Mozart Wolfgang Amadeus
Eine kleine Nachtmusik

Herbert von Karajan esegue queste tre composizioni molto diverse tra loro con il consueto carisma e coadiuvato dai Berliner Philharminiker in stato di grazia. Audio in DDD eccezionale. Registrazione eseguita nel 1982. Altamente raccomandato.
Mozart – Grieg – Prokofiev
Che cosa hanno in comune, si potrebbe chiedere “Eine kleine Nachtmusik” di Mozart, la Suite “Holberg” di Grieg e la Sinfonia “Classica” di Prokofiev? La risposta più semplice è certamente contenuta nella parola “Classicismo”. La celebre serenata per archi di Mozart è naturalmente l’opera di uno dei più grandi maestri del periodo classico; la Suite di Grieg porta il sottotitolo “In stile antico” ed è un tributo a un drammaturgo settecentesco; e, infine, la sinfonia di Prokofiev fu composta (per, dirla con le parole dei suoi biografi Lawrence ed Elizabeth Hanson) con “l’idea di scrivere il tipo di sinfonia che avrebbe scritto Haydn se fosse vissuto fino al secolo 20o”. Queste tre opere rappresentano quindi il Settecento in diversi modi: quella di Mozart naturalmente appartiene a quell’epoca, mentre quelle di Grieg e di Prokofiev l’osservano dal punto di vista del 19o e del 20o secolo rispettivamente.
“Eine kleine Nachtmusik” fu composta a Vienna e porta la data del 10 agosto 1787. La sua strumentazione, per archi soli, fa di essa un’eccezione tra le serenate e i divertimenti di Mozart, che più comunemente comprendono anche i fiati; anzi, dato che la linea del basso è condivisa da violoncelli e contrabbassi per tutto il pezzo, esso può essere suonato con ottimi risultati dai quattro musicisti di un quartetto per archi, e forse una parte del suo fascino è che esso conserva l’intimità della musica da camera all’interno della sonorità più corposa dell’orchestra per archi.
Il primo movimento, che consta di sette pagine, è in quella che si potrebbe definire “forma di sonatina”; in altre parole è una miniatura. Il secondo è una tenera Romanza con una sezione centrale agitata. Un solenne Menuetto conduce al gioioso Finale.
La Suite “Holberg” di Grieg fu scritta nel 1884 per commemorare il duecentesimo anniversario della nascita di un drammaturgo, Ludwig Holberg, che è riconosciuto come il fondatore della letteratura danese. Il vero titolo che Grieg diede al pezzo è “Dai tempi di Holberg” (Fra Holbergs tid), e gli piaceva definire questa musica “imparruccata”.
Di fatto egli la compose dapprima per pianoforte solo, e soltanto un anno dopo ne fece questa celebre versione orchestrale. Il vigoroso Preludio introduce diversi movimenti di danza, come in una suite nello “stile antico” settecentesco. Una ricca Sarabanda, una gaia ma dignitosa Gavotta – la cui sezione centrale è costituita da una Musette del basso in stile di cornamusa – , un’Aria in cui il critico viennese Hanslick trovava una “dolce malinconica, facile da placare”, e finalmente un chiassoso Rigaudon.
La Sinfonia “Classica” di Prokofiev, composta nel 1917, pur essendo la prima delle sue sette non è certo l’opera di un principiante, perché il compositore russo ventisettenne aveva già composto due sinfonie, non ancora pubblicate, ed una sinfonietta, oltre a tre concerti e alla grande modernistica “Suite scita” per orchestra.
Ma adesso Prokofiev che (secondo un critico contemporaneo) era solito lasciare gli ascoltatori “gelati di paura, coi capelli ritti”, decise improvvisamente di scrivere una sinfonia nello stile di Haydn, semplice e melodiosa, intesa a dilettare piuttosto che a scandalizzare il suo pubblico.
Egli disse di aver scelto il titolo “per canzonare le oche” (i suoi critici, forse?) e anche nella speranza che la Sinfonia “Classica” sarebbe davvero diventata un classico, come naturalmente è accaduto. Un Allegro scintillante è seguito da un movimento lento in stile di Sarabanda, da una Gavotta con deliziosi e
inaspettati cambiamenti di tonalità, e da un Finale agitato.
Christopher Headington (Traduzione: Silvia Gaddini)
Eine kleine Nachtmusik
Etne kleine Nachtmusik (Una piccola musica notturna, o serenata notturna) in sol maggiore K 525 fu composta da Wolfgang Amadeus Mozart nell’estate del 1787, presumibilmente in una breve interruzione del lavoro principale di quell’anno, la stesura del Don Giovanni.
Wolfgang Amadeus Mozart

Infatti la composizione fu inserita dall’autore nel catalogo tematico personale alla data del 10 agosto 1787; il 1° ottobre Mozart partì alla volta di Praga per dare gli ultimi ritocchi e mettere in scena la partitura operistica.
Le vicende della genesi del brano sono del tutto ignote. Si tratta comunque – a parte Ein musikalisches Spass K 522, una serenata satirica pressoché contemporanea – dell’unica serenata per archi o con archi che Mozart abbia avuto occasione di comporre negli anni viennesi. Il genere della serenata comprendeva composizioni affidate ad un organico variabile di solisti e con un numero pure variabile di movimenti; fine unificatore di brani anche molto dissimili era quello intrattenitivo, per circostanze festive o ricorrenze o ancora per allietare la vita di tutti i giorni. Nel corso dei suoi anni salisburghesi Mozart aveva scritto un alto numero di composizioni per simili circostanze, ma il piccolo mecenatismo frequente nell’ambiente provinciale di Salisburgo cedeva il passo a Vienna a rapporti più sofisticati fra committenti e compositori. Possiamo comunque immaginare che anche Eine kleine Nachtmusik sia stata pensata per una simile circostanza, di cui ci sfugge il contesto.
L’organico della composizione è di cinque strumenti ad arco: due violini, viola, violoncello e contrabbasso, anche se gli ultimi due strumenti suonano all’unisono. Sul catalogo personale Mozart segnò una successione di cinque movimenti, ma ai posteri ne sono giunti solamente quattro, ed è da ritenersi smarrito il minuetto collocato dall’autore in seconda posizione; circostanza che sottrae al brano, per l’ascoltatore moderno, qualcosa del suo carattere di serenata. Tuttavia è difficile trovare qualcosa di simile nella contemporanea produzione di Mozart. Sia le grandi sinfonie viennesi che i quartetti per archi si avvalgono di una scrittura del tutto specifica – sinfonica o quartettistica – che non può essere confusa con quella della serenata, improntata a una essenzialità d’impianto, a una mancanza di sontuose elaborazioni negli sviluppi e di profondità concettuale nel contenuto espressivo.
La maestria di Eine kleine Nachtmusik consiste proprio nell’aderire compiutamente alle regole “semplici” della serenata con un artigianato inappuntabile, rivelando però a tratti la mano inconfondibile dell’autore, che guarda con più matura consapevolezza e quasi con distacco a un genere abbandonato da tempo. L’Allegro iniziale è un esempio paradigmatico di forma sonata, con la contrapposizione fra due temi (ritmico il primo, melodico il secondo), la loro libera elaborazione in uno sviluppo che Mozart rende espressivamente variato, e la loro compiuta riesposizione. Troviamo poi (in mancanza del primo minuetto) una Romanza dalla levigatissima linea melodica (con un romantico dialogo in minore fra violino e basso), un garbato minuetto con trio e un finale; quest’ultimo, definito dall’autore come rondò ma in realtà in una forma molto simile alla forma sonata, è percorso da un irresistibile impulso
ritmico e da una ambientazione festosa, temperata appena dalle modulazioni screziate dello sviluppo.
Grieg – Holberg Suite
Più che nella grande forma sinfonica, Edvard Grieg espresse la sua originalità nel breve respiro delle composizioni per pianoforte, nonché in varie raccolte di canti popolari norvegesi e nella suite che qui presentiamo: Dai tempi di Holberg op. 40. Il nome evocato nel titolo appartiene a Ludvig Holberg (1684-1754) letterato nato in Norvegia ma danese per lingua e cultura, iniziatore del moderno teatro nordico. Molte sue opere vennero tradotte e divulgate in Europa meritandogli l’appellativo di “Molière del Nord”. Nel 1884, in occasione del bicentenario della sua nascita, a diversi compositori, fra i quali lo stesso Grieg e Niels Gade, vennero commissionate opere commemorative. Il contributo di Grieg si concretizzò in una suite per pianoforte, Dai tempi di Holberg, che richiamava le forme e le sonorità dell’epoca barocca. Pochi mesi più tardi, nel 1885, Grieg scrisse a un amico dicendogli di aver completato la trascrizione della suite per orchestra d’archi («suona piuttosto bene»).
In questa pagina Grieg, tanto nell’originale per pianoforte quanto nella riuscitissima trascrizione per archi, si ispira alle forme e allo stile de! barocco, a partire dal Praeludium iniziale, basato su un movimento ritmico in semicrome ribattute (violini e viole), come nei preludi per clavicembalo del Settecento. Il tema principale, esposto dai violini primi, è una delicata melodia discendente che sembra venire da lontano. Dopo un episodio con carattere di sviluppo Grieg presenta un nuovo tema, una sorta di trasfigurazione di quello principale, esposto dai violini sopra i pungenti pizzicato delle viole. La ripresa del movimento ritmico iniziale prepara il ritorno del tema principale e la cadenza conclusiva.
Il tema principale della Sarabande, raccolto e intimo, dà il carattere a tutto il movimento. Solo nella seconda parte il discorso musicale si va animando, con uno sviluppo del tema principale che passa attraverso dolcissime modulazioni tipiche di Grieg. Un breve episodio solistico di transizione, affidato a tre violoncelli e un contrabbasso, porta alla ripresa del tema principale, ora fortissimo e a tutta orchestra.
Edvard Gieg

La Gavotte, danza elegante e raffinata, ci viene presentata da Grieg con garbo sapiente: il tema principale dalle movenze delicate, viene esposto pianissimo da violini secondi e viole e poi ripreso forte da tutta l’orchestra. A questo motivo si alternano due episodi contrastanti seguiti dalla Musette, che imita il suono di una piccola cornamusa: sopra un lungo bordone dei violoncelli, il tema di musette viene esposto prima dalle viole, poi dai violini. Un nuovo spunto motivico, proposto dai violoncelli e ripreso dai violini secondi, conduce poi a una perorazione orchestrale basata su una progressione discendente. Regolari, come da prassi settecentesca, la ripresa della Musette e la ripetizione della Gavotte senza ritornelli.
L’Air è il movimento più intenso della suite e ricorda molte analoghe pagine bachiane. Il tema principale, vibrante e contemplativo allo stesso tempo, viene esposto dai violini primi sopra il delicato accompagnamento di violini secondi e viole, mentre i bassi appoggiano i tempi forti in pizzicato. Poi il discorso si «apre» alla tonalità maggiore in un episodio che tocca il culmine dinamico della pagina. Nella ripresa il tema principale viene affidato ai violoncelli e ricamato espressivamente da una linea cromatica affidata ai violini.
La suite si conclude con una spiritata danza, il Rigaudon, caratterizzata da due motivi che si alternano: il primo, gioioso e vibrante, viene condotto dai violini e scandito ritmicamente dal pizzicato dei bassi, mentre il secondo, in tonalità minore, è un nostalgico motivo discendente affidato a violini e viole.
Prokofiev – Sinfonia Classica
«Trascorsi l’estate del 1917 nella più completa solitudine nelle vicinanze di Pietroburgo», scrive Prokofiev nell’Autobiografia. «Leggevo Kant [e Schopenhauer – secondo Niestiev] e lavoravo molto. Il pianoforte lo lasciai di proposito in città… Avevo l’intenzione di comporre un’opera sinfonica senza l’aiuto del pianoforte. In un’opera cosiffatta i timbri orchestrali avrebbero dovuto essere più puri. Ecco come nacque l’idea della Sinfonia nello stile di Haydn… Quando cominciò a prendere forma concreta la battezzai col nome di Sinfonia Classica».
Il 21 aprile del 1918 Prokofiev ne diresse la prima esecuzione con la ex- orchestra di Corte alla presenza di Gorky, di A. Benois e del Commissario per l’istruzione popolare, dal quale in questa occasione strappa il consenso per recarsi in America.
A rinfrescare l’ascolto di quest’opera, ormai entrata tra i classici del sinfonismo del Novecento, ricordiamo alla penna di Guido Pannain.
«La Sinfonia classica non implica idea alcuna d’imitazione né asservimento a schemi prestabiliti o a storture di neoclassicismo, quantunque l’autore stesso dichiari di averla scritta per l’efficacia esercitata su lui dalle Sinfonie di Haydn, grazie alla conoscenza che ne aveva acquistata nella scuola di Cerepnin. E’ una musica limpida, di una trasparente lineare semplicità, corrente con bene ordinata sicurezza; forma pura ma non astratta, nutrita d’immagini vive. Fu concepita in tempi in cui vagavano per l’aria fantasmi neoclassici, ma il risultato fu ben altro che quello delle cachettiche riproduzioni generalmente designate
con tal nome. La Sinfonia classica è una rappresentazione raffinatamente soggettiva, malgrado l’apparente disinteresse, dell’idea di uno stilizzato classicismo, alla quale il musicista imprime l’accento di una propria saporosa distinzione, ed è, quella improntitudine, una sorta d’impertinenza ritmica su uno sfondo di elegante ironia, alla quale poco fa si accennava e costituisce il carattere proprio della originalità di Prokofiev.
Il primo tempo è avviato con tutta serietà in una luminosa tonalità di re maggiore, nella quale il secondo motivo fa regolarmente il suo ingresso sulla quinta del tono, secondo le massime eterne della scuola. Ma guardate quanta malizia in tanta serietà, con quello sbalzo di due ottave del suono secco e tronco dei violini, staccato e acciaccato, subito ripreso al grave, dopo la brusca interruzione, col gesto insolente di un pudico sberleffo.
Certo si tratta di un allievo beneducato il quale non vuol dare a vedere che ha perduto ogni rispetto per il maestro. Vanno insieme una serietà accogliente che si fa prendere in scolastica considerazione e il buon umore di uno spirito che se ne fa beffa. E’ un ridere dell’animo che non dà in apparenze, anzi fa le viste di credere nel suo contrario. Un modo di fare disinvolto in cui la malizia del burlone va d’accordo con la sapienza del mestiere.
Uno spiritoso ed elegante motteggiatore ha indossato la palandrana aulica e vuole dare ad intendere ch’egli sacrifica sul serio a gl’idoli della tradizione. Non sai se dà spettacolo a se stesso o agli altri, se scherza o fa sul serio perché le regole dell’arte le conosce a menadito ed è anche capace di cedere alla commozione, con quel leggero ritmo di danza a cui fa ombra un velo di malinconia ravvivato dalla saltellante arguzia di armonie distaccate.
C’è anche una maliziosa aria di pedanteria nell’irrompere intrattenibile del finale, con i brevi accenni d’imitazioni tematiche saltate fuori da un passato di scuola che è diventato gioia di ricreazione. Il musicista lo contempla e gli fa festa, gli piace e ne ride. Qui è il vero Prokofiev, che sopravvive, fantasioso e ironico e pur sempre presente a se stesso, col suo umorismo aperto alla tenerezza e al fiabesco, in una singolare pienezza di esperienze umane».
Sergei Prokofiev
