Schumann Robert

Sinfonia n. 4

Guido Cantelli è morto in incidente aereo nel 1956 a soli 36 anni. Era considerato l’erede di Arturo Toscanini. In quanto tale, i collezionisti lo indicano come il più grande conduttore del XX secolo e queste registrazioni EMI ci mostrano il motivo.
Il titolo “References” include tre delle più grandi esibizioni di Cantelli con la Philharmonia Orchestra, un’esibizione mono di Schuman del 1953 della Quarta Sinfonia, la Sinfonia “Italiana” di Mendelssohn e una esibizione stereo della Sinfonia “Incompiuta” di Schubert. Cantelli fece un sorprendente numero di registrazioni per la EMI nei primi anni Cinquanta, la maggior parte delle quali è stata ripubblicata su CD da parte della stessa EMI nella collana References. Alcune purtroppo sono ora fuori catalogo. I classici fan curiosi delle considerevoli abilità di Cantelli dovrebbero acquistare questo CD prima che abbia lo stesso epilogo. Registrazioni eseguite dal 1955 al 1956 e rimasterizzazione effettuata nel 2001. Imperdibile!

Sinfonia n. 4 in re minore op. 120

La Sinfonia in re minore di Schumann fu composta durante l’estate del 1841, in quattro giorni del mese di settembre sull’abbrivo dell’impetuoso slancio creativo che aveva indotto il trentunenne musicista a scrivere di getto in gennaio, in soli tre giorni, la Prima Sinfonia in si bemolle maggiore op. 38, in febbraio la Sinfonietta in mi maggiore (che, riveduta nel 1845, avrebbe assunto il nome di Ouverture, Scherzo e Finale), e in seguito un abbozzo di una sinfonia in do minore, il cui materiale tematico fu trasferito poi ai Bunte Blätter op. 99 per pianoforte, nonché la Fantasia in la minore per piano e orchestra (che sarebbe poi confluita nel Piano-Concerto op. 54). A differenza della Prima Sinfonia, applauditissima il 31 marzo 1841 a Lipsia, nell’esecuzione diretta da Mendelssohn, l’accoglienza tributata alla Sinfonia in re minore il 6 dicembre dello stesso anno, pure al Gewandhaus di Lipsia, sotto la bacchetta di Ferdinand David, fu assai poco calorosa, inducendo l’autore alla «consapevolezza che le opere scritte con tanta precipitazione abbisognavano di rielaborazioni, specie nell’orchestrazione», secondo una lettera alla moglie Clara. Fu così che tale lavoro venne dato alle stampe soltanto nel 1853 a Düsseldorf come Quarta Sinfonia e col numero d’opus 120, mentre nel frattempo erano state composte nel 1845 una Sinfonia in do maggiore (denominata Seconda, col numero d’opus 61) e nel 1851 un Sinfonia in mi bemolle maggiore (cioè la Terza, «Renana» op. 97), entrambe pubblicate senza ulteriori ripensamenti. In realtà la revisione cui Schumann sottopose la Sinfonia in re minore si limitò ad una limatura di certe parti strumentali, specie di fiati, non interferendo affato nella struttura originaria della composizione, la cui singolarità non risiede tanto nell’apparente, rapsodico andamento esteriore – a proposito del quale l’autore era stato a lungo incerto se chiamare il lavoro «Sinfonia» o «Symphonische Phantasie» (Fantasia sinfonica) o «Introduzione, Allegro, Romanza, Scherzo e Finale in un solo tempo» – quanto nell’esemplare organicità dello schema, un esito senza precedenti per Schumann, che pure è stato il teorico della soggettiva liberazione di emozioni e sentimenti in nome della romanticissima esaltazione dell’espressione artistica. Il materiale tematico della Sinfonia in re minore, nei quattro movimenti che si succedono senza soluzione di continuità, deriva da tre motivi presenti nella lenta introduzione, costituito il primo dalla melodia iniziale, rappresentato il secondo dal successivo disegno in semicrome dei violini, raffigurato il terzo dagli accordi ritmati dei legni. Dal punto di vista lessicale, Schumann elabora, nei vari episodi della Quarta, tale materiale motivico in modo da sintonizzarlo con l’espressione dei più svariati e contrapposti stati emozionali, trascorrendo dall’inquietudine, intrisa di atmosfere demoniache, dell’Allegro alla struggente e nostalgica effusione della Romanza, all’incalzante vitalità dello Scherzo, al clima idilliaco del Trio ed alla trascinante baldanza del Finale: il tutto comunque secondo coordinate di intensificazione espressiva proprie della Romantik.

Robert Schumann

L’autentica novità della Sinfonia in re minore è però di carattere strutturale, inerendo ai nessi instaurati all’interno dei movimenti stessi, per l’intervento dell’autore sul linguaggio in funzione di un’unitarietà fondamentale, prospettata secondo concezioni del tutto originali. Lo schema unitario della Quarta cioè non si estrinseca soltanto in una semplice sutura tra i vari tempi, come in parte già era stato realizzato da Beethoven, da Mendelssohn o da Berlioz, ma risulta predeterminato dall’impiego «di un materiale tematico derivante da un’unica cellula e con l’adozione di una tonalità cioè il re, maggiore o minore, sostanzialmente immutata, salvo l’inizio della Romanza e del Trio», come ha osservato il Young, il quale poi precisa che «nelle prime battute
dell’Introduzione, Schumann ha collocato il nucleo generatore della Sinfonia, facendo derivare dal disegno degli archi sulla quarta corda il tema principale del primo movimento, il soggetto secondario del secondo tempo e, nello Scherzo, il tema del Trio; dal suo rovescio, discende il primo soggetto del secondo movimento, oltre al tema dello Scherzo; da una nota puntata viene dedotto un disegno – presente pure nell’Introduzione – di note puntate, da cui dipendono il soggetto secondario del primo movimento e il tema principale del Finale». Anche altri motivi e frammenti melodici, che si affacciano successivamente nel corso della Sinfonia in re minore, appaiono sempre interrelati reciprocamente, entro il rigido schema concettuale preordinato dall’autore, che spesso appare intenzionato ad allontanarsi dalla forma della sinfonia tradizionale, per esempio con l’omettere, nel primo movimento, la ripresa, contemplata invece nell’ultimo tempo, quando però non ricompare il tema principale. Tale proposito sembra però contraddetto dal fatto che Schumann ha mantenuto, seppur formalmente, la suddivisione in quattro parti della sinfonia – con i due movimenti estremi elaborati secondo la forma sonata e al centro un tempo lento ed un tempo veloce – quasi volesse rispettare un retaggio, seppure esteriore, della sinfonia convenzionale, nel momento stesso in cui ne innovava la struttura dall’interno, secondo il principio dell’unità tematica. Al riguardo sembra però opportuno anche ricordare che il Werner ha invece osservato «con quale precarietà, rispetto alle sue asserzioni, l’autore ha legato tra loro i movimenti della Quarta, perché il secondo tempo si riallaccia al primo, di per sé già concluso, soltanto in ossequio a un dato schema teorico programmato, mentre il terzo è legato al secondo grazie all’artificio della sospensione alla dominante, il quarto infine al terzo soltanto in virtù di una Coda, dall’evidente forzatura». Altra questione assai interessante è quella dell’orchestrazione perché alcuni critici ebbero ad obiettare un’eccessiva presenza di «raddoppi», lamentando quindi una certa «povertà» di strumentazione: e della Quarta furono realizzate, specie sul finire del secolo scorso e all’inizio del Novecento, varie versioni rivedute. L’opinione corrente al giorno d’oggi è invece di segno contrario: normalmente viene eseguita la stesura dell’autore, nella fondata convinzione che l’orchestrazione di Schumann rappresenti precisamente il suono cui egli pensava.

Gli studi più recenti infine ribadiscono la tesi che il sinfonismo schumanniano è una delle chiavi di volta della creatività orchestrale del XIX secolo, per le influenze suscitate sulle generazioni successive di compositori, da Franck a Bruckner a Mahler ecc., tutti stimolati dall’anelito di Robert Schumann a rappresentare il mondo dei sentimenti in una forma fantastica e dall’inesausta sua lotta per il rinnovamento della musica.

Franz Schubert: Sinfonia n. 8 in si minore “Incompiuta” D 759

Le prime sei Sinfonie di Franz Schubert, composte in tempi brevi tra il 1813 e il 1818, sono opere adolescenziali, che già rivelano una felicissima vena creativa ma non escono da una dimensione scolastica, intesa in una duplice accezione, perché servivano a Schubert come lavori di apprendistato e allo stesso tempo erano destinate (almeno le prime due, mentre non si sa nulla di certo sulle prime esecuzioni delle altre) all’orchestra degli studenti dello Stadtkonvikt di Vienna, di cui Schubert stesso aveva fatto parte.
Nel 1818 il compimento dei ventuno anni d’età segna la fine di quest’esuberante facilità creativa e l’inizio di un rapporto più consapevole e quindi anche più cauto, difficile e tormentato col massimo genere della musica strumentale dell’epoca, elevato da Beethoven a dimensioni monumentali e a significati epici. Inizia allora quella che è stata definita “l’età delle incompiute”: nel maggio 1818, tre mesi dopo la conclusione della Sinfonia n. 6, Schubert comincia una Sinfonia in re maggiore, di cui è quasi completo soltanto l’Adagio introduttivo, che lascia presagire una libertà formale molto interessante, contraddetta però dal successivo Allegro, per quel che si può capire dagli abbozzi.
Al 1821 appartengono gli schizzi per i quattro movimenti di un’altra Sinfonia in re maggiore (in questo caso è stato giudicato particolarmente interessante lo Scherzo, che annuncerebbe già il corrispondente movimento della grande Sinfonia in do maggiore del 1828). Allo stesso 1821 risale un altro progetto sinfonico, in mi maggiore, anch’esso incompiuto: ma, sebbene solo le prime 110 battute siano orchestrate, i quattro movimenti sono abbozzati per intero, tanto che vari musicologi e compositori hanno potuto tentare di completarlo in modo relativamente attendibile.

Sicuramente quello era per Schubert un periodo di ricerca di nuove e personali soluzioni nel campo della grande forma e anche d’insoddisfazione per i risultati di volta in volta raggiunti. Nel 1822 – esattamente il 30 ottobre, come attesta il manoscritto – inizia a scrivere un’altra Sinfonia destinata a non essere completata e a restare l’Incompiuta per antonomasia. Per decenni se ne ignorò completamente l’esistenza e forse sarebbe andata perduta per sempre, se nel 1865 il direttore d’orchestra Johann Herbeck non ne avesse scoperto il manoscritto autografo in casa di un vecchio amico e compagno di studi di Schubert, Anselm Hüttenbrenner: fu lui a dirigerne la prima esecuzione, il 17 dicembre di quello stesso anno a Vienna.
I primi due movimenti della Sinfonia in si minore “Incompiuta” sono completi in tutti i particolari, mentre del terzo resta l’abbozzo dello Scherzo e delle prime battute del Trio. «È chiaro», ne dedusse Alfred Einstein, «il motivo per cui Schubert smise di lavorare a questa Sinfonia.

Franz Schubert

Egli non avrebbe potuto completarla in nessuno dei significati che attribuiamo a questo termine. Lo Scherzo […], che per le prime battute è anche orchestrato, suona come un luogo comune dopo l’Andante. Dobbiamo forse immaginare che Schubert non avesse
alcuna consapevolezza di questo valore? Egli aveva già scritto troppe opere compiute per potersi accontentare di qualcosa di inferiore o anche solamente di più ovvio». Questa spiegazione è stata accusata di eccessivo idealismo da altri musicologi, propensi piuttosto a credere che Schubert non abbia completato la Sinfonia soltanto per motivi molto più pratici, non vedendo alcuna concreta possibilità che venisse eseguita. Entrambe le ipotesi sono plausibili ma non dimostrabili. Innanzitutto, se non sperava che fosse mai eseguita, non avrebbe dovuto nemmeno iniziarla. A favore di Einstein si può inoltre 2osservare che in quegli anni Schubert lasciò incompiuti anche Sonate e Quartetti, nonostante non ci fossero problemi insormontabili alla loro esecuzione. Al contrario il fatto che non ci fossero prospettive di un’esecuzione non fu un deterrente al completamento della Sinfonia in do maggiore, ultimo suo impegno in questo campo.
«Chi potrà fare qualcosa di più, dopo Beethoven?», si chiedeva Schubert mestamente. Indubbiamente la Sinfonia in si minore è un tentativo – assolutamente riuscito nonostante la sua incompiutezza – di dare una risposta a tale domanda. Mentre in Beethoven ogni elemento concorre a costruire una possente architettura e soltanto in quella assume il suo pieno valore, Schubert esalta il valore autonomo del potere ammaliante della melodia, degli espressivi coloriti dell’armonia e del fascino suggestivo del timbro. Anche la dinamica è profondamente diversa rispetto alle Sinfonie di Beethoven: i grandi e possenti ma sempre calibrati crescendo di Beethoven culminano in esplosioni di proporzionata forza sonora, mentre in Schubert i passaggi dal piano al forte non fanno parte di un ampio piano architettonico ma vengono raggiunti con un rapido scatto umorale. In Beethoven il materiale tematico è costantemente elaborato per dar vita a un discorso in continuo sviluppo, che procede da un climax all’altro con un senso di assoluta inevitabilità sino alla fine, mentre Schubert fa scomparire le nervature della forma classica, che pure esteriormente conserva, in modo che il suo discorso possa procedere senza il vincolo di funzioni strutturali, fermandosi a ripetere continuamente i due struggenti e fascinosi temi, come incantato in una mesta meditazione senza via d’uscita.
È su una frase pianissimo mormorata da violoncelli e contrabbassi e continuata dai violini che s’apre l’Allegro moderato: questo non

è il primo tema in senso tecnico ma soltanto un’introduzione e tuttavia assume il valore di un motto che contrassegna l’intero movimento e che ha funzioni pari a quelle del vero e proprio primo tema, una struggente melodia esposta da oboe e clarinetto, e del tenero e affettuoso secondo tema, un innocente Ländler in sol maggiore introdotto da clarinetti e viole e intonato dai violoncelli. Sarà proprio il motivo dell’introduzione a diventare protagonista dello sviluppo, che tocca laceranti tensioni e drammatiche fratture, sottolineate dagli interventi dei tromboni, e a concludere infine, dopo la regolare ripresa della parte iniziale, il movimento.
L’Andante con moto si aggira nello stesso desolato e pessimistico ambito espressivo del primo movimento, illuminato ora dalla luce solo apparentemente più serena e confortante del mi maggiore. Aperto dal suono del corno e del fagotto, si effonde in un primo tema sostenuto dai violini, che si prolunga in una seconda idea, il cui andamento solenne e la cui spessa orchestrazione evocano un corale. Il secondo tema, preceduto da una breve introduzione dei violini primi, è un sublime dialogo tra oboe e clarinetto al di sopra del tremulo scintillio degli archi, ripetuto con continue e instabili modulazioni, per sfociare infine in un episodio di solenne grandiosità, la cui piena sonorità orchestrale non ha la dialettica e il dinamismo beethoveniani, ma assume una atemporale valenza cosmica. Tutta questa parte viene ripresa con varie modifiche e la Sinfonia termina sulla ripetizione del tema iniziale, in una versione ancora più struggente affidata agli strumenti a fiato.

Guido Cantelli

L’ascoltatore non può immaginare quale proseguimento il genio di Schubert avrebbe potuto dare a questa Sinfonia, ma certamente l’incompiutezza rafforza quel senso di domanda senza risposta e di meditazione serenamente ma irreparabilmente pessimistica che ne fa uno dei documenti più autentici e alti dell’arte di Schubert.

Mendelssohn: Sinfonia n. 4 in la maggiore “Italiana” op. 90

Le più conosciute, organiche e personali sinfonie di Mendelssohn sono la quarta e la terza e sebbene l'”Italiana” (1833) preceda di una decina d’anni la “Scozzese” (1843) è noto che le due composizioni furono abbozzate nello stesso periodo, cioè durante il soggiorno dell’autore in Italia (1830-’31). Senonché, una volta a contatto con la natura, le canzoni popolari e le caratteristiche dell’ambiente italiano, Mendelssohn si tuffò esclusivamente nel lavoro dei quattro tempi della Quarta Sinfonia, tanto che in una lettera del 21 febbraio del 1831, scritta da Roma, il musicista così si esprimeva: «Essa procede alacremente; è il lavoro più gaio che io abbia mai finora composto, specialmente nel finale. Niente ancora ho deciso per il tempo lento; forse dovrò aspettare di essere a Napoli per compierlo».
La sinfonia fu eseguita nel maggio del 1833 dalla Filarmonica di Londra diretta dallo stesso autore e fu accolta in modo molto lusinghiero, suscitando però sin d’allora e per molto tempo ancora diverse discussioni in sede critica circa la classificazione dell’opera nel genere romantico o classico. Discussione piuttosto artificiosa e completamente superata, perché questa sinfonia è l’espressione di un felicissimo equilibrio spirituale, in cui i termini di classico e di romantico si fondono e si integrano magnificamente in una sintesi di vivaci colori mediterranei e di autunnali sentimenti nordici.
Il carattere della sinfonia si rivela subito nello slancio e nella spontaneità dell’Allegro iniziale, che si apre con un attacco risoluto e giovanile enunciato rispettivamente dagli archi e dagli strumenti a fiato. Subentra il secondo tema in mi più dolcemente disteso, esposto dai clarinetti e dai fagotti e poi dai flauti e dagli oboi con un sostegno degli archi: i vari motivi si incrociano quindi fra di loro e nella riesposizione degli elementi tematici la seconda idea viene proposta dalle viole e dai violoncelli, mentre l’accompagnamento passa ai flauti e ai clarinetti. Si impongono di nuovo gli strumenti a fiato in un atteggiamento di fanfara, fino a cedere il passo agli archi che riassumono e concludono brillantemente il tempo.
L’Andante con moto è una canzone di nostalgica malinconia che Camille Bellaigue definì come «un richiamo del genio della

Germania, che viene qui a cogliere e a strappare il giovane musicista tedesco da impressioni troppo italiane». Il tema principale esposto dalle viole all’unisono con gli oboi e i fagotti, si alterna con una frase più dolce e serena dei clarinetti, per concludere, dopo una breve ripresa, in modo evanescente e sognante.

Felix Mendelssohn

La serenità ritorna nel terzo tempo con l’originale motivo del Trio dove risuonano corni e fagotti sotto un leggero disegno di violini e flauti: sembra un’antica scena di caccia nella campagna romana.
Il tempo più caratteristico ed emblematico di tutta la sinfonia, tale da riassumere e giustificare il significato del titolo, è il Saltarello
finale che riproduce e rievoca liberamente gli atteggiamenti e le cadenze della popolare danza romana. Il tema è vivacissimo e brillante e scorre su un ritmo a note ripetute in un clima di briosa, spigliata e incandescente animazione.