Mozart Wolfgang Amadeus

Symphonies-Ouvertures-Serenades

Registrazioni eseguite dal 1954 al 1965 e rimasterizzazione effettuata nel 2013. Audio ottimo. Altamente raccomandato.

Fra i grandi direttori della sua generazione – a parte Böhm, la cui integrale risale comunque a parecchi anni dopo – Klemperer è stato quello che ha avuto in repertorio il maggior numero di sinfonie mozartiane: ben undici, praticamente tutte le grandi, di varie delle quali ci ha lasciato più incisioni.
Quando, agli inizi degli anni sessanta, apparve la sua Haffner, Deryk Cooke, il musicologo passato alla storia per aver completato la Decima di Mahler ma anche per le sue mirabili analisi dei quartetti di Beethoven, non ebbe esitazioni a salutarla come la migliore versione di questa sinfonia che sino allora fosse apparsa in disco.
Sarebbe forse stato più prudente accostarle perlomeno a quelle diretta da Bruno Walter, pubblicate poco tempo prima: sta di fatto, in ogni caso, che le letture mozartiane dei due direttori incarnano due perfezioni di tipo diverso: si potrebbe quasi dire la perfezione del passato e quella del futuro. Sintomatico un aneddoto che pare si riferisca proprio al primo tempo della Haffner: si racconta che Klemperer, nell’assistere a una prova di Walter (se non addirittura a un concerto), non abbia potuto fare a meno di sbottare “ma perché?” di fronte a un rallentando non previsto in partitura. E appunto in quel “perché” sta la sintesi della sua concezione interpretativa, intesa a mettere in risalto tutte le sfumature espressive e dinamiche di ogni composizione senza ricorrere a superflue alterazioni del tempo base. Per usare ancora le parole di Cooke, “quando Klemperer individua un tempo che si confaccia a lui e alla musica, ne risulta una perfetta esattezza dell’articolazione ritmica, in cui sta il vero e proprio fondamento delle sue interpretazioni”.
Questa felice sintesi di rigore ed elasticità fa sì che le letture di Klemperer si presentino come una sorta di avamposto dell’interpretazione mozartiana moderna, che negli anni immediatamente successivi avrebbe toccato altre tappe decisive con le prime grandi incisioni di Karajan e di Bernstein (soprattutto con quest’ultimo le affinità sono veramente notevoli: si confrontino i rispettivi primi tempi della K. 550).
Uno degli esiti interpretativi di maggior rilievo deve sicuramente vedersi nella sinfonia n. 38, dove già la sonorità vellutata dell’accordo iniziale è sufficiente a preannunziarci che ci troviamo di fronte a una Praga inusuale, per così dire intima, fatta di screziature e di mezzetinte, viva e articolata in ogni dettaglio, agli antipodi di quella sinfonia monumentale tutta d’un pezzo che troppi interpreti anche illustri la condannano ad essere.
Fortemente interiorizzata, e proprio per questo più intensa che mai, è anche la drammaticità della n. 40, felicissima nelle soluzioni timbriche e nella scelta dei tempi, che non sono né lenti come in Krips né frenetici come in Furtwängler: il punto di maggior concitazione, curiosamente, non viene toccato nel finale bensì nel minuetto (del resto, in Klemperer tutti i minuetti mozartiani si segnalano per dinamismo e senso dei contrasti, più che mai agli antipodi di quelli moderati e ariosi di Walter).
Un’altra sinfonia la cui visuale interpretativa si fa conoscere sin dall’accordo iniziale è la n. 39, la più multiforme che Mozart abbia composta: qui tanto simile alla Praga per varietà e sottigliezza di sfumature quanto insolitamente divergente per clima espressivo, concepita com’è nel segno della pienezza sonora e di un energico e caloroso dinamismo cavalleresco che si comunica anche alle parti lente (si consideri la particolare fluidità che acquisisce l’adagio introduttivo, pur senza nulla perdere della sua grandiosità). Mentre la Jupiter, piuttosto moderata nei due primi movimenti, si fa più tesa ed animata, al solito, nel minuetto, per culminare in un finale che non potrebbe essere più trionfale, e che qui più che mai si fa percepire come autentico apogeo dell’avventura sinfonica mozartiana.
Una lietissima sorpresa è anche la n. 36, scattante e trasparente, decisamente agli antipodi dello stereotipo di un Klemperer lento e pastoso (è anche una delle poche dove vengano realizzati quasi tutti i ritornelli: mancano solo il secondo del finale e il da capo del Poco adagio).

Otto Klemperer – New Philharmia Orchestra

Tra i lavori giovanili, il più congeniale al maestro di Breslavia è sicuramente la sinfonia n. 29, al cui mondo incantato egli sa infondere un fraseggio ideale e una straordinaria luminosità: l’unico primato che non si aggiudica è quello della leggerezza, che compete probabilmente all’incisione coeva di Karajan. Notevoli anche le n. 33 e 34, dove i tempi relativamente moderati accentuano l’effetto dei crescendi; anche se bisogna riconoscere che in questi capolavori della prima maturità viennese, così come nella n. 25, la lettura di Böhm rimane probabilmente ineguagliata.
Onnicomprensivo o quasi come prevede l’impostazione della collana, l’album presenta diverse sinfonie in doppia versione, e comprende inoltre sei ouvertures (tutte quelle delle grandi opere), l’Adagio e fuga in do minore, la Musica funebre massonica e perfino le cinque più celebri serenate, un genere in apparenza lontano dalla personalità austera che si è soliti accreditare a Klemperer. Va da sé che, fra di esse, offra i più interessanti spunti di ascolto la “Gran partita” per fiati K. 361, dove nelle forme della serenata si insinua spesso una sensibilità timbrica di stampo romantico, e che non a caso aveva già trovato un altro interprete d’eccezione in Furtwängler.