Mozart Wolfgang Amadeus

Concerti per flauto

Il genio musicale di Mozart è interpretato da musicisti di fama mondiale su questo doppio cd. Meraviglioso, squisito. melodico, magistrale e trascendente. Che dire di più? Registrazioni eseguite dal 1964 al 1984. Audio ottimo. Raccomandato per non dire imperdibile!

Una mirabile fusione
Le composizioni per flauto di Mozart di Gloria Staffieri

Le composizioni da Mozart destinate specificamente al flauto occupano nell’ambito della sua produzione uno spazio assai esiguo. Due concerti e quattro quartetti sono infatti tutto quanto il genio salisburghese ha riservato a uno strumento che, stando ad alcune sue affermazioni, egli malvolentieri sopportava. Una delle principali ragioni di tale singolare “flautofobia” mozartiana va senz’altro ricercata nelle forti limitazioni tecniche di cui soffrivano, ancora alla fine del 18o secolo, non solo il flauto ma anche gli altri strumenti a fiato.
Né può essere trascurata la precarietà sociale che opprimeva questa categoria di

strumentisti che, formata sostanzialmente da musicisti “itineranti” (cioè non stabilmente impiegati nelle orchestre di corte), erano dotati di una preparazione tecnico-musicale assai meno raffinata rispetto a quella dei suonatori ad arco. In tale ambito, una felice eccezione era rappresentata dai membri dell’orchestra di Mannheim, le cui straordinarie qualità esecutive furono per tutta la seconda metà del Settecento oggetto della più generale ammirazione. Quando nel 1777, durante il viaggio intrapreso con la madre per Parigi, Mozart si fermò a Mannheim, egli conobbe numerosi membri della celebre orchestra e, in particolare, si legò al flautista Johann Baptist Wendling, che Mozart stimava come uno dei migliori esecutori dell’epoca. Fu proprio Wendling a fare da intermediario tra Wolfgang e il facoltoso medico, nonché flautista dilettante, Ferdinand Dejean (o Dechamps), alla cui figura sembrava ricollegarsi gran parte della produzione da Mozart destinata al flauto. Come infatti si apprende dalla lettera che Wolfgang inviò al padre il 10 dicembre 1777, Dejean aveva commissionato al ventunenne compositore “3 piccoli, facili e brevi concerti, oltre a un paio di quartetti con flauto” per la somma complessiva di 200 fiorini. Ma in una lettera successiva (14 febbraio 1778) Mozart, rammaricato, confessava al padre: “Il Signor Dejean…… mi ha dato solo 96 fiorini, perché non gli ho finito che 2 concerti e 3 quartetti……”.
In precedenza, durante un breve allontanamento da Mannheim con Aloisia Weber, Wolfgang aveva comunicato alla madre la sua intenzione di terminare al rientro “tutti e 4 i quartetti” e di “rimandare all’arrivo a Parigi il concerto” (31 gennaio 1778).
Più tardi da Parigi (20 luglio 1778) egli tuttavia nominerà solo “2 quartetti col flauto”, mentre, successivamente (3 ottobre 1778), farà cenno a “3 quartetti” e al “concerto per flauto”.
Le vistose discrepanze ravvisate nell’epistolario mozartiano riguardo all’effettiva consistenza dei lavori commissionati da Dejean hanno creato non pochi problemi alla critica, che ha ravvisato nella scarsa chiarezza del giovane Wolfgang una spia evidente del rapporto conflittuale che in quel periodo aveva con il padre: l’ostentata vantaggiosità dell’incarico di Dejean, nonché la necessità di soffermarsi a Mannheim per far fronte a quell’impegno servivano probabilmente a coprire la sua vicenda sentimentale con Aloisia Weber, che sarebbe stata dall’austero genitore violentemente osteggiata.
Comunque siano andate le cose, importante è stabilire quali delle composizioni per flauto a noi giunte siano da collegare a Dejean, e risultino quindi databili intorno agli anni 1777-78. I due concerti citati nella lettera di Mozart del 14 febbraio 1778 sono stati dagli studiosi concordemente identificati con i Concerti per flauto K. 313 (285c) e K. 314 (285d).

Aurèle Nicolet

Quest’ultimo, in particolare, risulta una semplice trascrizione, effettuata da Mozart probabilmente per mancanza di tempo, del Concerto per oboe K. 271k scritto nell’estate del 1777 per il bergamasco Giuseppe Ferlendis (oboista di corte a Salisburgo).
Maggiori problemi, per quanto riguarda la datazione, presentano invece i Quartetti. Se nessun dubbio solleva il Quartetto K. 285, il cui autografo reca l’indicazione originale “Mannheim il 25 dicembre 1777”, il K. 285a è stato identificato dal Saint-Foix come il secondo quartetto della serie destinata a Dejean sulla base di una vecchia edizione in parti staccate pubblicata da Peters, e collocato pertanto tra il 25 dicembre 1777 e il 14 febbraio 1778 (tesi ripresa anche dall’Einstein e finora non confutata).
Diverso il discorso per i due Quartetti K. App. 171 (285b) e K. 298, per i quali il legame con Mannheim e Dejean, dopo una prima ipotesi favorevole, è stato decisamente scartato: il primo sarebbe da ascriversi al periodo iniziale del soggiorno viennese di Mozart, dato il ritrovamento di uno schizzo riguardante dieci battute autografe del primo tempo del quartetto riportate su un isolato foglio manoscritto insieme all’abbozzo di un brano del Ratto dal serraglio (composto appunto tra il 1781 e il 1782); concepito in un periodo più tardo (probabilmente per la famiglia Jacquin) sembrerebbe invece il secondo che, stando al Saint-Foix, rientrerebbe nel genere del quartetto “d’airs dialogées”, imperniato su motivi presi in prestito da altri autori; in particolare, quello del Rondeau finale del quartetto appare tratto da un’aria dell’opera Le gare generose di Paisiello, rappresentata a Vienna il 1 settembre 1786 ed ascoltata da Mozart a Praga agli inizi del 1787.
La scarsa simpatia mozartiana per il flauto, nonché il fatto che si tratti di opere scritte su commissione non devono tuttavia far pensare che tali composizioni siano prodotti di secondaria importanza rispetto ai capolavori strumentali della grande officina mozartiana. Basta un semplice sguardo alla loro squisita fattura musicale per diradare ogni malinteso. Se, ad esempio, confrontiamo i quartetti per flauto con la produzione corrente dell’epoca notiamo che, rispetto ai contemporanei, Mozart non riduce mai la struttura sonora del quartetto ad una voce predominante su un mero accompagnamento d’archi, seguendo l’andamento semplificato dell’allora pervasivo stile galante, ma tende piuttosto a far muovere lo strumento solista come un primus inter pares, distribuendo l’interesse tematico tra tutte le parti della composizione.
Anche se non mancano passaggi virtuosistici o scambi brillanti soprattutto tra flauto e violino, tali elementi vengono mirabilmente fusi in un linguaggio che, per profondità di pensiero, sembra a tratti ricordare la più impegnata scrittura del quartetto per archi (si osservino, a tal riguardo, la ricca trama tematica che
caratterizza l’Allegro del Quartetto K. 285, o i densi passaggi in stile imitativo presenti nell’Andante del K. 285a o nella sezione di sviluppo dell’Allegro del K. App.171). Lo stesso vale per i concerti: in particolare, nel K. 313, i due primi movimenti, entrambi in forma-sonata, sono estesi ed elaborati, con un giusto equilibrio tra solista e orchestra, mentre nel rondò finale il flauto evita di portare avanti un discorso troppo individuale, preferendo piuttosto piegarsi alla pregnanza del vivace gioco tematico.
Oltre alle composizioni destinate a compagini in cui il flauto svolge un ruolo di protagonista – tra cui compare anche l’Andante in do K. 315 (285e), composto da Mozart sempre nel 1778 probabilmente come movimento sostitutivo del secondo tempo del Concerto K. 313 (285c) – sono qui raccolti anche quei lavori che vedono il flauto in compagnia di altri strumenti solisti. È il caso del Concerto per flauto e arpa K. 299 (297c), composto a Parigi, probabilmente nell’aprile del 1778, su richiesta del conte de Guines che, abile esecutore di flauto, intendeva evidentemente suonare tale musica insieme alla figlia, a sua volta eccellente arpista. Nonostante le doti dei due de Guines, la composizione, basata su un organico orchestrale ridotto, rifugge tuttavia dal virtuosismo, mostrando una scrittura basata sostanzialmente su un piacevole seppur serrato dialogo tra strumenti solisti e orchestra. Gli stessi caratteri rivela, data anche la vicinanza cronologica, la Sinfonia concertante per flauto, oboe, fagotto e corno composta tra il 5 e il 9 aprile del 1778 per Johann Baptist Wendling (flauto), Friedrich Ramm (oboe), Georg Wenzel Ritter (fagotto), Giovanni Punto (corno) e destinata ad una esecuzione al Concert spirituel di Parigi, che però non ebbe mai luogo.
Perduto l’autografo mozartiano, agli inizi del Novecento Otto Jahn scoprì un manoscritto, vergato da una mano ottocentesca, che identificò come copia di tale lavoro.
Ma l’autenticità di questa partitura fu messa in dubbio per molti anni, dato che, tra l’altro, l’organico degli strumenti solisti (oboe, clarinetto, fagotto e corno) non corrispondeva a quello originale. La critica più recente ha tuttavia corretto tale giudizio, confermando la paternità mozartiana riguardo alle parti solistiche di questo lavoro.
Esso, probabilmente pochi anni dopo la composizione, fu sottoposto ad una radicale revisione da parte di uno strumentista che, non possedendo evidentemente l’intera partitura ma solo le parti staccate, variò l’organico e realizzò arbitrariamente l’accompagnamento orchestrale.
Qui della Concertante presentiamo non la versione di Otto Jahn (K. App. 9/C 14. 01), ma quella che ripropone l’organico originale (K. App. 9/297B), secondo la ricostruzione effettuata dal musicologo Robert D. Levin. Tale operazione, che ha comportato drastici interventi di revisione specie nell’accompagnamento orchestrale, è stata condotta sulla base di un rigoroso esame statistico dei tradizionali procedimenti compositivi mozartiani, cercando, una volta inventariati, di imitarli il più possibile.

Osian Ellis

Questa ricostruzione, anche se improntata ad una indubbia verosimiglianza, rimane pur sempre un’operazione arbitraria, valida pertanto più sul piano dell’esegesi mozartiana che su quello della filologia testuale.

Concerto per flato n. 1 in sol maggiore K. 313 (K. 285c)

Nel catalogo mozartiano le composizioni espressamente dedicate al flauto sono numericamente piuttosto esigue, tre Quartetti e due Concerti (il secondo dei quali, K. 314, è in realtà una trascrizione di un precedente Concerto per oboe) ed un Doppio Concerto per flauto ed arpa. Esse nacquero quasi tutte, dietro commissione di esecutori dilettanti, nel volgere di un brevissimo lasso di
tempo, fra il dicembre del 1777 e l’aprile del 1778, nel corso del grande e sfortunato viaggio che ebbe quali principali tappe Mannheim e Parigi. Giunto a Mannheim nell’ottobre 1777 Mozart strinse rapidamente legami con tutti i principali strumentisti che facevano parte della celebratissima orchestra locale; fra questi il flautista Jean Baptiste Wendling procurò al giovane maestro la commissione di alcuni lavori da parte di un ricco ufficiale olandese, Dejean, dilettante di flauto. Mozart non seppe assolvere fino in fondo la commissione, con le relative e spiacevoli conseguenze di carattere economico. A mo’ di giustificazione egli rivelò al padre per lettera la propria antipatia nei confronti dello strumento a fiato: “mi stufo presto a scrivere per uno stesso strumento, che non posso sopportare” (lettera del 14 febbraio 1778).
In realtà è difficile credere alla antipatia di Mozart verso il flauto; anche se le opere flautistiche furono composte senza particolare entusiasmo, esse mostrano tuttavia una padronanza superba della tecnica flautistica e dei suoi effetti più eclatanti, ed un impegno costruttivo che varca di molto i limiti di concisione e cordialità richiesti dalla condizione di “amateur” del committente. I due Concerti, in particolare, mostrano delle particolarità stilistiche che si riallacciano ancora alla pratica musicale salisburghese, in particolar modo nell’assetto formale, affine a quello dei precedenti Concerti per violino. Il trattamento dell’orchestra invece risente poco dello stile di Mannheim, e più per la complessa scrittura degli archi che per gli effetti dinamici, caratteristici della splendida orchestra della cittadina.
Contraddistinto dal carattere solenne del primo tema, l’Allegro maestoso che apre il Concerto K. 313 è improntato ad un fitto dialogo fra solista e orchestra, con una lunga, centrale sezione in minore. Cardine espressivo dell’intero Concerto è però l’Adagio non troppo, che si svolge in una serena ambientazione di carattere arcadico, con il ruolo cantabile del flauto che risalta e dialoga con la duttilissima orchestrazione (non a caso Mozart scrisse anche, con l’Andante K. 315, un movimento alternativo di contenuto meno impegnativo, certo più adatto alle esigenze della committenza). In forma di rondò, il Finale (Tempo di minuetto) si sviluppa secondo un elegante movimento di danza, in perfetta aderenza agli stilemi del gusto galante; ed offre al solista le occasioni più compiute di mostrare le proprie doti di bravura.

Concerto per flauto n. 2 in re maggiore K. 314 (K. 285d)

Il Concerto, K. 314, deve essere considerato una trascrizione da un Concerto per oboe in do maggiore scritto precedentemente a Salisburgo per l’oboista Giuseppe Ferlendi, e menzionato in una lettera (infatti la parte del solista non copre l’intero “ambitus” del flauto): una trascrizione ascrivibile alla fretta nell’esaudire la commissione di Dejean.

Grumiaux trio

Più evidente è nella composizione l’influenza del gusto francese, per la leggerezza dell’accompagnamento (spesso ridotto ai soli violini) e la particolare, breve tornitura delle frasi melodiche.
L’Allegro aperto iniziale, contraddistinto da due temi nettamente contrastanti, si svolge in questa ambientazione preziosa, con un ruolo nettamente preminente del solista. L’Andante ma non troppo è animato dal fraseggio fluido dello strumento a fiato, di cui mostra l’aspetto più espressivo ed elegiaco.

Colin Davis

L’Allegro finale – un rondò di fatto anche se non di nome – riprende lo stile brillante dell’opera buffa, e non a caso il suo refrain verrà poi riproposto in una aria della “Entführung aus dem Serail” (“Welcho Wonne, welche Lust”, di Blondchen); il carattere gaio di questo tema permea l’intero movimento, pagina che sintetizza le caratteristiche di eleganza e virtuosismo propri dell’approccio del giovane Mozart al genere del concerto.

Andante in do maggiore per flauto e orchestra K. 315 (K. 285e)

L’Andante per flauto e orchestra K. 315, è stato scritto a Mannheim, dove Mozart, sulla via di Parigi, era giunto nell’ottobre 1777. Il giovane maestro vi strinse rapidamente legami con tutti i principali strumentisti che facevano parte della celebratissima orchestra locale; fra questi il flautista Jean Babtiste
Wendling procurò al giovane maestro la commissione di alcuni lavori da parte di un ricco ufficiale olandese, De Jean (nome altrimenti tramandato come Dejean, Deschamps o Dechamps) dilettante di flauto. Mozart non seppe assolvere fino in fondo la commissione, con le relative e spiacevoli conseguenze di carattere economico. A mo’ di giustificazione egli rivelò al padre per lettera la propria antipatia nei confronti dello strumento a fiato. Ad ogni modo Mozart scrisse ex novo il Concerto K. 313 e trascrisse per flauto il suo vecchio Concerto per oboe K. 314. È verosimile che l’Andante K. 315, di dimensioni contenute e di carattere meno impegnativo, sia stato scritto, venendo incontro alle richieste di De Jean, per sostituire l’ambizioso movimento centrale del Concerto K. 313.

Concerto in do maggiore per flauto e arpa K. 299 (K. 297c)

Il Concerto per flauto e arpa in do maggiore K. 299 risale al soggiorno parigino del 1778, un soggiorno del tutto diverso rispetto a quello, trionfale, compiuto da bambino, e tale da riservare delusioni e amarezze al ragazzo ventiduenne, che incontrò una sostanziale indifferenza da parte dell’ambiente della città, nel quale stentò ad inserirsi anche per la sua scarsa propensione verso il gusto francese.
In qualche caso, tuttavia, Mozart seppe approfittare delle occasioni offertegli dalla ricca e colta società aristocratica, presso la quale la pratica della musica “da salotto” era diffusissima, come naturale integrazione dell’educazione dell’individuo. Particolarmente diffusa, presso l’aristocrazia del gentil sesso, era l’arpa, impiegata soprattutto, come alternativa al pianoforte, nella funzione di accompagnamento. Lo strumento non si avvaleva ancora, per raggiungere la completa scala di semitoni, del sistema di pedali introdotto da Cousineau e Krumpholz alla fine del secolo e perfezionato nel 1812 da Erard, ma poteva comunque spaziare in una gamma vasta grazie a un sistema di ganci azionato a mano dall’esecutore, che consentiva la modifica di un semitono per l’intonazione delle corde. Ecco dunque che nacque, nell’aprile 1778, il Concerto per flauto ed arpa, destinato ad una coppia di aristocratici. «Penso di averle già detto» scrisse Mozart al padre il 14 maggio «che il Duca di Guines [in realtà conte, già ambasciatore a Londra] suona assai bene il flauto, e che la figlia, alla quale insegno composizione, suona magnificamente l’arpa». La partitura che Mozart confezionò su misura per questi esecutori – piuttosto ampia nelle dimensioni anche se non trascendentale tecnicamente – è del tutto improntata allo spirito concettualmente disimpegnato e brillante della moda parigina (sottolineato dalla tonalità di do maggiore e dal carattere decorativo degli strumenti solisti); ma la preziosissima fattura e il superiore ingegno fanno di questo pezzo “da salotto” un piccolo capolavoro nel suo genere; soprattutto è mirabile l’equilibrio che sovrintende al rapporto di solidarietà fra i due dissimili strumenti (il flauto incline alla funzione solistica, l’arpa a quella di accompagnamento) e alla contrapposizione fra questi e l’orchestra (smarrite sono purtroppo le cadenze originarie). Dei tre movimenti l’Allegro iniziale, aperto da un perentorio arpeggio di do maggiore, presenta una vivace abbondanza di idee e uno sviluppo armonicamente assai suggestivo; i due solisti vi hanno uno spazio predominante, e si alternano anche nel ruolo di guida melodica nella sezione dello sviluppo. L’Andantino è animato da una grazia sensuale – vi si notano le viole divise – e arricchito da una fitta ornamentazione; mentre il Rondeau finale segue un elegante andamento di gavotta, in perfetta aderenza al gusto francese.

Quartetto per flauto in la maggiore K. 298

Il Quartetto in la maggiore K 298, di cui esiste il manoscritto autografo recante in epigrafe l’indicazione spuria «Paris 1778», fu per lungo tempo annoverato nel gruppo delle composizioni scritte per Dejean, ma è stato reso palese che ciò non sia possibile, come anche non possa essere corretta l’indicazione spuria, apposta sul manoscritto originale, di data e luogo di composizione. L’opus K 298, secondo diversi studiosi, appartiene di diritto al genere del quartetto “d’airs dialogués” particolarmente in voga nell’ambiente viennese, che prevedeva l’utilizzo di melodie e temi tratti da brani celebri di estrazione popolare o operistica. E in effetti nel Quartetto K 298 il primo tempo, Tema con variazioni, si basa sul lied An die Natur di Franz Anton Hoffmeister; quello del Minuetto, ovvero del secondo tempo, invece su una canzone popolare francese, mentre il Rondò finale su un’aria di Paisiello tratta dall’opera Le gare generose, che venne rappresentata nel 1786 e che Mozart ascoltò a Praga nel 1787.
Ed è grazie a queste informazioni che sia la data che il luogo di composizione del Quartetto K 298 possono essere motivatamente collocate al di fuori dei brani scritti per l’incarico ricevuto a Mannheim. Un altro aspetto, non marginale, relativo alla stesura del lavoro riguarda la strepitosa grafia del titolo e delle prescrizioni di andamento del terzo movimento: Mozart scrisse di suo pugno «Rondieaoux» e indica per il tempo «Allegretto grazioso ma non troppo presto, però non troppo adagio. Così-così-con molto garbo ed espressione».

William Bennett

Potrebbe sembrare, e forse lo è, uno dei tanti scherzosi divertimenti di cui l’epistolario mozartiano è pieno, ma c’è chi, come Alfred Einstein, sostiene che «per mezzo della parodia Mozart sfogò l’ira e il disprezzo per quella musica sciocca e insipida con cui un musicista poteva conquistare fama e ricchezze».

Quartetto per flauto e archi n. 3 in do maggiore K. 171 (K. 285b)

Il Quartetto in do maggiore per flauto e archi K. 171, così come viene indicato nell’appendice (Anhang) del catalogo Koechel, è un Allegro con un Andantino per flauto violino, viola e violoncello scritto da Mozart a Mannheim tra gennaio e febbraio del 1778 e improntato ad un gusto classico che mira ad inserire in un giusto dosaggio il timbro del flauto nel gioco degli archi. La composizione è avviata dal canto del flauto, ripreso all’ottava inferiore dal violino e seguito da un ritornello dei quattro strumenti. Ancora il flauto espone il secondo tema, sviluppato dal violino e contrappuntato dai vari strumenti come un tema con variazioni su cambiamento di tonalità, da sol minore a re minore. L’attenzione dell’ascoltatore è richiamata dalla linearità e dalla espressività delle modulazioni, indicative anche in questo caso della genialità inventiva mozartiana.
Questo Quartetto, noto anche nella numerazione K. 285b, si collega agli altri due Quartetti, in re maggiore K. 285 e in sol maggiore K. 285a, perché composti per lo stesso organico strumentale (flauto e archi). In fondo i Quartetti K. 285a e K. 285b si richiamano maggiormente allo stile di Johann Christian Bach, quanto mai elegante e misurato negli effetti, e secondo Einstein si ritrova nel finale del K. 285b la versione originale del tema con variazioni della Serenata per strumenti a fiato K. 361.

Quartetto per flauto e archi n. 2 in sol maggiore K. 285a

I problemi di datazione e di autenticità in merito alla genesi dei quattro quartetti per flauto, violino, viola e violoncello di Wolfgang Amadeus Mozart si sono rivelati, nel corso degli anni, sempre più complessi. Il nutrito epistolario mozartiano in merito ha contribuito a confondere il quadro generale invece di fare chiarezza e, sostanzialmente, per anni si è creduto che tutti e quattro i quartetti fossero stati composti nell’arco di 20 mesi, fra il dicembre del 1777 e l’agosto del 1778, a Mannheim i primi tre (K285, K28Sa e K285b) e a Parigi il quarto (K298). Ebbene, la realtà è diversa ed è necessario, per meglio comprendere le molte e importanti discrepanze con le correnti convinzioni, ripercorrere fin dal principio la storia dei quattro quartetti.

Wolfgag Amadeus Mozart

Alla lettera che Wolfgang spedì al padre il 10 dicembre 1777 si fa esplicito riferimento all’offerta di 200 fiorini, da parte del flautista dilettante olandese Ferdinand Dejean, per la stesura di «tre piccoli, facili e brevi concerti, oltre a un paio di quartetti con flauto». In una lettera successiva Mozart lamenta la partenza per Parigi del committente e l’aver ricevuto solo 96 fiorini, dei 200 promessi, in quanto non aveva potuto consegnargli che «due concerti e tre quartetti». Ciò nonostante il 20 luglio del 1778 Mozart, scrivendo al padre da Parigi, fa menzione, fra i lavori ultimati, solo a «due quartetti con flauto» mentre, tre mesi più tardi, il 3 ottobre 1778 tornerà a far cenno a «tre quartetti e al concerto per flauto». Stante questa situazione di informazioni contraddittorie dobbiamo rifarci ai dati oggettivi che, almeno in parte, possediamo e procedere a una classificazione singola per ogni quartetto.
Il Quartetto in sol maggiore K 285a, il cui manoscritto è perduto, fu pubblicato a Vienna dopo la morte di Mozart, in parti separate che prevedevano, insieme ai due movimenti Andante e Minuetto, l’inserimento dell’Allegro tratto dal Quartetto in re maggiore K 285. Identificato dal musicologo francese Marie Olivier Georges du Parc Poulain conte di Saint-Foix, è considerato il secondo quartetto scritto a Mannheim per Dejean fra il dicembre 1777 e il febbraio 1778.

Sinfonia concertante in mi bemolle maggiore per fiati e orchestra K. A9 (K. 297b)

La Sinfonia concertante in mi bemolle maggiore per oboe, clarinetto, corno, fagotto e orchestra (nel catalogo Köchel è compresa nell’Appendice 9) fu composta da Mozart durante il suo terzo soggiorno a Parigi, nell’aprile 1778. Commissionatagli da Le Gros, il direttore dei “Concerts Spirituels” (istituzione di primaria importanza nella Parigi dell’epoca), l’opera fu scritta “in grandissima fretta” per quattro valenti musicisti amici di Mozart, tutti appartenenti alla cerchia di Mannheim ma, per circostanze poco chiare, non venne eseguita e disparve dal programma.
Forse anche in conseguenza di questo contrattempo il manoscritto autografo andò perduto, così che noi conosciamo questo lavoro soltanto in un adattamento anonimo nel quale il flauto e l’oboe, originariamente previsti nell’organico dei solisti, sono sostituiti dall’oboe e dal clarinetto; possiamo però con una buona ragione supporre che nessun altro mutamento sia intervenuto nella stesura della composizione (E d’altra parte gli adattamenti e le trasposizioni da uno strumento all’altro erano nell’ordine del giorno allora), di modo che l’opera può essere considerata autenticamente mozartiana.
“La Sinfonia concertante” – ha scritto l’Einstein – “non è una Sinfonia in cu quattro strumenti a fiato hanno preminenti parti a solo e non è nemmeno un vero concerto per quattro strumenti a fiato con accompagnamento d’orchestra.

Franz Anton Hoffmeister

E’ una via di mezzo”. Se questo giudizio può essere accettato per quanto riguarda la forma e lo spirito assai libero del lavoro (una caratteristica, questa, che ricorre in molte opere del periodo parigino), gli effetti solistici sono in realtà assai curati, come senz’altro dovevano esigere i quattro virtuosi della “prima orchestra del mondo” quella di Mannheim, ai quali l’opera era destinata.
Di fatto la Sinfonia concertante è divenuta un’opera fondamentale nel repertorio dei migliori solisti di fiati, che vi hanno modo di far brillare la propria abilità combinandosi variamente in un filo ininterrotto di soluzioni musicali che vanno dal tono lirico a quello giocoso, sostenute sempre dal trasparente e avvolgente tessuto connettivo di un’orchestra elegante e raffinata.