Mozart Wolfgang Amadeus

Grosse Messe in do minore K. 427

Un giusto equilibrio tra passione e drammaticità contraddistingue la lettura di questo bellissimo spartito. La chiarezza è stupefacente e brillano i solisti. L’orchestra è di prim’ordine, Ancora una volta la DG Originals emerge e il loro programma di ristampa è stato finora eccezionale, questa registrazione continua questa tradizione. Ferenc Fricsay era davvero uno dei conduttori più dotati della sua epoca. Peccato che non sia più con noi, ma almeno ci ha lasciato molte perle interpretative. Registrazione eseguita nel 1960 e rimasterizzazione effettuata nel 2000. Audio buono anche se datato. Altamente raccomandato.

Grosse Messe in do minore K. 427

I due massimi capolavori di Wolfgang Amadeus Mozart nell’ambito della musica sacra, la Messa in do minore K. 427 (K. 417 a) e il Requiem in re minore K. 626, rimasero entrambi incompiuti. Fu la morte a fermare per sempre la mano di Mozart mentre vergava il Lacrimosa del Requiem, mentre l’incompiutezza della Messa deve essere attribuita a cause meno tragiche. Mozart aveva infatti
iniziato a comporla per una sua autonoma decisione, uscendo per una volta dal sistema della committenza che regolava la produzione musicale dell’epoca; ma i tempi non erano maturi perché un musicista potesse liberamente dedicare il suo tempo a una composizione priva d’una precisa destinazione e quindi la Messa in do minore fu messa da parte a favore di lavori più urgenti. Invece Mozart non lasciò mai a metà le musiche sacre connesse ai suoi impegni salisburghesi. Non dipendere per una volta da una precisa committenza permise però a Mozart di concepire liberamente questa Messa su una scala più ampia e complessa, mentre fino allora aveva dovuto ottemperare alle imposizioni del suo “padrone”, il principe-arcivescovo di Salisburgo, che dalla musica sacra pretendeva semplicità e brevità.
La Messa in do minore non obbediva dunque a una committenza, ma fu concepita da Mozart come un’offerta votiva per il superamento delle difficoltà che si frapponevano al suo matrimonio e allo stesso tempo come un dono all’amata Konstanze. In una lettera inviata al padre da Vienna il 4 gennaio 1783, il ventisettenne Wolfgang rivela di aver fatto “una promessa nel [suo] cuore” e che “la migliore prova di questa promessa è la partitura d’una Messa che ancora aspetta d’essere completata”. Da questa stessa lettera si deduce che fin dall’inizio Mozart pensava di far eseguire la sua Messa a Salisburgo. Effettivamente la prima volta che si recò da Vienna a Salisburgo dopo il suo matrimonio portò con sé la partitura e continuò a lavorarvi, ma il giorno previsto per l’esecuzione, il 26 ottobre 1783, la Messa era ancora incompiuta e probabilmente venne integrata con pezzi di altre messe di Mozart.
Il giorno dopo il compositore ripartì per Vienna e non avrebbe più visto la sua città natale, né avrebbe più portato a termine questa Messa, di cui aveva scritto per intero il Kyrie, il Gloria e il Sanctus-Benedictus, mentre il Credo era interrotto all’lncarnatus est e per di più era lacunoso nell’orchestrazione e l’Agnus Dei mancava totalmente. Due anni dopo, a Vienna, avrebbe riutilizzato il Kyrie e il Gloria nell’oratorio Davide penitente K. 469.
Nonostante l’incompiutezza, la Messa in do minore è la più vasta, complessa e impegnativa composizione sacra di Mozart. Come Bach nella Messa in si minore e Beethoven nella Missa solemnis, anche Mozart riprende qui gli stili della musica sacra delle epoche precedenti, quasi a voler ancorare saldamente la sua Messa alla tradizione. Attinge a Bach e Händel, da lui scoperti e studiati proprio in quegli anni, e anche agli italiani, come Caldara, Porpora e Pergolesi, scrivendo una “personale summa theologica del sacro in musica, i cui principi vengono desunti da una sterminata eredità artistica dagli orizzonti europei, sviluppata più in estensione geografica che in profondità storica, non rimontando oltre i limiti del XVIII secolo, il solo che il compositore ritenesse attingibile e spiritualmente frequentabile” (Giovanni Carli Ballola).

Constanze Mozart

Subito il Kyrie rivela la compenetrazione dell’elemento oggettivo dello stile sacro con quello soggettivo dell’espressione individuale, quando la severa polifonia corale e la voce grave e maestosa dei tromboni vengono amalgamate nell’intima e sofferta tonalità di do minore, o quando il dolente cromatismo del motivo dei soprani e dei contralti viene sviluppato in rigoroso stile imitato. Al centro del Kyrie s’inserisce il luminoso solo per soprano del Christe, affettuoso omaggio alla moglie Konstanze, che cantò questa parte nella prima esecuzione della Messa.
Il Gloria si apre con una chiara reminiscenza dello stile di Händel, evidente nella stretta alternanza di possenti e gloriosi accordi e di dinamici ed esultanti passaggi contrappuntistici, con una citazione quasi letterale dell’Alleluja del Messiah. Tutto il Gloria è concepito su scala monumentale ed è diviso in otto numeri. Un’aria tripartita col “da capo” (Laudamus Te), un duetto per due soprani (Domine Deus) e un terzetto per due soprani e tenore (Quoniam tu solus sanctus) si alternano a due possenti episodi corali a cinque voci (Gratias agimus) e a doppio coro (Qui tollis). È suggellato dalla grandiosa fuga del Cum Sancto Spiritu, che fornisce una conclusione adeguatamente solenne, che però Mozart sottrae a ogni manierata magniloquenza con l’inserzione di elementi del moderno linguaggio sinfonico, apportatore di un’emozione più viva e drammatica.
L’incompiuto Credo consta di due sole parti, entrambe lacunose nell’orchestrazione, che può tuttavia essere completata senza problemi insormontabili. Il primo pezzo è un maestoso coro a cinque voci, fitto di riferimenti alla musica tardobarocca, a cominciare dall’ampia introduzione orchestrale, memore ancora una volta di Händel, in particolare delle sue Ouvertures.
L’Et incarnatus est è un altro solo offerto alla voce dell’amata Konstanze: una pagina nel cullante ritmo di siciliana, raccolta, tenera, delicata, che trasfigura il virtuosismo vocale in estatico lirismo, come nel lunghissimo vocalizzo della cadenza che unisce al soprano tre strumenti obbligati (flauto, oboe e fagotto). È stato più volte sottolineato lo stile italianeggiante di questo brano.
Dopo questa melodiosa aria Mozart ritorna alla grandiosità del doppio coro col Sanctus, questa volta senza reminiscenze barocche ma con sintetico e audace stile moderno, culminante nel possente “pleni sunt coeli et terra gloria tua”, che sembra raffigurare musicalmente tutta la magnificenza divina. Qui s’innesta la fuga dell’Osanna, nel cui serrato contrappunto si scorge chiaramente Bach.
Il Benedictus è riservato alle quattro voci soliste ma non concede nulla a dolcezze melodiche d’ascendenza operistica e procede con un aspro e spigoloso contrappunto, mentre modulazioni tipicamente mozartiane a tonalità minori immergono il brano in un’atmosfera inquieta e ansiosa, prima della trionfale ripresa della fuga dell’Osanna.

Ferenc Fricsay