Sibelius Jean

Concerto per violino e orchestra

Sibelius: Concerto per violino . Humoreske . Serenate

Il concerto per violino op 47 (1903) non incontrò subito il favore di interpreti e pubblico, come del resto la produzione del compositore finlandese in generale, che al di fuori della Scandinavia ebbe risonanza prevalentemente in Inghilterra e negli Stati Uniti. Già alla première, svoltasi l’8 febbraio 1904, erano mancati gli attesi consensi, anche a causa di un’esecuzione che non rendeva giustizia al pezzo. In seguito alle aspre critiche sollevate negli ambiti specialistici il compositore non esitò a sottoporre il lavoro ad una sostanziale rielaborazione, e già un anno e mezzo più tardi la versione riveduta – l’unica oggi in uso – venne presentata alla Singakademie di Berlino. La parte solistica era affidata al violinista ceco Karel Halir; la preparazione e la direzione della Berliner Hofkapelle, cui furono necessarie non meno di tre prove, furono curate niente meno che da Richard Strauss: Sibelius era profondamente emozionato.

Nondimeno il Concerto, una delle pagine più importanti della letteratura romantica nazionale, comparve dapprima assai di rado nei programmi, benché già ai primordi dell’era discografica fosse stato diffuso in tutto il mondo nelle interpretazioni esemplari di violinisti leggendari quali Jascha Heifetz e Ginette Neveu. Lo stesso si può dire ancor oggi per le Humoreske (1917) – quasi completamente assenti dalle sale da concerto – e per le due incantevoli Serenate, composte da Sibelius nel 1912/13.
Chi dovesse percepire la mancanza di elementi tematici individuali in questi lavori provi ad osservare più attentamente la loro elaborazione, spesso sorprendente, brillante anche nella strumentazione; non sarà difficile scoprire inoltre, ad esempio nella Seconda Serenata, analogie con il finale del Concerto per violino.
Indubbiamente il compositore – egli stesso violinista di notevole abilità, secondo il giudizio dei contemporanei – conosceva molto bene i segreti dello strumento: nel Concerto non indietreggia neppure di fronte a moduli espressivi bizzarri e vertiginosamente acrobatici, anzi, proprio grazie a queste idee virtuosistiche e tagliate su misura per lo strumento poteva a buon diritto confutare la tesi secondo cui dopo Brahms non era più possibile comporre un pezzo solistico per violino con accompagnamento orchestrale.
Il lavoro, concepito secondo i modelli classici (il primo movimento in forma- sonata, il secondo strutturato in forma di canzone tripartita, il terzo un rondò- sonata), offre agli interpreti non poche possibilità di brillare artisticamente.
Che l’efficacia di questo pezzo dipenda totalmente dall’abilità esecutiva e dal talento immaginativo del solista è una conclusione che si trae sin dall’originale attacco del violino nel movimento d’apertura (tremoli dei violini divisi in quattro sezioni, dei quali nella quarta battuta si dispiegano, su di un intervallo di quarta, una tematica e un’ornamentazione cariche di energia): la forza espressiva è qui necessaria almeno quanto la perfezione tecnica.
Anne-Sophie Mutter, impegnata a completare l’acquisizione sistematica dei concerti virtuosistici di repertorio, grazie al suo assiduo confronto con la musica del 20o secolo particolarmente adatta a soddisfare tali esigenze, e animata com’è da questa doppia sete di scoperte, risulta oggi adatta quant’altri mai a rendere con gusto e maestria “La sfrenata gioia di suonare che prorompe in queste capriole di selvaggio virtuosismo”, secondo le parole d’una biografia di Sibelius. La violinista si lancia nelle sue interpretazioni con tutto il vigore che la partitura esige – e che intensifica via via con eroico fervore – e vi infonde tutta la passione e la grandiosità espressiva richieste dalla lussureggiante bellezza delle suono tardo-romantico, sia nel ritmo uniforme ed esplosivo dei movimenti estremi che nella melodicità dell'”Adagio di molto” tripartito, con i suoi elementi tematici estesi e ricchi di contrasti che attingono alla musica popolare finlandese. Tale movimento costituisce un esempio ideale di drammaturgia sonora di taglio rapsodico, che nel suo raffinato carattere orchestrale assume quasi una qualità scenica.

Anne-Sophie Mutter

Già nelle prime due Sinfonie, composte in precedenza, Sibelius aveva raggiunto la precisione e la destrezza artigianali che in seguito lo resero capace di abbozzare un finale come quello del Concerto, demonicamente ispirato e tuttavia estremamente intricato nella parte solistica, di un’esuberanza che egli stesso definì “danza ondeggiante sopra le vastità finlandesi”.
Anne-Sophie Mutter, le cui alte virtù violinistiche si manifestano non già in un estro esecutivo baldanzoso e ostentato, bensì in un’interpretazione costantemente concentrata, che fa affiorare l’essenza di un brano, non conosce limiti nelle sue innumerevoli acrobazie artistiche, nell’ampiezza dei salti intervallari, nella vorticosa rapidità di corde doppie e scale di terze, nel fuoco di ritmi ostinati ed effetti di rubato della partitura. Nell’esecuzione dell’artista tedesca insieme alla Staatskapelle Dresden e ad Andrè Previn il Concerto per violino dell’illustre compositore scandinavo si riveste di una luce tutta nuova. Registrazione eseguita nel 1995. Audio eccezionale. Ultraraccomandato

Peter Fuhrmann
(Traduzione: Manuela Amadei)

Concerto in re minore per violino e orchestra op.47

Subito successiva alla nascita della Valse triste è quella del Concerto per violino e orchestra op. 47, partitura di impegno ben maggiore e destinata a imporsi come uno dei Concerti violinistici più singolari dell’intero secolo.
La prima idea del Concerto risale anzi al 1899, e Sibelius rifletté sulla concezione della partitura per diversi anni, realizzando poi la maggior parte del lavoro nella seconda metà del 1903. Ma le vicende di questo brano dovevano poi svilupparsi in modo imprevedibile. Sibelius dedicò il Concerto al violinista Willy Burmester, già primo violino dell’orchestra di Kajanus e poi impegnato in una carriera europea come virtuoso. Ma Burmester non era disponibile a tornare immediatamente in Finlandia per la prima esecuzione, e l’autore si rivolse dunque a Victor Novàcek, docente al Conservatorio di Helsinki. Al debutto della partitura, l’8 febbraio 1904, Novàcek si mostrò non all’altezza della situazione, e la qualità mediocre della sua prova coinvolse, di fronte alla critica, anche il giudizio sul Concerto. Forse anche per questo Sibelius decise di rielaborare sostanzialmente la sua partitura, rendendo meno complessa la parte solistica e soprattutto più snella l’impostazione formale, principalmente nel primo movimento. In questa nuova versione il Concerto venne eseguito a Berlino nell’ottobre 1905, con Karel Halir come solista e Richard Strauss sul podio. Burmester, offeso per essersi visto preferire un altro violinista, non suonò mai la partitura, che incontrò però un progressivo consenso da parte di molti solisti, fino alla registrazione discografica realizzata negli anni Trenta da Jascha Heifetz, che ne sanzionò la celebrità e l’ingresso a pieno titolo nel repertorio.
Il travaglio creativo del Concerto in re minore op. 47 può essere ben compreso se si tiene presente che, con questa partitura – che costituisce la sua unica esperienza concertistica, a parte alcuni brevi brani minori – Sibelius si trovò di fronte all’esigenza di conciliare due fattori difficilmente conciliabili; da un lato la lunga e illustre tradizione del Concerto romantico, in cui il virtuosismo doveva trovare il suo spazio adeguato, dall’altro il proprio personale stile compositivo, in cui l’idea del neoprimitivismo, di una sobrietà e profondità di pensiero, rifletteva una rivendicazione di identità culturale per la Finlandia. Eppure il Concerto di Sibelius si muove in sostanziale equilibrio fra queste due componenti, con un materiale tematico di atmosfera nordica inequivocabilmente sibeliusiana, e con una scrittura violinistica di grande impegno, che stabilisce un rapporto di intima solidarietà con la compagine orchestrale.
Gran parte dell’originalità della partitura è legata certamente alla sua concezione formale, che rielabora secondo una interpretazione fortemente personale gli schemi classici.

André Previn

Il violino, ad esempio, fa il suo ingresso subito all’inizio dell’Allegro moderato, senza introduzione orchestrale, dipanando la sua melodia dolce ed espressiva sul morbido accompagnamento degli archi. Inoltre Sibelius fa un uso del materiale tematico – il secondo tema, più incisivo, è esposto dagli archi – che punta su una continua idea di sviluppo; ecco perché, nel primo movimento, manca una vera e propria sezione centrale di sviluppo, che viene sostituita – guardando direttamente all’esempio di Mendelssohn, che nel suo Concerto per violino collocò la cadenza alla fine dello sviluppo – da una grande cadenza del violino solista. La riesposizione è poi abbreviata e conduce a una coda fortemente affermativa.
Alla complessità di costruzione del movimento iniziale si contrappone, nell’Adagio di molto, una concezione formale molto più semplice, una forma binaria con una breve coda. Una introduzione di due clarinetti e altri legni conduce al tema violinistico, esposto con particolare calore nel registro grave; colpisce soprattutto la costruzione perfetta del movimento, dove, in una intonazione prevalentemente lirica, il violino viene portato ad una perorazione sempre più intensa, che procede con un climax seguito da un anticlimax.
Fortissimo è il contrasto con l’apertura del finale, un Allegro ma non tanto che vede il violino sviluppare un tema fortemente ritmico e incisivo su un
accompagnamento di timpani e degli archi gravi che ha un carattere rituale e primitivo; ma subito il solista si lancia verso passaggi di pronunciato virtuosismo. E questo finale, in una libera forma di Rondò, è interamente segnato dall’elemento ritmico e da quello virtuosistico – anche nel secondo tema, quasi un Valzer esposto dall’orchestra – e in tutti gli episodi secondari. Si tratta di un esito sul quale si scaricano positivamente le forti tensioni che hanno attraversato la partitura in tutte le sue complesse evoluzioni; ma soprattutto il movimento segna al più alto grado quella conciliazione degli opposti che costituisce il problema compositivo più arduo dell’intero Concerto.