Niccolò Paganini

Concerto per violino e orchestra n. 5

Ascoltare il Concerto n. 5 di Paganini è stata una delle scoperte più eccitanti di tutti i manoscritti di cui sono a conoscenza. I primi quattro concerti paganiniani sono tutti nello stesso stile ma con melodie diverse, il 5° è diventato il mio preferito. L’apertura è una marcia trionfale, aperta da uno splendido tema principale, come se un eroe di guerra fosse tornato a casa dopo aver vinto una battaglia. Poi arriva il secondo tempo ed è il miglior movimento lento di tutti i concerti di Paganini, con la sua melodia raffinata ed emozionane. Il terzo movimento rappresenta, secondo il mio modesto parere, il più bel rondò composto dall’autore. Pizzicati, scale cromatiche ascendenti e discendenti al limite d’esecuzione, violenti contrasti tra orchestra e solista, per citare solo alcuni aspetti, fanno di questo concerto lo zenit paganiniano.
L’esecuzione di Accardo è la più fluida, la più umana, la più lirica e virtuosistica che ci sia. La qualità della registrazione è sorprendente. Imperdibile! Registrazioni eseguite dal 1974 al 1976 e rimasterizzazione effettuata nel 1988.

Paganini: concerto per violino n. 5 – La Primavera – Maestosa Sonata sentimentale

Serie di variazioni sull’Inno imperiale Gott erhalte Franz den Kaiser (“Dio protegga Francesco Imperatore”), la Maestosa Sonata sentimentale è un omaggio di Paganini alla nazione austriaca che tanto successo e onore gli aveva tributato, mostrando tra l’altro una predilezione entusiasta per i lavori sulla sola quarta corda.
Come questa “novità” che il Violinista propose all’Hoftheater il 27 quindi il 30 giugno 1828 nel suo penultimo concerto viennese; mentre l’Inno da cui prese le mosse era stato impiegato da Haydn nel Poco adagio. Cantabile (Tema con quattro variazioni) del Kaiserquartett in do maggiore per archi. Analogia forse casuale, anche qui le variazioni sono quattro. Il brano fu particolarmente caro all’autore che lo propose ripetutamente nei vari luoghi del gran tour concertistico europeo 1828-1834. E in effetti, al di là delle dimensioni più ampie (i due episodi introduttivi), si tratta di un lavoro felice nel dato virtuosistico (certo preponderante ma senza estremi clowneschi) come in quello musicale, dove l’estro si sposa alla finitezza del particolare e ad un equilibrato respiro architettonico con l’orchestra trattata in modo meno convenzionale e pratico che negli altri cicli di variazioni.
Così nella terza variazione, Più lento, pagina singolarissima ed “eccezionale” nel panorama paganiniano, alle tinte sideree del violino si uniscono due flauti e un clarinetto, ognuno con una parte indipendente, in un libero contrappunto timbrico-melodico di sospesa e astrale bellezza sottolineato dalle battute d’aspetto di tutti gli altri strumenti e dal diverso ambiente tonale: do maggiore di contro al mi maggiore del Tema (Inno, Andante, Larghetto cantabile) e delle altre tre variazioni, sino alla quarta dove il violino, sul cavalcare in contrattempo dell’orchestra, emblematizza l’Inno austriaco in una trascinante apoteosi sonora.

Il Concerto n. 5 in la minore, l’ultimo del catalogo paganiniano, è in realtà il sesto se si considera quel giovanile Concerto in mi minore tornato alla luce solo nel 1972.
Completato nei suoi ultimi anni quanto alla parte solistica, il Concerto in la ci è giunto privo dell’accompagnamento orchestrale, mai composto o meglio limitato a sporadiche e non sempre chiare annotazioni sulla parte del “Violino principale”, che come sempre porta anche la linea melodica del “tutti” e che servì a Giusto Dacci per un accompagnamento di pianoforte redatto su richiesta di Achille Paganini dopo la morte del padre. Del manoscritto si è servito Federico Mompellio per comporre una sua orchestrazione portata a termine nel 1959 su commissione dell’Accademia Chigiana di Siena che il 13 settembre di quell’anno curava la prima esecuzione assoluta del Concerto.

Franco Gulli

Nell’ampio Allegro maestoso d’apertura il primo tema è preso a prestito dall’idea che apre la “Sonata Varsavia” dell’anno precedente e ha respiro ampio come quello del Concerto in re minore n. 4. Così il secondo tema, d’un lirismo intenso e sensuale della sua cedevolezza cromatica che il violino abbraccia partecipe. Al bando gli accenti operistici, meno plateale del solito anche l’elemento trascendentale, certo ben presente nel ponte di bravura fra il primo tema e il successivo come nell’appendice acrobatica del secondo tema che quel ponte richiama anche nell’impiego delle terze, ma più spesso subordinato all’elemento musicale. Tanto che quest’ultimo è l’aspetto di punta del Concerto: il migliore in assoluto dei sei per unitarietà, ricchezza armonica e di scambi tonali, ampiezza e peso specifico dei temi, lo sfuggire ad una teatralità prevedibile, il puntare su “cadenze” strumentali e non vocaleggianti.
Così, coerentemente, lo sviluppo ha per davvero carattere elaborativo e non è il pretesto di sempre, o quasi, per dimostrazioni di bravura, tanto da rinunciare all’abituale codetta funambolica di completamento sostituita da un episodio lirico di raccordo alla ripresa del secondo tema. Appunto la prosecuzione del discorso iniziato con il Concerto in re minore è il sintomo di una maturazione compositiva, stimolata dalle esperienze del viaggio europeo, che l’esteriore rilievo e la logorroica attitudine, pur corretta dal tono umoristico, in certe variazioni di bravura coeve (ad esempio il Carnevale di Venezia) sembrerebbero contraddire.
Anche l’Andante, un poco sostenuto, in mi minore, con le sue dimensioni allargate, è più ricco di trapassi e chiaroscuri, più elaborato e “aperto” degli Adagi precedenti.
Mentre, consuetamente, il Rondò. Andantino quasi Allegretto è una via di mezzo fra quello cardine de “La Campanella” (per carattere) e l’altro del Concerto in re minore (per specifici spunti esecutivi) che a sua volta si rifaceva alla “Campanella” nello spirito della parodia.

Con il “Balletto campestre”, la Sonata La Primavera in la maggiore, dello stesso 1838 e anch’essa composta a Parigi, è in coda all’arco creativo paganiniano. Così, a dispetto del titolo che specchia la gentilezza melodica e d’accenti di tutto il brano (incluso il virtuosismo di ardue ma freschissime variazioni) e richiama quello di una celebre Sonata per violino e pianoforte di Beethoven, il lavoro si pone come un frutto estremo d’autunno, anzi dell’inverno di Niccolò, con la significativa mancanza degli accompagnamenti orchestrali (solo occasionali promemoria senza seguito sulla parte del solista).
Il componimento presenta numerosi riferimenti a Capricci e Concerti. Apre su un Andante sostenuto e prosegue con l’effusivo Larghetto del solista (Cantabile amoroso) subito sottoposto ad una variazione per così dire “fuori programma” dove il tema del Larghetto è ripreso in “tremolo con la sinistra unito alla melodia” e presto intervallato a “pizzicati”, “saltati” e “gettati”, poi ripreso in “flautati” doppi e frammisto ad altre soluzioni acrobatiche.
Un Recitativo brillante (un po’ nei modi del Capriccio n. 5) porta al Tema gentile, Andante, ritmico ma fedele al suo appellativo e che risulta derivare direttamente dal Ritornello del Rondò nel Concerto n. 4: là in re minore e in 6/8, qui in la maggiore e in 3/4. Su questo Tema quattro variazioni, la 1a a quartine, la 2a che alterna passaggi con l’arco “saltato” a “pizzicati” e “armonici “e porta al centro ottave legate con epilogo cromatico, la 3a in minore (vi compare uno spunto mozartiano pur “trasformazione” del Tema gentile, e il secondo tema del Concerto n. 5) e la 4a in arpeggi “balzati” col tema cantato in orchestra.
Sino al Finale (Più Presto): l’ultimo, scatenato scorcio de virtuosité prima che cali il sipario e scenda il silenzio.

Alberto Cantù dell’Istituto di Studi paganiniani di Genova

Quinto Concerto per violino e orchestra in la minore

In un manoscritto paganiniano è contenuta la parte solistica di un Concerto in la minore per violino e orchestra indicato come Quinto e composto pertanto, se realmente fu creato dopo gli altri quattro, non prima dell’inverno 1830. La parte orchestrale non ci è pervenuta e forse non è stata scritta; ma un accompagnamento per pianoforte, approntato dal maestro Giusto Dacci per incarico del figlio di Paganini, Achille, è conservato in manoscritto presso la Società Filarmonica di Trento. Utilizzando questo materiale e rifacendosi all’organico usato da Paganini in altri lavori, il musicologo Federico Mompellio ha elaborato per conto dell’Accademia Chigiana di Siena un accompagnamento orchestrale. Il Concerto è stato così presentato il 13 settembre 1959 a Siena sotto la direzione di Luciano Rosada e con la partecipazione del violinista Franco Gulli. Lo stesso Gulli ha portato il pezzo in varie città d’Europa e lo ha anche inciso in disco con l’Orchestra da Camera dell’Angelicum di Milano.
Dei tre tempi in cui il Concerto si articola, l’Allegro maestoso è impiantato su un primo tema che deriva da quello delle Streghe e su un secondo tema cantabile in maggiore. L’emozione musicale si concentra poi particolarmente nell’Andante un poco sostenuto. Infine, il Rondò ha come ritornello una argentina melodia, che si alterna con strofe in cui è realizzato un vivace gioco ritmico.

Maestosa Sonata Sentimentale in do minore – mi maggiore

La composizione della Maestosa suonata sentimentale risale al soggiorno viennese del 1828, durante il quale Paganini non solo riscosse il solito grande successo con le sue esibizioni, ma vide addirittura scatenarsi forme di fanatismo che lo trasformarono nell’idolo dei viennesi: in città tutti si misero a imitare la sua pettinatura, la foggia dei suoi guanti e dei suoi cappelli, e persino le pasticcerie di Vienna prepararono dolci “alla Paganini”. Dall’imperatore Francesco I, il violinista italiano ebbe la nomina a “Virtuoso di camera», con tanto di munifico regalo; in segno di riconoscenza Paganini compose una serie di variazioni sull’inno imperiale Gott erhalte Franz den Kaiser (Dio salvi l’imperatore Francesco), che eseguì all’Hoftheater il 30 giugno.
Il ciclo di variazioni sull’inno asburgico sono basate su un accorgimento tecnico che Paganini sfruttava abilmente durante le sue esibizioni: il brano, infatti, è interamente suonato sulla quarta corda, la più grave del violino (la cui accordatura può essere innalzata fino a una terza maggiore).

Niccolò Paganini

Sin dagli inizi della sua carriera concertistica, suonare sulla quarta corda – moltiplicando così le difficoltà tecniche – era uno degli espedienti preferiti da Paganini per destare la più grande meraviglia negli spettatori, increduli che un essere umano potesse eseguire, suonando in quel modo, i passi violinistici più funambolici. Dopo aver assistito a un’esibizione del violinista italiano alla Scala nel 1813, Pietro Lichtenthal (corrispondente milanese dell’Allgemeine
musikalische Zeitung) scriveva che «le sue variazioni sulla quarta corda (che a causa dei bis richiesti a gran voce egli replicò) meravigliarono tutti perché nulla di simile era mai stato ascoltato».
La Maestosa suonata sentimentale è divisa in due parti distinte: la prima (Introduzione) è un ampio brano nella libera forma di una fantasia, priva di relazioni con il tema dell’inno sottoposto a variazioni nella seconda parte. Dopo un’enfatica introduzione orchestrale (Maestoso) il violino solista fa il suo ingresso, con incisi rapsodici nello stile di un recitativo d’opera; si abbandona poi alle effusioni liriche di una melodia ampia e ben sviluppata, che ricorda una romanza vocale. Un’altra sezione, in tempo più mosso (Allegro agitato), è strutturata nello stesso modo: alcune battute nello stile improvvisatorio di un recitativo, poi un nuovo tema di natura vocale. Per concludere, una sezione dal ritmo scandito e dal carattere brillante.
Paganini attinse il tema dell’inno imperiale, solenne e composto, dal Quartetto in do maggiore op. 76 n. 3 (Kaiserquartett) di Haydn, che l’aveva sottoposto anch’egli a una serie di variazioni. Malgrado si limiti alla sola quarta corda, Paganini trae dal violino una gamma timbrica incredibile. Particolarmente suggestivo è l’effetto coloristico, delicato e trasparente, della terza variazione, nella quale il violino esegue la sua linea utilizzando gli armonici in contrappunto con due flauti e un clarinetto. Grande effetto produce anche la quarta variazione, in cui il ritmo sincopato dell’orchestra accresce l’enfasi trionfale dell’inno.
Com’era prevedibile, la nuova composizione paganiniana riscosse il più ampio successo presso la corte e i viennesi. Così se ne scrisse nel locale giornale teatrale, la Theaterzeitung: “in presenza della famiglia reale, Paganini attaccò l’inno Dio salvi l’Imperatore, facendo risuonare questa nobile melodia nelle più flebili ed eteree vibrazioni e nelle magiche risonanze, come la più pura armonia celeste per poi trasformarla, impersonando da solo con forza trascinante un’intera orchestra, in un vero inno di giubilo di tutti i popoli».