Schubert Franz

Rosamunde

È una delle poche registrazioni complete di Rosamunde disponibili sul mercato nazionale e internazionale. Abbado ha proprio il tocco che ci vuole e la Chamber Orchestra of Europe risponde perfettamente alle sue sollecitazioni, offrendoci una rappresentazione scintillante e romantica. La soprano Anne Sofie Von Otter apporta calore e grazia e il coro canta sempre con positività. L’incisione in DDD è molto equilibrata e l’audio risulta pulito e corposo. La registrazione è stata eseguita nel 1988 e stranamente non è live. Altamente raccomandato.

Schubert: musica di scena per “Rosamunde”

La musica di scena per il teatro di prosa fu un genere molto in voga per tutto l’Ottocento specialmente nei paesi di lingua tedesca, anche per le molte analogie col Singspiel che prevedeva recitativi parlati e melologhi a incorniciare una struttura musicale di numeri chiusi. Dopo l’esperienza della Zauberharfe di Geor von Hofmann, rappresentata a Vienna nel 1820, Schubert fu invitato a comporre la musica di scena per un dramma che il suo amico e librettista Josef Kupelwieser, in qualità di segretario teatrale, aveva commissionato con grande urgenza a Helmina von Chézy per una recita a beneficio di Emilie Naumann attrice del Theater an der Wien.
La Chézy, intraprendente letterata romantica di secondo piano, era fresca reduce dalle polemiche sorte in occasione della prima rappresentazione dell’Euryanthe al teatro di Porta Carinzia il 23 ottobre 1823, libretto che aveva scritto per Weber lasciandolo molto insoddisfatto.
Né il suo prestigio fu risollevato dall’esito del nuovo “grande dramma romantico con accompagnamento musicale e danze” in quattro atti intitolato Rosamunde, fursting von Zypern, portato a termine, a quanto pare, in soli cinque giorni: dopo il dissenso manifestato apparentemente dal pubblico, la critica si espresse in termini talmente negativi all’indomani della prima rappresentazione, avvenuta il 20 dicembre del 1823, da indurre l’autrice a pubblicare un’autodifesa sulla “Wiener Zeitschrift fur Kunst”. Dal canto suo lo stesso Schubert non poteva certo vantare un lusinghiero rapporto col teatro. Dei cinque Singspiel composti fino a quel momento – due altri rimasero incompiuti – soltanto Die Zwillingsbruder aveva conosciuto l’onore della rappresentazione nel 1820, mentre giacevano nei suoi cassetti tre opere complete, tra cui quello Fierabras recentemente riscoperto, e altre quattro allo stato di frammento o abbozzo.
Ugual sorte sarebbe toccata alla Rosamunde, scomparsa dopo poche repliche dal repertorio. Del resto la trama dell’opera, che a causa della perdita del manoscritto è deducibile soltanto dalle cronache pubblicate sui giornali viennesi del tempo, non offriva particolari motivi d’interesse: Rosamunda è cresciuta in campagna ignorando di essere la principessa di Cipro, ma la sua vera identità è nota invece al ministro Fulgenzio che per impadronirsi del potere la fa imprigionare, con l’intento di ucciderla. Sarà il giovane principe Alfonso di Candia a sventare l’intrigo e punire il ministro traditore. Obbligato il lieto fine, col matrimonio fra i due giovani. Nessuna specifica idea drammatica sta alla base dell’ouverture del lavoro, dato che Schubert non ne scrisse una appositamente ma riutilizzò, a dire dell’amico Moritz von Schwind, quella appena scritta per Alfonso und Estrella, ora pubblicata nell’edizione completa delle opere del viennese con le altre parti del lavoro.
Se quest’ampio brano in re maggiore si rivela convenzionale, poco più che un segnale per destare l’attenzione del pubblico, molto più ispirata è l’ouverture della Zauberharfe in mi minore-maggiore che attualmente si esegue e fu probabilmente utilizzata anche per la prima recita. Per lo stile melodico, armonico e orchestrale, è pagina di assoluto valore, e indispensabile premessa agli ultimi capolavori sinfonici del viennese.
Schubert legò i due numeri successivi in funzione drammatica variando il materiale musicale dell’intermezzo (n. 1, Allegro molto moderato) nel balletto

successivo che accompagna i cortei con cui inizia il secondo atto e utilizzando per entrambi una solenne introduzione orchestrale in si minore.
Anne Sofie von Otter

L’intermezzo è un brano di ampie dimensioni liberamente modellato sulla forma di un primo tempo di sonata privo di sviluppo, in cui il primo tema viene gradualmente definito passando dalla tonica minore a quella maggiore in contrapposizione fra la piena sonorità dell’orchestra e un gruppo di soli
(clarinetti, corni e tromboni), e tra archi e fiati. Schubert rivela un gran magistero tecnico nell’utilizzare la tavolozza armonica e timbrica per produrre il contrasto che prepara la sezione alla dominante dall’accentuato carattere cantabile, in cui la malinconica espressività della melodia alternata fra violini e legni viene messa in risalto dall’accompagnamento ostinato degli archi.
Il principio della variazione dell’intervallo, della disposizione timbrica e della tonalità è attuato con grande originalità nel secondo brano, che ha un andamento ritmico più accentuato nella prima sezione (Allegro moderato), probabilmente determinato dalle esigenze di una marcia pantomimica, mentre alla danza di un gruppo di fanciulle è dedicata la parte conclusiva in sol maggiore (Andante un poco assai), dominata da una semplice melodia dei clarinetti e dei fagotti sul pedale inferiore di tonica degli archi gravi. Le dimensioni più ridotte dell’orchestra, priva di trombe, tromboni e timpani ne accentuano il carattere intimo, mentre il dialogo fra i legni si mantiene serrato. Il successivo intermezzo (n. 3a, Andante) è un brano in cui s’intuisce con chiarezza la destinazione ad accompagnare un’azione tesa e concitata. Schubert apre e chiude in re maggiore, ma non ci resta mai, preferendo muoversi in modo febbrile fra diverse tonalità. Domina la figura puntata iniziale che modula alla dominante di si minore, e senza mai prendere la fisionomia di un autentico tema attraversa in progressione varie tonalità (fra cui prevale il re minore). Questo vagabondare armonico determina un clima d’ansietà che probabilmente riflette lo stato d’animo di Rosamunda in potere di Fulgenzio, ed è ulteriormente ribadito da ampie espansioni dinamiche, vibranti crescendo, pizzicati inquieti e repentini fortissimi. Questo intermezzo funge da introduzione alla successiva romanza per contralto in fa minore (n. 3b, Andante con moto), un ispirato Lied strofico di tre quartine di ottonari coi due ultimi versi di ritornello in fa maggiore, la cui dolorosa cantilena è fra le più caratteristiche dell’arte di Schubert.
Strettamente legato all’azione è anche il seguente “coro di spiriti” in re maggiore da eseguirsi fuori scena (n. 4, Adagio) affidato alle voci maschili divise in quattro parti (2 tenori e 2 bassi). Impiegando la stessa melodia dell’intermezzo precedente Schubert stabilì precisi collegamenti drammatici, resi più suggestivi dall’accompagnamento degli ottoni (tre corni e tre tromboni) e dalla dinamica soffusa, con rapidi e improvvisi fortissimi.
L’ultimo intermezzo dopo il terzo atto (n. 5, Andantino) è costruito in forma di tema in si bemolle maggiore con due variazioni in minore (sol e si bemolle) e ripetizione della prima parte. Schubert avrebbe poi riutilizzato l’affascinante melodia, tipica della sua vena migliore, nel tempo lento del Quartetto op. 29 (D. 804) e nel terzo Improvviso dell’op. 142 (D. 935). Nel dramma della Chézy questa musica piena di sofferta serenità, forse il brano più bello della partitura, introduce una scena pastorale, carattere sottolineato dal fitto dialogo melodico

fra gli strumentini nella seconda variazione, con gli archi in mera funzione di accompagnatori.
Si rivolgono alla natura anche delle brevi “melodie pastorali” (n. 6, Andante) per sestetto di fiati (clarinetti, fagotti e corni), coi clarinetti che intonano una spensierata cantilena per terze, e il successivo “coro pastorale” (n. 7, Allegretto), entrambi in si bemolle maggiore. Spiccato è qui il clima di danza instaurato dalla melodia dei clarinetti sopra una figura dattilica ostinata che accompagna tutto il brano.
Il breve “coro di cacciatori” (n. 8, Allegro moderato) è un brano vivacissimo in re maggiore, introdotto dalle figure puntate dei corni, vera e propria sigla sonora, e dalle veloci scale che passano dagli oboi ai flauti. I versi attaccati con gagliardia dalle voci maschili vengono ripresi da quelle femminili, poi le due parti si riuniscono per un vigoroso “coro tedesco” col ritornello, concluso da una coda orchestrale piena di echi di caccia.
La partitura è conclusa da un ultimo balletto (n. 9, Andantino), che attacca in sol maggiore sul ritmo di una contraddanza, e dopo una sezione contrastante che da sol minore va a si bemolle maggiore, sfocia con estrema naturalezza in un piccolo trio “alla tirolese” in sol maggiore, dove clarinetti, oboi e flauti imitano lo jodler sopra il pedale inferiore di tonica tenuto dagli archi gravi. Il brano, dopo un’animata parte centrale, si conclude con spensierata gaiezza colla ripresa della sezione iniziale. Il fragile e convenzionale intreccio non consente di esprimere un’adeguata valutazione del talento drammatico di Schubert, a meno che non si voglia considerare negativamente il tiepido consenso che il compositore aveva manifestato con mite gentilezza alla Chézy circa la trattazione del soggetto in una lettera del marzo 1824, salvo alcune imperfezioni di poco conto che il pubblico aveva a suo avviso troppo duramente considerato. Pure la musica per Rosamunde rivela in più punti, anche con inevitabili disuguaglianze, come il genio di Schubert, naturalmente portato a effrazioni formali, avrebbe potuto consegnare anche al teatro pagine di assoluto rilievo.

Michele Girardi

Rosamunde D. 797

Oltre alle musiche di scena per il “dramma romantico” Rosamunde, Fürstin von Zypern di Helmina von Chézy, Schubert compose per il teatro undici lavori, e altri sette ne lasciò incompiuti. E ciò in un arco di tempo che va dal 1812 – Schubert aveva allora quindici anni e studiava al Convitto imperiale e regio di Vienna – fino all’anno della sua morte, il 1828.

Claudio Abbado

Una ventina circa di lavori drammatici (contando anche gli abbozzi) in una quindicina d’anni non sono pochi, neppure per quei tempi. Ma questo non è il solo motivo che contraddice l’affermazione ricorrente secondo la quale il teatro sarebbe stato un genere estraneo alla natura e agli interessi di Schubert: è anzi vero il contrario. È significativo che, dopo alcuni smaniosi assaggi durante gli studi in Convitto, non appena uscitone Schubert pensasse subito di scrivere un’opera e di sottrarsi così all’impiego scolastico che lo attendeva. Questo accadeva nel maggio 1814, con l’opera “magica e naturale” Des Teufels Lustschloss: nel bene e nel male un prototipo dello stile drammatico schubertiano. Il 1815, poi, fu un anno di vera e propria mania operistica, con quattro titoli addossati l’uno all’altro; tutti sul modello tedesco del Singspiel: Der vierjährige Posten, Fernando, Claudine von Villa Bella (il capolavoro, su testo di Goethe), Die Freunde von Salamanka. Nessuno di questi lavori era stato commissionato, nessuno venne eseguito durante la vita di Schubert.
Anche in seguito, in molti momenti decisivi della sua carriera, Schubert per prima cosa si affrettò a metter su il progetto di un’opera. È così nel 1821, con Alfonso und Estrella, grande opera romantica, e nel 1822-23, gli anni dei trionfi di Weber con Der Freischütz e Euryanthe, a cui Schubert rispose con un Singspiel (Die Verschworenen) e due opere (Rüdiger, incompiuta, e Fierrabras); e così sarà ancora nel 1827, all’alba di una nuova fase della sua arte, con l’ambizioso Graf von Gleichen. Tutto ciò dimostra che Schubert in cuor suo
voleva affermarsi scrivendo opere, e non dubitava delle proprie capacità di riuscita. Anzi, possiamo aggiungere che in certi anni o periodi pensò che il successo sarebbe venuto con il teatro e che esso, e solo esso, lo avrebbe definitivamente innalzato, anche di fronte al grande pubblico, al rango che gli competeva.
Non fu così. Durante la sua vita, solo Die Zwillingsbrüder, un grazioso Singspiel scritto per esaltare le doti interpretative dell’amico cantante Vogl giunse sulla scena (Vienna, 1820); naturalmente non contando come opere vere e proprie le musiche fornite per il “gran pezzo spettacolare” Die Zauberharfe (L’arpa magica, una beneficiata al Theater an der Wien cui Schubert diede l’ornamento musicale), per Das Zauberglöckchen (La campanella magica, un riadattamento da Hérold a cui Schubert contribuì con un duetto ed un’aria) e per Rosamunde, Fürstin von Zypern (Rosamunde, principessa di Cipro, dramma romantico in quattro atti, con cori, accompagnamento di musica e danze): questi lavori furono rappresentati a Vienna rispettivamente nel 1820, 1821 e 1823 e costituirono le uniche, ulteriori apparizioni di Schubert in teatro.
Schubert accettò di scrivere le musiche di scena per Rosamunde soltanto perché sperava di facilitare così il cammino delle due “vere” opere che aveva già composto quell’anno, il 1823: ossia Die Verschworenen (Le congiurate, dalla Lisistrata di Aristofane) e Fierrabras. Forse l’attraeva anche la prospettiva di collaborare con la vulcanica e soprattutto influente Helmina von Chézy: l’autrice del libretto dell’Euryanthe di Weber, la “novità del giorno” appena rappresentata al Teatro di Porta Carinzia il 23 ottobre 1823, che a Schubert non era piaciuta ma che aveva riscosso comunque un grande successo. E tanto era bastato per convincerlo ad accettare un tipo di commissione che, dopo l’infelice esperienza della Zauberharfe, aveva giurato a se stesso di non accettare mai più: una beneficiata, questa volta in onore di un’attrice del Theater an der Wien, Emilie Neumann, organizzata all’ultimo momento da uno spasimante tanto focoso quanto megalomane.
Helmina (cioè Wilhelmine) Christiane von Chézy (“nata baronessa Klenck”, come amava sottolineare, nel 1783, morta nel 1856) era una specie di virago delle lettere tanto salottiera quanto invadente, che si dava delle arie e sapeva far fruttare le conoscenze di cui godeva: insomma, una femmina testarda, spregiudicata e temibile, abilissima nell’intrufolarsi nell’ambiente artistico spacciandosi per consanguinea.

Helmina von Chézy

All’inizio Schubert dovette rimanere affascinato dalla intraprendenza e dall’autorità di questa donna, che dopo il successo dell’Euryanthe si vantava di aver scritto in soli cinque giorni quel drammone romantico in prosa, con cori, accompagnamento di musica e danze, lavorando di fantasia sulla base di uno
spunto preso a prestito da un dramma spagnolo. Svuotando i fondi di magazzino del repertorio cavalieresco e romantico-sentimentale, aveva messo insieme una storia mirabolante e farraginosa, con intrighi, travestimenti, scambi di persona, minacce, vendette, riconoscimenti e lieto fine: il tutto cucito attorno al personaggio di una fanciulla, Rosamunde, abbandonata e ritrovata, messa alla prova e contesa fra Cipro e Creta. Del resto la trama del lavoro, che a causa della perdita del manoscritto è deducibile soltanto da fonti indirette, non ambiva a essere originale: Rosamunde cresce in campagna ignorando di essere la principessa di Cipro, ma la sua vera identità è nota invece al ministro Fulgenzio, il quale per impadronirsi del potere la fa imprigionare e pensa di ucciderla. Sarà il giovane principe Alfonso di Candia a sventare l’intrigo e a sposare Rosamunde dopo aver punito il ministro traditore. Ciò è quasi tutto quanto ne sappiamo, giacché il testo è andato perduto (su questa esile traccia Lorenzo Arruga e Lorenza Codignola hanno reinventato la favola drammatica di Rosamunde per rappresentarla con le musiche di Schubert realizzate teatralmente: alla Fenice di Venezia nel 1989, direttore proprio Daniele Gatti). Né d’altronde sappiamo in che misura Schubert si vedesse assegnati compiti precisi per le sue musiche di scena, e quanto invece facesse di testa sua, attenendosi alla propria immaginazione per accompagnare o evocare l’azione. Sappiamo invece che la commissione avvenne all’ultimo momento, tanto che il compositore non ebbe materialmente il tempo di scrivere l’Ouverture, e ripiegò su quella, allora ineseguita, dell’Alfonso und Estrella.
La prima rappresentazione ebbe luogo al Theater an der Wien il 20 dicembre 1823. Ce n’è rimasto il resoconto inviato da un amico di Schubert, il pittore Moritz von Schwind, a un altro fedelissimo della cerchia, Franz von Schober, che era assente da Vienna: «L’altro ieri fu data a Vienna un’opera della funesta Helmina von Chézy, Rosamunde von Cypern, con musica di Schubert. Ti puoi immaginare come siamo corsi noi tutti. […] Schubert ha utilizzato l’Ouverture scritta per Alfonso und Estrella, perché la trova troppo sempliciotta per quell’opera e ne vuole fare una nuova. Con mia grandissima gioia essa fu bissata fra il plauso generale. Ti puoi immaginare come io seguissi la scena e la musica. Dopo il primo atto veniva un pezzo che, considerando il luogo in cui era inserito, risultò troppo poco brillante e un po’ troppo ripetitivo. Un balletto passò inosservato, e così pure il secondo e il terzo intermezzo. La gente è abituata ad applaudire subito dopo la fine dell’atto e non riesco a capire come ci si potesse aspettare che prestasse attenzione a cose così serie e lodevoli. Nell’ultimo atto venne un coro di pastori e di cacciatori, tanto bello e naturale che non ricordo di aver mai udito qualcosa di simile. Fu ripetuto fra gli applausi, e credo che darà la lezione che si merita al coro dell’Euryanthe di Weber. Furono applaudite anche un’aria, per quanto la Vogel [interprete di Axa, la nutrice] l’avesse cantata in modo grigio assai, e una breve scena bucolica. Di un coro sotterraneo fu impossibile sentire una sola nota, e i gesti del signor Rott [l’interprete di Fulgentius, il tiranno che minaccia Rosamunde] che nel frattempo cucinava un veleno soffocarono i suoi timidi conati di venire alla luce».

Thater an der Wien

La serata non fu un successo, ma sollevò un certo clamore. La stampa ironizzò sulle oscurità della poetessa e sulle macchinose stramberie dell’azione, e trattò il compositore con simpatia e rispetto. Qualcuno arrivò perfino a scrivere che un musicista così originale meritava opportunità migliori: in fondo si trattava del suo debutto in teatro (non era vero, ma poteva sembrarlo). Per parte sua Rosamunde scomparve dopo la seconda rappresentazione. L’accorta Helmina la ritirò aspettando che passasse la tempesta, poi cominciò a pensare a una rielaborazione d’accordo con Schubert, la cui “musica eccellente” aveva elogiato anche pubblicamente in un’autodifesa pubblicata sulla “Wiener Zeitschrift für Kunst”. Di questo tentativo rimasto infruttuoso (la seconda versione non vide mai la scena e andò in seguito anch’essa perduta) ci rimane una testimonianza quasi commovente di Schubert, una lettera scritta “con la più grande stima” a “Madame” il 5 agosto 1824, del tutto rappresentativa della sua natura mite: «Persuaso fin dal momento in cui l’ho letta del valore della Rosamunde, sono assai lieto che la Signoria vostra illustrissima abbia provveduto a correggere nel modo sicuramente più vantaggioso alcune

manchevolezze insignificanti che soltanto a un pubblico invidioso potevano apparire così vistose e vituperabili, e considererei come un onore speciale per me poter conoscere un esemplare rielaborato. Quanto al prezzo della musica, non credo di poterlo stimare in una cifra inferiore ai cento fiorini convenzionali, senza nuocere a essa stessa. Se però dovesse essere troppo elevato, Vi pregherei che foste Voi a fissarlo, senza allontanarvi troppo dalla somma indicata».

Chamber Orchestra of Europe

Sopravvissero invece le musiche di scena di Schubert, dieci numeri più l’Ouverture, equamente divisi fra brani strumentali e vocali. Dei primi, tre sono Intermezzi, rispettivamente in si minore, re maggiore e si bemolle maggiore, collocati alla fine dei primi tre atti: l’ultimo, celeberrimo, è un trasognato “Andantino” poi riutilizzato nel Quartetto in la minore D. 804 (1824) e nelle Variazioni dell’Improvviso op. 142 n. 3 (1827). Due sono i Balletti: per il secondo atto, in si minore, e per il quarto, in sol maggiore. I brani vocali comprendono invece la Romanza di Axa, la nutrice, dal terzo atto, il Coro di Spiriti per voci maschili nello stesso atto (da eseguirsi fuori scena), la “melodia” dei pastori dal quarto atto, seguita dal Coro di Pastori per voci miste che la rielabora, e infine il Coro di Cacciatori sempre nel quarto atto. Quanto all’Ouverture, Schubert non ne compose mai appositamente una e impiegò quella di Alfonso und Estrella; successivamente, forse già alla seconda recita, questa venne a sua volta sostituita dall’Ouverture del Singspiel Die Zauberharfe, che da allora rimase stabilmente associata alle musiche di scena della Rosamunde, fino ad oggi, anche nelle esecuzioni in concerto.