Rimsky-Korsakov Nicolaj

Scheherazade

Ernest Ansermet aveva un’affinità particolare con questo repertorio e la musica davvero caratteristica dell’Orchestra de la Suisse Romande (OSR) rende questa performance accattivante e memorabile. Ansermet e l’OSR mettono in risalto ogni sottigliezza dell’orchestrazione. Godetevi quest’antologia meravigliosamente vivida. È obbligatorio, secondo il mio modesto parere. collocare questi due CD nella vostra collezione. Registrazioni eseguite dal 1958 al 1963 e rimasterizzazione effettuata nel 1994. Nonostante la datazione l’audio, come di consueto in casa DECCA, è di altissima qualità. Imperdibile. Buon ascolto a tutte e tutti voi…

Nikolaj Rimski-Korsakov (1844-1908) raggiunse una straordinaria varietà musicale impiegando mezzi relativamente limitati, ed è sufficiente gettare uno sguardo alle opere liriche di questo compositore per apprezzare la sua maestria in campo drammatico, lirico, epico ed anche nel fantastico. La sua abilità non era affatto limitata all’orchestrazione: al contrario, egli era uno di quegli artisti che ebbero il talento per creare un proprio “mondo”, che nel caso suo era a metà tra la realtà e la magia, un mondo abitato principalmente da burattini e da figure mitologiche che però potevano essere toccate da sentimenti genuini.

Le Mille e una notte erano già popolari in Russia quando, nel 1888, Rimski- Korsakov scelse quattro dei suoi migliori racconti come base per una suite sinfonica. In una prefazione alla partitura originale egli delineò la famosa favola: tradito dalla prima moglie, il sultano Schariar decide di vendicarsi delle donne in generale, sposando e giustiziando ogni giorno una donna nuova. Tocca quindi a Shéhérazade, la quale riesce però a salvare la propria vita narrando al sultano ogni sera favole e racconti pieni di avventure, interrompendo la storia nei momenti di grande tensione e costringendo così il marito a supplicarla di continuare la sera dopo. Essa continua la narrazione per 1001 notti, durante le quali inoltre gli dimostra il proprio amore dandogli tre figli. Alla fine il sultano le concede la grazia.

Notte di maggio è basata su un racconto di Gogol. La storia è ambientata in una comunità rurale dell’Ucraina: Levko, figlio del sindaco, vorrebbe sposare Hanna, la bellezza del villaggio, ma il padre di lui è contrario al matrimonio. Più avanti nell’opera Levko conquista il favore di Pannochka, Regina delle Ninfe dell’acqua, sconfiggendo le macchinazioni della sua cattiva matrigna; la regina lo ricompensa facendo giungere al sindaco l’ordine – da parte del governatore del distretto – di approvare il matrimonio con Hanna.

La Fiaba dello zar Saltan (1899-1900) è ispirata da una poesia di Puskin. Nel 1903 il compositore derivò dall’opera una suite in tre movimenti: nel primo, lo Zar si congeda della sua giovane sposa e parte in guerra. Mentre è assente nasce un figlio, il principe Gvidon: ma le due maliziose sorelle della Zarina inviano un messaggio al sovrano avvisando che è nato un mostro. Lo Zar ordina che il bambino venga rinchiuso in una botte e gettato in mare. Nel secondo movimento viene rappresentata inizialmente la botte che galleggia ondeggiando sulle acque, e quindi la crescita miracolosamente rapida di Gvidon che avviene a vista d’occhio “non solo di giorno in giorno, ma di ora in ora” (accompagnata da sonore frasi sussultanti dei legni nel registro acuto e negli archi). Madre e figlio (ormai divenuto adulto) approdano a un’isola. Gvidon salva un cigno minacciato da un nibbio, che in realtà è uno stregone camuffato. Il cigno si rivela una principessa: in segno di gratitudine essa crea per lui una splendida città di cui egli sarà signore. Desideroso di vedere la corte di suo padre, Gvidon viene trasformato in calabrone e spicca il volo, accompagnato dal famoso passaggio musicale che è divenuto il brano più noto dell’opera.

Col tempo lo Zar si lascia convincere a varcare l’oceano per vedere le tre meraviglie dell’isola di Gvidon, soltanto per scoprire al suo arrivo ch’egli è suo figlio; tra i due avviene una grande riconciliazione.
Nel terzo movimento della suite, dopo una fanfara vengono presentate le tre meraviglie: uno scoiattolo che, fischiettando un motivo popolare, rompe dei gusci d’oro contenenti noci di smeraldo; quindi trentatré giovani e avvenenti guerrieri naufragati sulla riva; e infine la Principessa Cigno in persona, la cui bellezza fa offuscare persino il sole. La suite conclude col il ritorno del motivo della fanfara: se all’inizio era stata impiegata come il “c’era una volta” della favola, essa suggerisce ora che la coppia “visse per sempre felice e contenta”.

Rimski-Korsakov non dimenticò mai il suono delle campane del monastero di Tikhvin che aveva sentito da bambino echeggiare verso casa dall’altra parte del fiume. Da piccolo era rimasto incantato anche dal fervore e dalla risonanza della Pasqua ortodossa, il culmine dell’anno liturgico, e nel 1888 scrisse l’ouverture La grande Pasqua russa su temi liturgici tratti dall’Obikhod (la raccolta dei cantici più importanti), incorporando con notevole effetto anche l’aspetto “leggendario e pagando” della Pasqua.
Vigilia di Natale (1894) è basata su un breve racconto di Gogol che aveva già ispirato Ciaikovski a scrivere un’opera (Vakula il fabbro). La storia – a metà tra il comico e il fantastico – narra della vita in un villaggio dell’Ucraina durante il 18o secolo: l’eroe, il fabbro del villaggio, conquista la sua sposa volando a Pietroburgo sulle spalle del diavolo per procurarsi e regalarle le pantofole dell’imperatrice Caterina; la suite orchestrale rappresenta il viaggio avventuroso a palazzo imperiale. Alla fine Vakula ritorna – sempre in volo – e quando atterra nel suo villaggio è l’alba del giorno di Natale.

Dubinuska non appartiene al mondo della fantasia bensì a quello assai reale della politica. Nella primavera del 1905 quando a Pietroburgo stava per scoppiare la rivoluzione, gli studenti del conservatorio di musica (dove Rimski- Korsakov era professore) svolsero un ruolo decisivo nei disordini. Quando il direttore minacciò di far intervenire la polizia, Rimski-Korsakov si schierò dalla parte degli studenti, col risultato che fu licenziato dalla sua posizione (anche se venne riassunto più tardi); come gesto di sfida scrisse un brillante arrangiamento orchestrale della canzone rivoluzionaria Il piccolo bastone di quercia.
Il “quadro musicale” Sadko risale a parecchi anni prima, al 1892, ed è basato sull’antica leggenda epica di Sadko, menestrello di Novgorod diventato ricco mercante, che naviga per i mari sul proprio vascello. Abbonacciato dal Re del mare, il quale vuole che Sadko suoni per lui nella sua corte, egli viene gettato in mare. Ma la musica di Sadko fa danzare tutte le creature del mare scatenando una terribile tempesta, che viene calmata soltanto quando San Nicola libera Sadko restituendolo alla sua città natale.

Nikolaj Rimsky-Korsakov

Il primo compositore a scrivere musica per il dramma fantastico di Ostrovski La fanciulla di neve era stato Ciaikovski (1873): più o meno nello stesso periodo lo lesse anche Rimski-Korsakov, senza rimanerne impressionato.
Tuttavia, ritornandovi nel 1880, si rese conto della sua “meravigliosa bellezza poetica” e volle immediatamente scrivere un’opera su questo soggetto; il risultato rende pienamente giustizia alla sua visione.

Traduzione: DECCA 1994

Scheherazade suite sinfonica op. 35

“Il popolo compone, noi ci accontentiamo di elaborare”. In questa frase che Nicolaj Rimsky-Korsakov soleva ripetere, è forse racchiusa l’essenza di tutta la sua vita di musicista.
Nato a Tichvin nel 1844 apprende dai genitori i primi rudimenti musicali che sviluppa con studi molto irregolari. Avviato alla carriera della Marina Russa a Pietrogrado secondo la tradizione familiare, conosce nel 1861 Milij Balakirev che gli impartisce regolari corsi di composizione. Nel 1862 Balakirev fonda la Scuola di Musica gratuita e lo introduce nel Gruppo dei Cinque. Nel 1871 ottiene la nomina di insegnante di composizione al Conservatorio di Pietroburgo ed abbandona definitivamente la carriera della marina. Dal 1866 al 1900 dirige i Concerti sinfonici russi e nel 1905 per aver appoggiato i moti degli studenti democratici e rivendicato l’autonomia del Conservatorio dal controllo della Società di musica imperiale, viene sospeso dall’insegnamento. La sua battaglia si conclude comunque con successo e può riprendere continuandola fino alla morte, la sua attività di insegnante avendo tra i suoi allievi Glasunov, Liadov e Stravinsky. Intorno al 1860 Balakirev e Cui fondano il Gruppo dei Cinque insieme a Musorgskij, Borodin e Rimsky-Korsakov con lo scopo di dar vita ad una musica di carattere russo libera dalle convenzioni accademiche e dagli influssi occidentali imperanti nella società aristocratica del tempo. In questo ambito trova spazio lo spirito rivoluzionario di Rimsky- Korsakov nei confronti della cultura accademica e la sua contrastante necessità di professionalità che dopo accurati studi di composizione lo portano a diventare uno strumentatore di capacità sbalorditiva, diventando una specie di consulente tecnico del Gruppo.
È nella fiaba (nella bylina russa), nella possibilità di rivestirla dei colori di quel tessuto orchestrale vivido e brillante, pieno di impasti sonori opulenti e ricchissimi che Rimsky-Korsakov trova il suo spazio vitale, la sua ragione profonda di musicista. Korsakov usa però la fiaba anche per dire altro, per gettare luce sul quel difficile trapasso storico che lo vede a fianco degli studenti del Conservatorio durante quei primi moti del 1905. Durante il suo lavoro di revisione del Principe Igor di Borodin nell’inverno del 1888, sente il desiderio di comporre un suo brano di ispirazione orientale. La giusta occasione gli viene dalla raccolta delle “Mille e una notte” che erano state tratte dall’arabista francese Jean-Antoine Galland (1646-1715) da uno sperduto manoscritto trovato in una biblioteca araba ed integrate da altre favole tratte dalla tradizione orale locale.
La raccolta narra come è noto, del sultano Sahriar che ha giurato di far uccidere ciascuna delle sue mogli dopo che avrà trascorso la prima notte con lui. Sheherazade figlia del gran visir, eccita il suo interesse con i racconti che gli narra durante mille e una notte; il sultano rimanda l’esecuzione di giorno in giorno, finché lascia cadere il suo crudele proposito.
Così nasce la suite sinfonica “Sheherazade” che è tra le pagine più significative e brillanti del compositore russo.
Il brano di Rimsky-Korsakov è liberamente ispirato ad alcuni episodi della raccolta come lui stesso precisa nelle sue memorie: “Il programma che mi ha guidato nella composizione di Sheherazade consiste in episodi separati e senza alcun legame tra di loro: il mare e il vascello di Sinbad, il racconto fantastico del principe Kalender, il figlio e la figlia del re, la festa di Bagdad e i vascelli che si infrangono su una roccia. Il legame è costituito da brevi introduzioni alla prima, alla seconda e alla quarta parte e da un intermezzo nella terza scritti per violino solo, che rappresentano la stessa Sheherazade mentre narra al terribile sultano i suoi racconti meravigliosi”. Il tema di Sheherazade in contrapposizione a quello del sultano, torna effettivamente in modo ricorrente in tutto lo sviluppo del brano come elemento di raccordo a tutte le immagini caleidoscopiche che si susseguono in uno scintillio di colori che vogliono richiamare l’atmosfera orientale.
Ancora Rimsky-Korsakov ci precisa che intende dare all’ascoltatore: “l’impressione netta che si tratta di un racconto orientale, e non solo di quattro pezzi suonati l’uno dopo l’altro su temi comuni”.

Il mare e la nave di Sinbad

Il primo movimento inizia con la presentazione dei due temi (ovvero dei due personaggi) principali. Il tema del sultano Sahariar (largo e maestoso), imperioso e gravido di minaccia è affidato a un pesante unisono degli strumenti gravi dell’orchestra. Preceduto da alcuni accordi lievi dei legni, il tema di Sheherazade (lento) si presenta invece sinuoso e sensuale: è un arabesco del violino solo sostenuto dagli accordi dell’arpa, nel tempo libero di un recitativo. I temi dei due protagonisti formano l’ossatura della successiva esposizione. La prima parte (allegro non troppo) è fondata sul tema del sultano che con successive aggiunte strumentali ed un continuo crescendo portano ad un punto culminante che trova sfogo in un nuovo tema di carattere contrastante (tranquillo). Questa nuova sezione che funge da transizione al secondo tema, ha un carattere statico: un sottofondo del violoncello solo sostiene il dialogo cameristico dei legni; fra gli arabeschi del flauto e dell’oboe si inseriscono i lontani richiami del corno che accenna il tema del perfido sultano.

Ernest Ansermet

Nella seconda parte ritroviamo il tema di Sheerazade suonato in una versione ritmica rigorosa prima dal violino solo e poi da tutta l’orchestra. Al culmine del fortissimo inizia la ripresa nella quale torna la minaccia del sultano questa volta strettamente intrecciata con il tema di Sheherazade. Al termine della ripresa risuona nuovamente il tema del sultano (tranquillo): da imperioso il tema si fa ora morbido e melodicamente espansivo. Le volute melodiche dei legni sorrette da un sottofondo dei bassi, ci conducono alla conclusione del movimento quasi a voler sottolineare la metamorfosi dell’autoritario personaggio. Col suo racconto, Sheherazade ha saputo stornare il sultano dal suo truce proposito.

Il racconto del principe Kalender

Il secondo movimento che è ispirato dal racconto del principe Kalender, si distingue per la vivace contrapposizione di temi e momenti contrastanti. Il brano inizia con il racconto di Sheherazade con il suo tema sinuoso suonato dal violino solo. Il tema principale (andantino) è esposto dal fagotto sostenuto dalle
note lunghe ed immobili di quattro contrabbassi. Il tema (Rimskij-Korsakov precisa in partitura “capriccioso, quasi recitando”) malinconico e di spiccato sapore orientale, è ripreso prima dall’oboe e poi dagli archi. Il tema di Sheherazade (più tranquillo) esposto da vari strumenti interviene a rasserenare l’ambiente chiudendo la prima parte del movimento. Uno stacco brusco segna l’inizio della seconda parte (allegro molto): entra in scena un nuovo tema assai vigoroso ed imparentato con quello del sultano. Questo tema presentato dall’alternarsi di un trombone e di una tromba è ripreso gradatamente da tutta l’orchestra che lo porta quasi al parossismo. A questo punto un improvviso cambio d’atmosfera (moderato assai) introduce il clarinetto che si produce in una cadenza morbida e flessuosa riprendendo figure melodiche tratte dal tema di Sheherazade, sostenuto dall’accompagnamento sommesso degli archi pizzicati. Interviene nuovamente il tema imperioso (allegro molto) che è sviluppato in un ampio episodio in cui la strumentazione di Rimsky-Korsakov produce un effetto quanto mai caleidoscopico. Il fagotto (moderato assai) riprende la cadenza del clarinetto con un’appendice (allegro molto ed animato) nel dialogo suggestivo dei legni in cui i vari strumenti si rilanciano l’un l’alto le figure melodiche. La ripresa della prima parte (con moto) fornisce l’occasione di sottoporre a metamorfosi inedite il materiale tematico: il tema principale ed i motivi delle cadenze vengono nuovamente strumentati e variati, quasi a suggerire i colori cangianti di una città araba affollata e vivace. Nella coda (poco meno mosso) i temi principali risuonano tranquilli e distesi in una strumentazione cameristica. Prima di dare avvio al crescendo finale i bassi pizzicati fanno udire il tema del sultano il quale ha di nuovo rinunciato ai suoi propositi, affascinato dal racconto di Sheerazade.

Il giovane principe e la giovane principessa

Il tema lirico e arioso, dall’andamento leggero di valzer, (Andantino quasi allegretto) affidato prima agli archi e ripreso poi dall’oboe dal corno inglese e dal clarinetto è caratterizzato dalle volate leggere dei legni (prima il clarinetto poi il flauto). Dopo una sezione di transizione entra il secondo tema (Pochissimo più mosso). Il clarinetto sviluppa un motivo grazioso, quasi danzante sull’ostinato ritmico del tamburo che scandisce il tempo d’una marcia militare. Nella ripresa dopo che la sonorità degli archi ha riportato in scena il primo tema, ricompare improvviso il tema di Sheherazade prima con l’oboe e poi col violino solo sugli accordi dell’arpa. Questa sorta di intermezzo prosegue con una nervosa cadenza del violino, al quale si associa l’orchestra (Allargando assai) con ampi glissati dei legni e dell’arpa. La ripresa quindi riprende il suo regolare percorso sino alla coda conclusiva.

Festa a Bagdad – Il mare – Naufragio della nave sulle rocce sormontate da un guerriero di bronzo

L’inizio dell’ultimo movimento (allegro molto) alterna il tema del sultano, il tema di Sheherazade al violino solo (lento), il tema del sultano fattosi di nuovo nervoso e minaccioso, elaborato dall’orchestra (allegro molto e frenetico) e nuovamente il tema di Sheherazade al violino solo (lento). L’esposizione attacca con un ostinato ritmico delle viole (vivo) sul quale il flauto presenta il primo tema rapido e vorticoso. Il secondo tema è identico al secondo tema del terzo movimento. Appoggiato sul solito ostinato ritmico è esposto dal flauto e dal clarinetto e ripreso poi da tutta l’orchestra. Dopo un episodio conclusivo dell’esposizione abbiamo lo sviluppo dei temi ascoltati. Fanno ritorno temi e frammenti di motivi dei movimenti precedenti della suite: l’accostamento rapido di temi ed episodi diversi, in un ritmo animato ed in combinazioni timbriche sempre nuove, restituisce perfettamente l’atmosfera festosa cui il movimento s’ispira. Nella ripresa la dinamica continua a crescere gradualmente e la frenesia ritmica giunge al massimo. In fase di epilogo (allegro non troppo e maestoso), ricompare il tema del sultano declamato a piena voce dagli ottoni il tono è solenne, ma non più minaccioso. L’orchestrazione è esuberante, lo sfoggio timbrico sfarzoso, e quando infine il tema del sultano è suonato con dolcezza dai violini nel registro acuto (poco più tranquillo), comprendiamo che la metamorfosi del personaggio si è compiuta fino in fondo. Il sultano è vinto: risuona dunque da ultimo in un lento recitativo, il tema morbido e languido di Sheherazade.

Nota di Rimkij-Korsakov su Sheherazade

Durante l’estate del 1888, portai a termine a Niejgovitsy Shéhérazade (in 4 parti) e La grande Pasqua Russa […]. Il programmia che mi guidò nella composizione di Shéhérazade consisteva in episodi separati e senza legami tra loro ed in quadri de Le mille e una notte; il mare e il vascello di Sinbad, il racconto fantastico del principe Kalender, i figli e la figlia del re, la festa a Baghdad e i vascelli che s’infrangono sulla roccia. Il legame era costituito da brevi introduzioni alla prima, seconda e quarta parte, e da un intermezzo alla seconda, scritto per violino solista e raffigurante Shéhérazade nell’atto di raccontare al terribile sultano i suoi racconti meravigliosi. La conclusione della quarta parte ha lo stesso significato artistico. Invano si possono cercare nella mia Suite dei leitmotiv sempre legati a tali idee poetiche o a tali immagini. Al contrario, nella maggior parte dei casi tutta questa specie di leitmotiv non sono che materiali puramente musicali, motivi dello sviluppo sinfonico. Questi motivi passano e ripassano in tutte le parti del pezzo, seguendosi e intrecciandosi. Apparendo ogni volta sotto una luce diversa, disegnando ogni volta dei tratti differenti ed esprimendo delle differenti situazioni, corrispondono ogni volta a delle immagini diverse e a delle azioni e quadri diversi.

Orchestra della Suisse Romande

Così il motivo vigoroso disegnato dalla fanfara del trombone e della tromba con sordina, che appare per la prima volta nel racconto di Kalender (II parte), appare nuovamente nella IV parte della descrizione del vascello che si schianta, sebbene quest’episodio non abbia alcun legarne con il racconto di Kalender. Il tema principale del racconto di Kalender (si minore 3/4), e il tema della principessa nella terza parte (si bemolle maggiore 6/8 clarinetto) appaiono sotto un aspetto differente, e in un movimento rapido come i temi secondari della festa a Baghdad, quando nel racconto delle Mille e una notte non è assolutamente detto che questi personaggi abbiano partecipato a una qualsiasi festa a Baghdad. La frase all’unisono che descrive il terribile marito di Shéhérazade all’inizio del pezzo, appare nel racconto di Kalender, nel quale non può essere questione del sultano Schahriar. Così, sviluppando in modo assolutamente libero degli spunti musicali presi per base del mio lavoro, avevo intenzione di comporre una Suite in quattro parti, intimamente legate da dei temi e dei motivi comuni, ma presentati come un caleidoscopio d’immagini favolose di un carattere orientale, procedimento che avevo impiegato in un certo punto nel mio Racconto, dove gli spunti musicali sono altrettanto poco distinti da quelli poetici come in Shéhérazade. Avevo inizialmente l’intenzione di chiamare la prima parte di Shéhérazade Preludio, la seconda Ballata, la terza Adagio, la quarta Finale, ma su consiglio di Liadov e di altri, mi sono astenuto per evitare di vedermi attribuito un programma troppo definito; anche nella Suite, al momento di una nuova edizione, ho preferito distruggere ogni allusione al programma, che titolava in ogni parte: II mare, il vascello di Sinbad, il racconto di Kalender, ecc.
Componendo Shéhérazade non intendevo con queste indicazioni orientare la fantasia dell’ascoltatore dalla parte dove si era diretta la mia fantasia. Volevo semplicemente che l’ascoltatore, se la mia musica sinfonica gli piaceva, avesse l’intenzione netta che si trattava di un racconto orientale e non soltanto di quattro pezzi suonati consecutivamente l’uno dopo l’altro su dei comuni temi. È perché per tutti noi il nome Mille e una notte evoca l’Oriente. In più alcuni dettagli dell’esposizione musicale alludono al fatto che le storie sono narrate da una sola persona, cioè Shéhérazade. […] Il Capriccio, Shéhérazade e l’ouverture de La grande Pasqua Russa conclusero un periodo della mia attività in cui la mia orchestrazione aveva raggiunto un grado notevole di virtuosismo e di sonorità chiara.

Una delle opere più belle del mondo classico, qui in una versione splendida diretta in modo magistrale da Karajan. Ottimi i fiati nei vari soli, menzione speciale per il primo violino, Michel Schwalbè, semplicemente straordinario. Capriccio italiano e l’ouverture 1812 col coro all’inizio: due belle sorprese. Registrazione eseguita nel 1967 e rimasterizzazione effettuata nel 2000. Audio eccezionale. Altamente raccomandato.

Scheherazade suite sinfonica op. 35

Rimskij-Korsakov compose Shéhérazade a Niejgovitsij, nel 1888, ispirandosi ad alcuni episodi e quadri, tra loro slegati delle Mille e una notte. Il filo conduttore musicale, consistente nelle brevi introduzioni al primo, al secondo e al quarto movimento, e nell’intermezzo del terzo movimento, è scritto per violino solo e ritrae Shéhérazade mentre viene svolgendo i suoi meravigliosi racconti al crudele Sultano. Nella maggioranza dei casi, quelli che sembrano motivi conduttori sono invece materiali puramente musicali, impiegati, in tutti i movimenti della suite, soltanto per lo sviluppo sinfonico, interferendo l’uno con l’altro e alternandosi quali elementi connettivi. Uno stesso motivo, presentandosi sotto aspetti diversi, finisce così per evocare quadri, immagini, azioni differenti. Il motivo di fanfare, intonato dal trombone e dalla tromba con sordina, che compare nella leggenda di Kalender (secondo movimento), ritorna, ad esempio, nel quarto movimento per esprimemere la tragica predestinazione del vascello di Sinbad, anche se l’episodio non è affatto connesso con la storia di Kalender. Il tema principale del racconto di Kalender (si min., in 3/4) e il tema della Principessa nel terzo movimento (si bemolle maggiore, in 6/8, clarinetto), riappaiono, in forma alterata e in tempo vivace, come temi secondari nell’episodio della festa di Bagdad, benché nulla si dica nelle Mille e una notte circa le persone che vi prendono parte.

Herbert von Karajan

La frase all’unisono, che può essere riferita al crudele sposo di Shéhérazade all’inizio della suite, si ripresenta nella leggenda di Kalender, dove non è più presente il sultano Schahriar. In tal modo, sviluppando in piena libertà gli elementi assunti a base della composizione, i quattro movimenti della suite sinfonica appaiono strettamente saldati dalla comunanza dei motivi, presentando, nello stesso tempo, un caleidoscopio di immagini fiabesche e di evocazioni di carattere orientale.
La musica inizia con la presentazione figura cupa del Sultano (un tema poderoso in ottava, caratterizzato da un tillo fremebondo). Segue un breve interludio, quindi il violino solo delinea, sullo sfondo degli accordi dell’arpa, il
sinuoso motivo che personifica Shéhérazade. La musica descrive ora il movimento largo e maestoso del mare. Risuona d’improvviso, implacabile, la voce del Sultano (il tema è lo stesso dell’inizio) insieme ai tremuli accenti di Shéhérazade. Il motivo di Shéhérazade, che apro la seconda parte della suite, suonato dal violino solo (accompagnato dall’arpa), termina con una cadenza finamente brillante e introduce al tema principale del pezzo, affidato al fagotto. Dopo un momento di calma si dischiude una scena di barbarico splendore: gli squilli degli ottoni e le frasi spiegate degli archi e dei legni si uniscono in un susseguirsi turbinoso di tonalità. Nel racconto del giovane Principe e della giovane Principessa, che costituisce il terzo movimento, è il Principe ad apparire per primo, personificato dalla espressiva melodia di inizio dei violini; immediatamente dopo appare la Principessa, con un breve, delicato motivo, intonato dolcemente dal clarinetto. Ancora una volta si ode la voce severa del Sultano, fermo nella sua decisione di uccidere la moglie dopo la prima notte. Ma Shéhérazade incalza coi suoi racconti e lo distrae nuovamente con una fiorita descrizione della festa di Bagdad. A questa scena, animata e piena di colore, conduce una corta e brillante cadenza del violino. Mentre tornano a risuonare i sinistri accenti del Sultano, Shéhérazade, continua imperterrita la sua narrazione. D’improvviso ci si ritrova sul mare, sul largo ponte del vascello di Sinbad. Ma non è più il mare calmo dell’inizio. Le sue ondate gigantesche arrivano ad altezze paurose, il vascello oscilla da poppa a prua, gli alberi si curvano, i volti pallidi dei marinai si volgono verso una roccia immensa sormontata da un guerriero di bronzo; verso quella roccia è sospinto anche il vascello, irresistibilmente attratto da una forza misteriosa. Un fragore spaventoso si ripercuote nel cielo. Il vascello naufraga, con lo scafo squarciato, contro la roccia. Ritorna il tema di Shéhérazade. E finalmente il Sultano parla. Ora però lo fa dolcemente, amorevolmente. E, sullo sfondo di ineffabili armonie, il suono del violino si libra vittorioso. Shéhérazade fu eseguita, per la prima volta, il 28 ottobre 1888 a Pietroburgo, diretta dall’autore.

Ciaikovskij 1812 Ouverture solennelle in mi bemolle maggiore op. 49

Questa pagina, tra le più popolari e largamente eseguite per la sua altisonante efficacia descrittiva, fu commissionata a Cajkovskij dall’Esposizione Pan-Russa delle Arti e dei Mestieri di Mosca nel 1880 ed eseguita in quella sede il 20 agosto 1882. L’Ouverture vuole essere una fantasiosa e fantasmagorica rievocazione della campagna napoleonica in Russia, realizzata con un’orchestrazione quanto mai brillante e ricca di effetti anche realistici. Si apre con un tema corale di viole, violoncelli e contrabbassi su un inno liturgico ortodosso dalla caratteristica struttura armonica modale.

Sede dei Berliner Philharmoniker

Nella presente edizione e per la prima volta nei concerti dell’Accademia il coro canta per 30 battute sulle parole «Dio proteggi il tuo popolo»; probabilmente in origine Cajkovskij aveva pensato di inserire a questo punto il coro che successivamente è stato tolto nelle normali esecuzioni concertìstiche. Agli archi si alternano i fiati nella esposizione dell’inno, per lasciare poi spazio ad una pensosa melodia dell’oboe solo (piangendo e molto espressivo, annota il compositore in calce alla partitura). La melodia viene ripresa dai fiati in un largo crescendo di tutta l’orchestra e, dopo un breve episodio con tamburo militare e squilli di corni, si giunge alla descrizione della battaglia: un disegno basato su un salto ascendente di ottava e su una veloce scala discendente passa da uno strumento all’altro dell’orchestra in una specie di fugato di crescente concitazione, mentre corni, trombe e tromboni espongono il tema della Marsigliese. La tensione giunta al culmine si spegne progressivamente in un passaggio di violoncelli e contrabbassi; con gli archi all’unisono, rinforzati dai fiati, si ode un tema popolare russo già usato da Rimskij – Korsakov nella sua Ouverture su temi russi. Si riaccende la battaglia sul tema russo e della Marsigliese, vero e proprio leitmotiv; a questo punto si innesta la sezione conclusiva del brano con l’orchestra scatenata in fortissimo e rafforzata da colpi di cannone e rintocchi di campane, mentre dalla solenne perorazione conclusiva emergono le note dell’inno ortodosso iniziale e dell’Inno zarista, quasi a
simboleggiare la vittoria del popolo russo sulle armate napoleoniche, in un esaltante e travolgente en plein air strumentale.

Ciaikovskij: Capriccio italiano in la maggiore op. 45

La fine del suo matrimonio con Antonina Ivanovna Miljakova e il profondo rapporto che nacque con la ricca vedova Nadezda von Meck, segnarono in maniera decisiva la vita artistica di Pètr Il’ic Cajkovskij. La rendita annua che la von Meck garantì al compositore gli permise di abbandonare la cattedra al Conservatorio, di dedicarsi a tempo pieno alla composizione nell’ultimo quindicennio della sua vita, di viaggiare molto anche all’estero, mietendo ovunque grandi successi.
Il 1880, che il compositore trascorse tra Mosca, Pietroburgo, Parigi e Roma, e per il resto ospite in residenze di campagna, si rivelò un anno particolarmente prolifico: nacquero infatti pagine orchestrali destinate a diventare assai popolari, come la Serenata per archi op. 48, l’Ouverture 1812 e il Secondo Concerto per pianoforte e orchestra.
Il 16 gennaio di quell’anno Cajkovskij cominciò anche a comporre – a Roma dove risiedeva in quel periodo – la partitura del Capriccio italiano op. 45, che poi completò a San Pietroburgo il 27 maggio, con dedica al compositore Karl Jul’evic’ Davydov. L’idea di trarre ispirazione da musiche popolari italiane gli era venuta dopo avere assistito ai festeggiamenti per il carnevale proprio tra le vie di Roma. Ne parlò in alcune lettere alla von Meck: «Stiamo assistendo all’acme del carnevale […]. Naturalmente il carattere di questa festa è determinato dal clima e dalle antiche usanze […]. Se si osserva bene il pubblico che si accalca in modo così selvaggio sul Corso, ci si convince che l’allegria di questa folla, per quanto possa assumere aspetti davvero singolari, in fondo è sincera e naturale. Non ha bisogno né di grappa né di vino, si inebria con l’aria del posto, con questa carezzevole calura».
Inizialmente Cajkovskij aveva pensato di scrivere qualcosa di simile ai lavori di Glinka ispirati alla Spagna, cioè alle due Ouvertures intitolate Caprìccio brillante sulla Jota Aragonese e Ricordo di una notte estiva a Madrid (in una lettera a Taneev del gennaio del 1880 scriveva infatti che doveva essere una «Suite italiana su melodie popolari, sul modello delle fantasie spagnole di Glinka»). Non a caso la libera giustapposizione di motivi diversi, la successione di episodi collegati da parentele timbriche e ritmiche più che tematiche, sembra ricalcare la libera successione dei temi popolari che caratterizza Ricordo di Glinka.
Cajkovskij abbozzò l’intera composizione in meno di una settimana, utilizzando alcuni canti che aveva ascoltato personalmente per le strade di Roma, altri presi da alcune antologie, e mirando non tanto all’elaborazione tematica quanto alla ricerca dell’effetto, alla massima brillantezza della scrittura orchestrale, come scrisse alla von Meck in una lettera del 12 maggio 1880: «Non so che valore musicale possa avere quest’opera, ma sono già da ora convinto che avrà una bella sonorità, che l’orchestra sarà brillante e piena di effetto».

Nadezda von Meck

La progressione degli strati di colore, di movimento e di tempo, la sapiente orchestrazione, che sfrutta gli ottoni al completo e un nutrito set di percussioni, permettono a Cajkovskij di ottenere una partitura luminosa e vitale, piena di atmosfera, di verve, come un vorticoso girotondo. Ma senza grandi pretese. Alla sua prima esecuzione (che ebbe luogo a Mosca il 18 dicembre 1880, sotto la direzione di Nikolaj Rubinstein) il Capriccio italiano fu infatti criticato per una
certa superficialità, e come esempio negativo di occidentalizzazione e di cosmopolitismo, in un periodo in cui la Russia stava riscoprendo con orgoglio il valore artistico delle proprie radici musicali.
Il lavoro si apre con un richiamo delle due trombe (Andante un poco rubato), un segnale militare usato dai soldati della cavalleria italiana che Cajkovskij – secondo la testimonianza di suo fratello Modest – aveva udito provenire da una caserma vicina alla sua abitazione romana. Dopo le fanfare degli ottoni si leva negli archi, all’unisono, una melodia dal carattere mesto, che ha l’incedere di una marcia funebre punteggiata dagli accordi ribattuti dei fiati. Lo stesso tema è poi ripreso dai legni in forma imitativa, e accelerato, su un tappeto di tremoli degli archi. Le due parti seguenti (Pochissimo più mosso e Allegro moderato) si basano su canzoni popolari, molto orecchiabili e piene di humour. la prima è un temine semplice e pimpante (in 6/8), “molto dolce, espressivo”, affidato ai due oboi che si muovono per terze parallele sul pizzicato di violoncelli e contrabbassi (questo motivo viene ripetuto da vari strumenti, variato, accompagnato da una girandola di disegni e controvoci, fino a espandersi su tutta l’orchestra, in un vero e proprio sfoggio di virtuosismo timbrico); la seconda è uno stornello romanesco (in 4/4), pieno di slancio, accompagnato dagli accordi ribattuti degli archi (come una cavalcata), esposto prima da violini e flauto, poi ribadito dalla cornetta a pistoni, con una frase intermedia, leggera e danzante, punteggiata dal tamburello. Raggiunto il suo culmine, questa esplosione di gioia sonora lascia poi spazio alla ripresa dell’Andante, col suo triste melodizzare.
Ma poi la festa riprende: un’incalzante concatenazione di terzine dà avvio a una trascinante tarantella di archi e legni (Presto) – e non poteva mancare in una pagina dedicata all’Italia! Poi una ripresa della prima canzone popolare (ma in una diversa tonalità e con i valori dilatati su un tempo di 3/4) cantata a squarciagola da tutta l’orchestra (“fff largamentissimo”, Allegro moderato). E alla fine ancora gli echi della tarantella che innescano l’ultimo grande crescendo, culminante in un Prestissimo impetuoso, pirotecnico, un vero tripudio di colori orchestrali.

La registrazione di Beecham di Scheherazade non è mai andata fuori stampa da quando è uscita nel 1958. La qualità audio è eccellente. La Royal Philharmonic Orchestra suona in maniera favolosa e Sir Thomas Beecham col suo particolare carisma valorizza questa splendida performance. Un plauso al primo violino Steven Staryk per l’interpretazione dolce e sensuale. Questo CD, secondo il mio modesto parere, contiene anche la migliore registrazione delle Danze Polovesiane di Borodin mai eseguite. Doveroso collocare questa incisioni tra le più importanti registrazioni del secolo scorso. Nonostante la datazione l’audio risulta pulito e corposo. Registrazioni eseguite tra il 1958 e 1974 e rimasteizzazione effettuata nel 1999. Altamente raccomandato.

Scheherazade suite sinfonica op. 35

I musicisti della scuola nazionale russa, con la significativa eccezione di Modest Musorgskij, fecero ampio uso dell’orientalismo, per rimarcare la loro specificità rispetto ai musicisti dell’Europa occidentale, ma per Nikolaj Rimskij- Korsakov l’esotismo fu anche qualcosa di più e gli ispirò alcune delle sue composizioni migliori, perché l’oriente pittoresco e meraviglioso era un terreno ideale per le magie della sua armonia raffinatamente speziata e della sua orchestrazione dai colori preziosi come una seta orientale.
All’ascolto della sua musica, questa prodigiosa padronanza della scienza musicale sembra una dote naturale e innata, ma in realtà fu raggiunta solo ad un’età relativamente avanzata. Rimskij-Korsakov aveva infatti studiato la musica solo a livello dilettantesco, perché era destinato alla carriera di ufficiale di marina, secondo le tradizioni di famiglia. A ventun’anni egli stesso si descrisse come “un ufficiale che ogni tanto si diletta a suonare il piano o ad ascoltare la musica”. Aveva quasi trent’anni quando si mise a studiare con grande zelo la Guida allo studio pratico dell’armonia di Cajkovskij e i classici trattati di contrappunto di Cherubini e Bellermann, imponendosi di comporre decine e decine di Fughe come esercizio. Intanto, nominato Ispettore delle Bande Musicali della Flotta del Mar Nero, potè studiare sul campo la meccanica e la tecnica degli strumenti a fiato, scoprendone tutte le possibilità più nascoste. Questo semidilettante si trasformò così in uno dei musicisti tecnicamente più agguerriti della sua epoca, capace di veri virtuosismi nel campo dell’armonia e dell’orchestrazione.
Lo scrigno più prezioso delle sue gemme d’armonia e d’orchestrazione è Shéhérazade op. 35, composta nel 1888 e presentata in pubblico il 9 novembre (28 ottobre secondo il vecchio calendario) di quello stesso anno, diretta dall’autore. Definita suite, può essere considerata piuttosto un Poema Sinfonico, in quanto è la trasposizione musicale di un’opera letteraria e i suoi quattro movimenti hanno titoli descrittivi, riferiti alle Mille e una notte. Ma, più che raccontare alcuni episodi della sterminata raccolta di fiabe arabe, questa musica vuole renderne l’atmosfera complessiva, multicolore e fantastica: l’ascoltatore è quindi implicitamente invitato a fecalizzare la propria attenzione sull’aspetto sonoro variegato e raffinato della musica, senza cercare di riconoscervi questa o quella immagine precisa.
Inizialmente Rimskij voleva dare titoli puramente musicali ai quattro movimenti: Preludio, Ballata, Adagio e Finale. E nella sua autobiografia scrisse: “Invano si cercherebbero nella mia Suite dei motivi conduttori collegati a idee poetiche o immagini precise. Al contrario, nella maggioranza dei casi, tutti questi apparenti motivi conduttori non sono che materiali puramente musicali, utili allo sviluppo sinfonico. Questi motivi passano e si espandono in tutte le parti dell’opera, susseguendosi e allacciandosi. Apparendo ogni volta sotto una luce diversa, disegnando ogni volta delle linee diverse ed esprimendo delle situazioni diverse, corrispondono ogni volta a immagini e quadri diversi”. Ma c’è un filo narrativo che unisce le diverse parti, tra loro slegate: “Sono – prosegue Rimskij – le brevi introduzioni al primo, secondo e quarto movimento e l’intermezzo che precede il terzo movimento, cioè quella musica per violino solo che raffigura Shéhérazade stessa mentre racconta le sue storie meravigliose all’austero sultano. La fine del quarto movimento risponde alla medesima finalità artistica”.

Sir Thomas Beecham

È una struttura musicale libera e rapsodica, basata non sulla tecnica di sviluppo tematico tradizionale ma sulla ripetizione variata di brevi motivi, con un cangiante sottofondo armonico e orchestrale. È una musica caratterizzata da trasparenza e purezza assolute, da eleganza e perfezione immacolate, cui contribuisce l’assenza di passioni troppo accese.

Il primo movimento è intitolato Il mare e la nave di Sinbad. Le battute iniziali presentano la cupa e severa figura del sultano Schahriar (Largo e maestoso), cui segue il sinuoso motivo orientaleggiante del violino solo, che personifica Shéhérazade (Lento). La scena si apre ora sulla sterminata e maestosa distesa del mare (Allegro non troppo): Sinbad naviga arditamente sulle onde ora placide ora agitate, mentre risuonano ancora i temi del sultano e di Shéhérazade.
La seconda parte (Lento, Andantino) rievoca La storia del principe Kalender (il kalender è un prete maomettano mendicante e nomade). Il motivo di Shéhérazade, suonato dal violino solo sull’accompagnamento dall’arpa, introduce il tema principale del movimento: è il fagotto che presta la sua voce al kalender. La scena brilla di colori orientali, ora delicati e raffinati, ora violenti e barbarici, tra preziosi ceselli dei legni, avvolgenti frasi degli archi, squilli minacciosi degli ottoni.
Nella terza parte (Andantino quasi allegretto, Pochissimo più mosso) Shéhérazade narra la fiaba de Il giovane principe e lagiovane principessa. La suadente e vibrante melodia dei violini dà voce al principe, alternandosi al delicato e sensuale motivo del clarinetto, che raffigura la principessa.
La voce imperiosa del sultano ci ricorda la sua decisione di uccidere la moglie, ma Shéhérazade riprende la sua narrazione e col suo tema introduce il quarto movimento, il più variegato della Suite, nei tempi Allegro molto, Allegro molto e frenetico, Vivo, Allegro non troppo e maestoso. Inizia con l’animata e colorata Festa a Bagdad, in cui ritornano vari temi uditi negli episodi precedenti. Una serie di crescendo accentuano l’esaltazione della folla, ma improvvisamente si volta pagina e ritorna Il mare, su cui però la nave di Sinbad non naviga più serenamente, spinta a gonfie vele dal vento dello spirito d’avventura, ma è in balia di onde spaventose e di venti implacabili. In lontananza appare un altissimo scoglio sormontato da un guerriero di bronzo: la nave, col suo equipaggio sgomento, è sospinta sempre più velocemente da una forza misteriosa contro la roccia e vi s’infrange col cupo fragore d’un colpo di tam- tam (Il naufragio). Il violino e l’arpa fanno riascoltare il tema di Shéhérazade, cui la voce del sultano s’unisce con accenti finalmente dolci e amorevoli.

Alexsander Borodin: Danze polovesiane

Le Danze polovesiane (o poloviciane, ovvero relative alla Cumania, una regione dell’attuale Ungheria) di Aleksandr Borodin si collocano nel secondo atto del Principe Igor, la sua opera più significativa; cominciata nel 1869, non venne portata a termine dal suo autore, che morì nel 1887. Il lavoro di revisione e di completamento dell’opera toccarono a Rimskij-Korsakov e a Glazunov.

Royal Philharmonic Orchestra

La suite di danze si apre con le Danze delle fanciulle poloviciane (Atto II n. 8), costituite da un vorticoso motivo dei legni sempre sostenuto dalle percussioni; poi si passa alla Danze poloviciane con coro (Atto II n. 17) che si aprono col celeberrimo motivo principale, dolce ma venato di malinconia, affidato al coro femminile. La prima danza, che riprende nello spirito quella iniziale, viene affidata al clarinetto seguito dall’ottavino; su questo motivo brillante e ritmato si innesta poi un secondo motivo quasi minaccioso esposto dagli ottoni. La seconda danza (con coro maschile) ha un andamento quasi epico; la terza, in 6/8, è la danza dei fanciulli, subito seguita dalla danza degli uomini (con coro maschile). Poi Borodin ripropone il motivo principale (coro femminile), la danza dei fanciulli e la danza degli uomini. La vorticosa danza conclusiva vede riunirsi i tre gruppi in un irresistibile tripudio finale.