meglio».

L’argomento

L’argomento ha inizio con il martirio di S. Stefano lapidato da ebrei fanatici tra i quali si trova anche Saulo di Tarso, deciso a perseguitare i cristiani di Siria. Mentre Saulo si reca a Damasco viene accecato da una luce improvvisa, mentre una voce dal cielo lo invita a proclamare la gloria di Dio e a diffondere il messaggio di Cristo. Condotto a Damasco, Saulo riacquista la vista per intervento di Anania e, convertito, assume il nome di Paolo e si dedica alla divulgazione del cristianesimo perseguitato.
Nella seconda parte Paolo, insieme con Barnaba, intraprende la sua missione di convertitore presso i pagani, ma gli Ebrei si ribellano all’apostolo e meditano di ucciderlo. La miracolosa guarigione di uno storpio induce i pagani a credere che si tratti di un prodigio compiuto da Giove e da Mercurio, ma Paolo li disillude esortandoli a convertirsi alla vera fede. L’ira scatenatasi nei pagani non riesce ad abbattersi su Paolo che, ormai deciso ad allargare la sua sfera d’azione, abbandona Efeso per fare ritorno a Gerusalemme ove va incontro al martirio, forte della fede che illuminerà della sua luce tutti coloro che crederanno. L’oratorio si conclude con un inno di benedizione.
Il testo, che sottolinea l’elemento razionale della vicenda trascurando quello mistico, destò non poche perplessità nei contemporanei per una certa discontinuità nell’azione che, serrata nella prima parte, si dilata eccessivamente nella seconda, dando luogo ad una successione di episodi spesso simili tra loro senza che vengano opportunamente sfruttate ottime occasioni drammatiche: soprattutto per quanto riguarda la figura di Paolo, non caratterizzato psicologicamente sotto il profilo mistico e irrazionale.

La musica

Dal punto di vista musicale la partitura del Paulus rivela tutta la giovanile esuberanza del compositore.

Kurt Masur

Egli, spinto infatti dalla devozione del passato, primo se non unico dei romantici, riesce a sviluppare uno stile ricco di richiami händeliani, bachiani e di Palestrina, in cui ogni elemento utilizzato viene tuttavia rivissuto in una dimensione non statica, ma caratterizzata dalla capacità di ricreare in pieno Romanticismo forme e stilemi che sembravano ormai perduti nella notte dei tempi. La naturale tendenza al perfezionismo traspare dalla raffinatezza con cui sono trattati l’orchestra e il coro, con una preferenza per il decorativismo descrittivo – si pensi alla naturale predisposizione del musicista per il pittoresco quale appare nelle splendide pagine dell’ouverture Le Ebridi, della Walpurgisnacht o del Sommernachtstraum – che tuttavia, anziché cadere nel manierismo, dà vigore e nuova veste ai richiami del passato.
Non a caso l’Ouverture intona il corale «Wachet auf ruft uns die Stimme» che diviene il tema programmatico di tutto il lavoro, cui fa seguito un fugato e una doppia fuga conclusiva. La partitura, nei quarantacinque numeri di cui si compone, comprende recitativi, arie, corali e cori polifonici; numerosi sono i riferimenti allo stile bachiano, in particolare il n. 4 («Die Menge der Gläubigen war ein Herz») e il n. 5 («Dieser Mensch hört nicht auf») sino al discorso di Stefano (n. 6), ove la tensione drammatica, realizzata mediante una progressiva accelerazione del tempo, raggiunge il suo culmine.
Tra i migliori episodi lirici è da ricordare la bellissima aria del soprano «Jerusalem» (n. 7), in cui la fluidità del fraseggio e la felicità dell’invenzione melodica ricordano assai da vicino inflessioni tipiche del bel canto italiano. Momenti di grande tensione che rimandano allo stile händeliano ritroviamo nel coro «Steiniget ihn!» (n. 8), mentre tipicamente mendelssohniano per il trattamento delle voci è il bellissimo coro «Siehe! wir preisen selig» (n. 11), in cui il carattere elegiaco del pezzo è sottolineato da un arabescato disegno degli archi.
Saul viene introdotto da un’aria rigorosamente simmetrica, «Vertilge sie» (n. 12) che contrasta con la bellissima scena della conversione «Und als er auf dem Wege war» (n. 14), ove la forza di rappresentazione drammatica raggiunge uno dei suoi apici, come nel coro «Mache die auf! Werde Licht!» (n. 15), in cui l’orchestra e il coro, affidato a quattro voci femminili, sono immersi in un’atmosfera sublime non più raggiungibile. Dopo la fuga «Denn siehe, Finsternis bedeckte das Erdreich» ritorna, elaborato, il corale «Wachet auf» che poi cede il posto all’aria di Paolo «Gott sei mir gnädig nach deiner Güte!» (n. 18), in cui Mendelssohn tocca un altro dei vertici dell’oratorio.
Meno efficace nella seconda parte per l’affievolirsi della tensione drammatica, la vena lirica del compositore non ha perduto nulla della sua freschezza e della sua fantasia melodica. Momenti di grande efficacia espressiva sono raggiunti soprattutto nelle sezioni corali, spesso arricchite da interventi fugati; il coro in particolare emerge nel bellissimo e giustamente famoso «Wie lieblich sind die Boten» (n. 26), una pastorale di rara efficacia anche per la bella scrittura polifonica dall’andamento cullante e armonioso.

Orchestra del Gewandhaus di Lipsia

Ad un corale interpretato dai soli, «Jesu Christe, Wahres Licht» (n. 29), con cui il compositore esprime felicemente la preghiera della comunità cristiana e che rappresenta uno dei momenti più alti dell’oratorio sotto il profilo della scrittura a più voci, fanno seguito due cori di tutt’altro tenore: «Die Götter sind den Menschen gleich geworden» (n. 33) e «Seid uns gnädig, hohe Götter» (n. 35), che esprimono sentimenti di gioia del popolo pagano fino ad assumere una intonazione quasi comica. Recitativi, arie e cori si susseguono con felice intuizione sino alla cavatina del tenore «Sei getreu bis den Tod» (n. 40), sostenuto da un accompagnamento di violoncello che si eleva al di sopra degli archi su un disegno dialogante dei corni, del clarino e del fagotto. La dotta esperienza contrappuntistica del compositore, resa con ammirevole semplicità, caratterizza i cori conclusivi, «Schone doch Deiner selbst» (n. 42) e «Sehe, welch ein Liebe» (n. 43) e ancor più il coro finale «Lobe den Herrn» (n. 45), ove una fuga grandiosa pone fine in modo solenne all’oratorio, confermando le intenzioni del musicista che con esso ha rivolto un inno alla grandezza del Signore.

I giudizi dei contemporanei

L’oratorio, salutato ovunque da un grande successo, offrì ai critici l’occasione per lodare la solennità e la dignità della scrittura corale, al pari della levigatezza melodica e orchestrale, sotto la quale veniva a celarsi l’amore del compositore
per una forma limpida e nitida con cui viene a crearsi un’atmosfera maestosa e sapiente, interrotta qua e là da squarci di profondo lirismo.
Opera spontanea e sincera, sempre mantenuta entro i limiti d’una sensibilità romantica se pur sensibile al fascino del passato, il Paulus fu considerato dai contemporanei anche più severi come uno dei capolavori del suo tempo; anche Wagner, che tanto avrebbe poi infierito sul musicista nel suo infelice pamphlet Das Judenthum in der Musik (Il giudaismo in musica), dopo aver ascoltato l’oratorio a Dresda, riconobbe in esso una testimonianza eloquente del movimento musicale maturato in Germania nel primo Romanticismo e lo definì «giusto motivo d’orgoglio per il tempo in cui viviamo».
Esemplare comunque il giudizio di Schumann che con equilibrio e acume critico saprà intuire il significato dell’opera e additarla ai contemporanei come esempio inimitabile di arte compiuta e sublime:
«Volgiamoci ora con qualche parola ad un più nobile artista. Qui l’animo tuo si volge alla fede e alla speranza ed impari ad amare nuovamente i tuoi fratelli; qui riposi come sotto le palme, come quando, stanco per l’aver cercato, giace ai tuoi piedi un paesaggio fiorente. È il Paulus, un’opera di vena purissima, di pace e d’amore. Faresti danno a te e male al poeta se tu lo volessi comparare anche soltanto da lontano a quelle di Händel o di Bach. Come tutte le musiche di chiesa, come tutti i templi di Dio, tutte le Madonne dei pittori hanno degli elementi comuni, così pure queste opere; ma è vero però che Bach e Händel, quando scrivevano, erano già uomini fatti, mentre Mendelssohn ha composto il suo lavoro quand’era molto giovane. È opera dunque d’un giovane maestro, nello spirito del quale aleggiano le Grazie, pieno ancora di volontà di vivere e di fede nell’avvenire; e non bisogna paragonarlo con le opere di quell’epoca più severa dove quei divini Maestri, avendo dietro di sé una lunga e santa vita, guardavano già col capo fra le nubi […]. Si osservi come in questo oratorio – oltre al pregio del sentimento profondamente religioso, che si esprime dappertutto – è indovinata magistralmente tutta questa musica, questo canto sempre alto e nobile, quest’unione della parola col suono, del testo con la musica, sì che noi vediamo tutto, come in una vera profondità, l’incantevole aggruppamento dei personaggi; si osservi la grazia che alita su tutto l’insieme, questa freschezza, questo incancellabile colorito nella strumentazione, senza parlare poi dello stile compiutamente finito, del gioco magistrale di tutte le forme della composizione […]. Ci si lasci infine apprezzare ed amare questo Paulus di Mendelssohn; egli è il profeta d’un bell’avvenire, dove è l’opera che nobilita l’artista e non il piccolo successo del presente: la sua via conduce al bene, l’altra al male».

Felix Mendelssohn