Mozart Wolfgang Amadeus

Requiem

Questa registrazione della televisione tedesca del 1988 è, per quanto mi riguarda, uno dei punti salienti dell’ultima periodo di produzione artistica di Leonard Bernstein. È una lettura solenne e potente, che riesce ad essere molto emotiva senza esagerazioni. Bernstein utilizza l’edizione Beyer del Requiem, una revisione del tradizionale completamento di Sussmayer della partitura incompiuta di Mozart, per renderlo più “mozartiano”. I tempi sono lenti, il che non è una sorpresa per Bernstein. Tuttavia la lentezza non risulta affatto fastidiosa e anzi esalta l’efficacia della performance.
Bernstein ha dedicato questa esecuzione alla moglie defunta, come dice nella sua toccante introduzione in lingua tedesca. Dato che lo stesso Bernstein morirà solo due anni dopo la registrazione, si è tentati di considerare questa performance anche una riflessione sulla mortalità in generale, oltre che un omaggio alla moglie. Questa è davvero la sensazione che ho avuto alla termine del concerto, quando Bernstein bacia i quattro cantanti solisti e poi scompare nel buio dietro le quinte in silenzio (il pubblico deve essere stato istruito a non applaudire). Aveva l’aspetto e la sensazione di un commiato. Altamente raccomandato, per non dire imperdibile.

Requiem in re minore per soli, coro ed orchestra, K 626

Fu nel luglio del 1791, quando cioè le sue condizioni materiali cominciavano a diventar disperate e la salute stava già declmnndo, che Mozart ricevette l’incarico di comporre il Requiem in circostanze che gli apparirono misteriose. Un curioso signore vestito di nero, gli recò un giorno una lettera senza, firma, in cui l’anonimo scrivente dopo aver tessuto le lodi del musicista gli chiedeva se, e per quale prezzo, egli sarebbe stato disposto a scrivere una Messa funebre. Mozart consentì per 50 ducati, senza accettare però una scadenza fissa per la consegna. Qualche giorno dopo il misterioso messaggero tornò con la somma richiesta, promise una maggiore a lavoro finito, assicurò il compositore che aveva piena libertà di seguire il proprio gusto, ponendo come, unica condizione che egli non cercasse mai di scoprire il nome del committente. Lo strano modo in cui gii fu commissionato il Requiem impressionò profondamente il musicista già ammalato e acuì tutti i presentimenti di morte, che da tempo ormai soleva esprimere, fino al punto da assumere l’aspetto d’una ossessionante idea fissa: per Mozart lo sconosciuto non poteva essere che un inviato dall’al di là che gli ordinava di scrivere la sua stessa Messa da Requiem. Il fatto che proprio nel momento in cui Mozart saliva in carrozza per recarsi a Praga (dove lo chiamava, l’incarico di comporre La clemenza di Tito) l’inquietante messaggero riapparve inaspettatamente per sollecitare la composizione, del Requiem, non fece che rafforzarlo nella sua credenza.
Solo dopo la morte di Mozart si doveva chiarire il mistero della strana commissione: il committente era il conte Franz Walsegg zu Stuppach, un dilettante che possedeva una Cappella privata nella quale soleva eseguire musiche che spacciava per sue, ma che in realtà erano composte da altri. Il Requiem era destinato a servire per le annuali funzioni in suffragio della sua defunta moglie. Egli stesso l’avrebbe poi copiato di proprio pugno, scrivendoci «composto dal Conte Walsegg». Nel dicembre del 1793 Walsegg diresse il Requiem nella chiesa cistercense dì Wiener Neustadt. Ma di tutto questo retroscena il povero Mozart era ignaro. Appena tornato da Praga si accinse febbrilmente alla composizione, interrompendola poi solo per finire Il Flauto magico. Ma le sue condizioni fisiche non gli dovevano permettere di condurlo a termine. Lo stato d’animo in cui egli lavorava al Requiem era tale che la moglie cercò di sottrargliene ia partitura ed anche i suoi amici tentarono di consigliargli il riposo per liberarsi dall’ìncubo che lo attanagliava.
Per rendersi conto della disposizione d’animo in cui lavorava, basta del resto, leggere questo passo di una lettera indirizzata presumibilmente a Lorenzo da Ponte: «Aff.mo.-Signore. Vorrei seguire il vostro consiglio, ma come riuscirvi? Ho il capo frastornato, conto a forza, e non posso levarmi dagli occhi l’immagine di questo sconosciuto! Lo vedo di continuo, esso mi prega, mi sollecita ed impaziente mi chiede il lavoro. Continuo perché il comporre mi stanca meno del riposo. Altronde non ho più da temere. Lo sento a quel che provo che l’ora suona; sono in procinto di spirare; ho finito prima di aver goduto del mio talento. La vita era pur sì bella, la carriera s’apriva sotto auspici tanto fortunati, ma non si può cangiare il proprio destino. Nessuno misura i propri giorni, bisogna rassegnarsi, ma sarà quel che piacerà alla provvidenza.. Termino ecco il mio canto funebre, non devo lasciarlo imperfetto».
Purtroppo, come dicevamo, questo canto era destinato a restare imperfetto. Fino all’ultimo Mozart lottò per strappare qualche giorno di vita che gli permettesse di portare, al termine il Requiem. Fino all’ultimo si faceva passare al pianoforte e cantare da allievi e amici le parti compiute. Non gli fu possibile che stendere la partitura, completa del Requiem iniziale e del Kyrie. Delle sette parti dal Dies Irae fino al Hostias sono scritte in partitura solo le parti vocali e il basso, mentre le parti strumentali sono, indicate sommariamente. Delle ultime tre parti non esiste nemmeno l’abbozzo autografo, né si sa se Mozart arrivò a tracciarle. Temendo che il committente non accettasse il manoscritto incompleto e pretendesse la restituzione degli anticipi ricevuti, la vedova di Mozart chiese ad altri musicisti (tra i quali J. Eybler) di finire il lavoro. Fu l’allievo di Mozart, Francesco Saverio Süssmayer, ad accettare l’incarico. La partitura ultimata fu consegnata al committente e la vedova di Mozart sostenne per molti anni che era stato Mozart a condurre a termine tutta l’opera.
Nel 1800 il Süssmayer scrisse una lettera all’editore Breitkopf coll’intento di «chiarire» la faccenda e asserendo di avere non solo completato la partitura delle sette sezioni dal Dies Irae al Hostias, ma di aver composto per intero la chiusa del Lacrymosa, il Sanctus, il Benedictus e l’Agnus Dei e d’aver ripreso il fugato del Kyrie sulle parole Cum Sanctis.

Wolfgang Amadeus Mozart

La maggioranza degli esegeti dell’ottocento non gli prestò fede, ed interpretò il suo atteggiamento come un disonesto tentativo di accrescere il proprio prestigio di compositore. In tempi più vicini a noi, invece, critici autorevoli quali l’Einstein si dimostrarono inclini a interpretare le asserzioni del Süssmayer come un atto, di «onestà» e di credergli sulla parola. In realtà ci sembra che non sarà mai possibile tracciare un netto confine tra le parti che sono sicuramente della mano di Mozart e quelle integrate dal Süssmayer: qui c’è realmente un velo di mistero che non potrà mai essere del tutto sollevato.
Comunque è da tener presente che il Süssmayer era stato uno dei più fedeli allievi di Mozart e gli fu accanto, giorno per giorno, fino al momento della morte. Pare che quando Mozart sentì che non sarebbe riuscito ormai a portare a termine il Requiem, abbia dato a Süssmayer istruzioni orali su come completare il lavoro, lasciandogli anche numerosi appunti, volanti. Süssmayer conosceva perfettamente le intenzioni del Maestro e godeva la piena fiducia di quest’ultimo tan’è vero che già in precedenza Mozart s’era fatto aiutare da lui nella composizione della Clemenza di Tito: molte arie di quest’opera furono orchestrate dal Süssmayer, il quale compose anche i recitativi secchi. La sua elaborazione del Requiem presta certo il fianco a taluni dubbi e riserve, ma in nessun caso essi arrivano a intaccare la solidità, del complessivo impianto mozartiano e a compromettere la validità di quello che resta uno dei più grandi capolavori della musica. Al Süssmayer va riconosciuto in ogni caso il merito di aver reso possibile l’inserimento del Requiem nella vita musicale.
Questo inserimento avvenne presto nella Germania dei Nord e si verificò nel resto del continente dopo una memorabile esecuzione che il Cherubini promosse a Parigi nel 1804. Da allora il Requiem si confermò come uno dei capolavori di maggior presa emotiva sugli ascoltatori. In cospetto del supremo momento della morte il diretto rapporto espressivo tra la dolorosa esperienza umana e la realtà sonora che nelle opere precedenti di Mozart era sovente messo come tra parentesi, acquista una tragica, immediata evidenza. Non era la prima volta che la meditazione sulla morte cui Mozart si abbandonava spesso fin dall’adolescenza, trovava un riflesso nella sua musica. Già nella Maurerìsche Trauermusik, scritta nel 1785 in occasione della morte di due fratelli massoni, un tale riflesso si concreta nel modo più diretto. Ma in quel lavoro lo sgomento della morte è attutito, se non dalla fede assoluta, da un senso di sublime, solenne, rassegnazione. Nel Requiem, invece, fin dell’«Exaudi » dell’Introito, la preghiera tende spesso a tramutarsi in ribellione assumendo così accenti di profonda drammaticità. Una drammaticità che risulta tanto più impressionante se la si proietta contro la sovrumana serenità che il genio trasfiguratore di Mozart era riuscito a realizzare in quasi tutte le sue musiche.
Non è che nel momento di comporre il Requiem, fosse venuta meno in Mozart l’istanza trasfiguratrice, la necessità di superare nella sua arte le contingenze della vita, di trovarvi oblìo e rifugio. Al contrario: questa necessità di evasione era tanto fote nel composito moribondo, che nello stesso anno in cui scriveva il proprio, lacerante canto funebre, egli dava voce ai moti d’animo, candidamente fanciulleschi, che si estrinsecano per esempio nel «Valzerino delle slitte» o in quello «del canarino». Nel Requiem stesso non mancano momenti di rassegnata accettazione e di trasfigurata calma: Ma essi non bastano a modificare il tragico significato di questo ultimo, dolente canto di Mozart.

Leonard Bernstein

L’autorità di Karl Bohm come direttore di Mozart non è mai messa in dubbio: ha registrato tutte le Sinfonie per la DG con la Filarmonica di Berlino negli anni ’60 e ne sono state registrate sei alla fine degli anni ’70, alla fine della sua carriera con la Filarmonica di Vienna. Questa registrazione video è stata realizzata nel dicembre del 1971 e mostra Karl Bohm in piena forma nonostante l’età. C’è una perfetta sintonia tra la Vienna Symphony Orchestra e il Coro dell’Opera di Stato di Vienna. Vi è sempre un solido controllo e non si spingono mai i tempi più velocemente di quanto debbano essere. Ascoltare il “Dies Irae” fa battere il cuore per l’estrema drammaticità e l’intensità del testo. Gli altri movimenti sono altrettanto coerenti e il canto solista è di un quartetto da squadra dei sogni: Gundala Janowitz, Christa Ludwig, Peter Schreier e Walter Berry: meraviglioso.
Il regista ha usato effetti di montaggio speciali per creare un diverso senso dello spazio, mostrando la direzione di Bohm sovrapposta al coro in alcune scene. La chiesa in cui è stato girato è molto bella, risalente al 1700, quindi la data dell’edificio corrisponde approssimativamente alla composizione di Mozart e non deve essere stata una scelta casuale. L’orchestra e il coro sono posti tra l’altare maggiore della chiesa e il santuario e c’è un bel crocifisso visibile, così come un manufatto in argento che ricorda i raggi del sole che escono da un cerchio centrale, che credo sia il tabernacolo in cui è custodito il pane consacrato.
Karl Bohm aveva 77 anni quando questo spartito è stato inciso. Credo che Bohm sia un direttore di Mozart migliore di Herbert von Karajan (1908-1989), anche se Karajan è più famoso e ha avuto più registrazioni negli Stati Uniti di Bohm. Karajan ha anche registrato il “Requiem” mozartiano almeno tre volte per DG durante l’era stereo, l’ultimo in audio DDD ma, secondo il mio modesto parere non ha mai raggiunto l’intensità di interpretazione di questo bellissimo spartito. Altamente raccomandato, se non imperdibile.

Karl Bohm