Strauss Richard

Metamorfosi – Morte e Trasfigurazione

Che cosa posso dire sulla natura misteriosa e spirituale di questa musica? Simile al Parsifal di Wagner nella sua misticità, racchiude anche alcune sfumature di Mahler. Nella bellissima partitura “Metamorfosi”, Karajan dirige la sezione archi dei Berliner Philharmoniker con stupefacente armonia La musica è sublime. Richard Strauss ha drammatizzato la Morte di Cristo e la sua Resurrezione in un poema sinfonico di grande bellezza. Ancora gli archi sono essenziali in questo spartito. soprattutto nella seconda parte e con Karajan ancora in piena forma la bellezza della musica raggiunge un alto livello di spiritualità. Senza dubbio la migliore registrazione di questo capolavoro. Probabilmente Karajan dirige questo pezzo ormai ad occhi chiusi. Musica che ispira pace, ma allo stesso tempo potenza. Musica anche da meditazione, In particolare “Morte e trasfigurazione” diventa trascendentale nelle sue mani. Audio in DDD spettacolare. Registrazione eseguita nel 1983. Altamente raccomandato.

Richard Strauss: Metamorfosi – Morte e trasfigurazione

Strauss compose Morte e trasfigurazione nel 1899, subito dopo aver completato Don Giovanni, e ne diresse la prima esecuzione il 21 giugno 1890 a Eisenach. Era il primo dei poemi sinfonici cui Strauss aggiunse una dettagliata descrizione programmatica, anche se non era, come spesso si afferma, basato su esperienze personali. La musica descrive e illustra con la più brillante ed evocativa orchestrazione straussiana un idealista che sul letto di morte rievoca i giorni innocenti dell’infanzia, gli amori giovanili e l’incessante lotta verso un fine irraggiungibile durante il resto della sua vita. Dopo la morte, la sua anima si libra verso l’ignoto “per trovare e gloriosamente raggiungere nell’eternità quegli ideali che non possono essere soddisfatti sulla terra”. Formalmente il brano somiglia a un primo movimento di sonata, con un’introduzione lenta e una coda – la Trasfigurazione – in cui tutti i temi sono combinati in una sorta di epilogo.
Il polso tremante dell’uomo morente è suggerito da una figura ritmica per archi e timpani. Altre brevi frasi tratteggiano i suoi sospiri e gemiti; un oboe suggerisce i primi ricordi dell’infanzia. Questa quieta introduzione conduce a un allegro convulso, nel quale viene presentato con forza selvaggia di dolore dell’uomo, e dove il climax è dato da un’affermazione in fff dell’intera orchestra del primo soggetto reale, un forte tema ascendente rappresentativo della volontà di vivere. Quando questo passaggio si quieta, risuona l’importante tema, caratterizzato da un salto di ottava, che rappresenta gli ideali dell’artista (un tema citato da Strauss in Una vita d’eroe e negli Ultimi quattro canti). Nella sezione di sviluppo che segue, iniziante il un garbato sol maggiore, ritroviamo l’infanzia dell’uomo, le sue imprese giovanili (la tonalità eroica straussiana di mi bemolle maggiore) e, in si maggiore, una veemente scena d’amore. Queste energiche reminiscenze provocano una ricaduta, i tromboni e i timpani intonano con fragore la figura del polso tremante. Ma l’impetuoso tema dell’idealismo viene enunciato tre volte ancora, con un’orchestrazione ogni volta più gloriosa. Dopo la terza, ritornano la tranquilla palpitazione dell’inizio e lo stato di dolore. Un colpo di tam-tam segnala il momento della morte. Dal buio che ne consegue emergere il tema dell’idealismo intonato dai corni e, più tardi, dai legni alti.
Gli archi si elevano verso do maggiore è il poema sinfonico termina con un ricamo di modulazioni armoniche che sono fra le più sontuose e magiche di Strauss.
Nel 1949, quando egli stesso era in punto di morte, Strauss disse con disappunto: “La morte è proprio come l’ho composta in Morte e trasfigurazione”. I suoi ultimi anni furono angustiati dell’esilio e dalla calunnia. Vide la Germania distrutta dalle iniquità del Terzo Reich; il bombardamento dei teatri dell’opera di Dresda, di Weimar e di Monaco, che avevano salutato tanti

dei suoi trionfi, lo gettarono nella disperazione.
Quando venne distrutto il teatro dell’opera di Monaco, nell’ottobre del 1943, egli abbozzò alcune battute di “cordoglio per Monaco”, schizzo che riprese nel 1945 quando iniziò lo Studio in do minore per 23 archi soli. Chiamò la composizione Metamorfosi, non a causa di una qualche elaborazione musicale dei suoi temi, ma perché era un termine usato da Goethe, di cui aveva riletto l’opera completa quale conforto dei giorni bui. Metamorfosi è la più grande delle ultime composizioni orchestrali di Strauss. La scrittura per gli archi è assai magistrale, e la musica si sviluppa dalle frasi iniziali in un arco ininterrotto di melodie che si intrecciano e di strutture che si fondono. L’orecchio vi coglie delle quasi-citazioni del Tristano, e il tema principale sembra una citazione della Marcia Funebre dell’Eroica di Beethoven. Strauss negò che ciò fosse internazionale, ma nella tragica apparizione finale, egli cita il tema beethoveniano nel basso, intitolandolo “In memoriam!”.

Michael Kennedy
(Traduzione: Mirella Noack-Rofena)

Metamorhosen studio per 23 archi solisti

«Io sono l’unico compositore vivente che oggi ha una cattiva fama», constatava amaramente Richard Strauss nel 1947, due anni prima di morire; ma, con uno scatto d’orgoglio, l’ottantatreenne compositore aggiungeva: «Per questo la mia musica è la migliore». Così cattiva era la sua fama in quel periodo che Bruno Walter, dopo un’esecuzione di Metamorphosen, ricevette l’indignata lettera di tal avvocato L.C. Mazirel di Amsterdam, il quale gli rimproverava di aver diretto un’opera «scritta in memoria di Hitler, come si capisce bene ascoltandola». Walter rispose facendo garbatamente presente di non aver riscontrato nella partitura alcunché d’hitleriano, ma dicendosi altresì impaziente di ricevere dal suo irato interlocutore – di certo fornito della più vasta cultura in quanto avvocato – un’analisi musicologica di quanto deplorato.
Era però vero che il lavoro era stato composto non molto tempo prima della caduta del III Reich. Strauss, che nel ritiro di Garmisch non aveva mai smesso di scrivere musica – anche se il decadimento fisico, l’incubo della guerra, il freddo, la fame, avevano molto rallentato il suo ritmo di lavoro – quando ebbe tra le mani il giornale che riportava l’immagine della Staatsoper di Vienna ridotta dalle bombe alleate ad un cumulo di fumanti macerie per la violenta emozione ritrovò le forze perdute. La distruzione del teatro dov’erano state rappresentate tante sue opere era avvenuta il 12 marzo: esattamente un mese dopo, Strauss terminava di comporre uno studio per 23 archi solisti cui diede il

titolo di Metamorphosen, e al quale apponeva la scritta “In memoriam”. Solo che non era una memoria rivolta a Hitler, ma alla funesta visione delle grandi tradizioni musicali tedesche oramai avvolte nelle spire di un dissolvimento tragico e ineluttabile. Dappertutto vi sono rovine, e da queste non potrà mai più risorgere il mondo che ha conosciuto un tempo e quella civiltà musicale che gli è stata tanto cara.
Nella responsabilità di questa perdita irreparabile, Strauss accomuna vincitori e vinti, come si può leggere in una pagina dei suoi Blaue Schreibhefte (i famosi quaderni blu su cui prendeva appunti) che intitolò significativamente Deutschland: «Il 12 marzo, anche la splendida Opera di Vienna è caduta sotto le bombe. Ma a partire dal 1° maggio è possibile considerare finito il periodo più orrendo dell’umanità, un dominio, durato dodici anni, della bestialità, dell’ignoranza e dell’odio verso la cultura, durante il quale il bimillenario sviluppo culturale della Germania è andato in rovina, e insostituibili monumenti e opere d’arte sono stati distrutti da una soldataglia delinquenziale». Il tutto compreso tra due versi di Lutero,. «So ist der Leib zwar tot,/der Geist aber ist das Leben» (anche se il corpo è morto, lo spirito è vita) e l’invettiva finale “Fluch der Technik”, maledizione alla tecnica, denominatore comune di vincitori e vinti.
La prima esecuzione di Metamorphosen ebbe luogo a Zurigo il 21 gennaio 1946. La dedica infatti è per Paul Sacher, il direttore, e per il Collegium Musicum della città svizzera che ne diede l’esecuzione. Dieci violini,, cinque viole, cinque violoncelli, tre contrabbassi compongono l’organico strumentale. Il pezzo è caratterizzato da un unico movimento, in continua trasformazione (da qui il titolo di Metamorphosen), costituito da un Adagio ma non troppo dove, in un cammino a ritroso – dopo la distruzione, prima della distruzione – il tema della marcia funebre beethoveniana subisce una serie di rovesciamenti e di trasformismi, per tornare nella sua integrità a suggello della composizione. Una parte centrale più vivace, con reminiscenze dei poemi sinfonici dell’autore, anziché attenuare l’angoscia che serpeggia nella partitura, l’accentua sinistramente. Sergej Koussevitzky una volta disse che, quando dirigeva Metamorphosen, aveva “le lacrime agli occhi e dolore al cuore”.

Tod und Verklaeung (Morte e Trasfigurazione) poema sinfonico op. 24

Schopenhauer, nel Mondo come volontà e rappresentazione, osservava che nella mitologia indiana (“di tutte la più saggia”) il dio che incarna la distruzione e la morte, Shiva, possiede come attributi la collana di teschi e il linga, la pietra fallica. Il conflitto permanente tra l’individuo e il mondo, tra l’impulso vitale e l’indifferenza della natura, indicato da Schopenhauer, aveva trovato nel Tristan und Isolde di Wagner la sua più alta forma di rappresentazione. Amore e morte è il tema cruciale dell’opera.

Richard Strauss

La scena finale dell’opera, il canto di Isolde sul corpo di Tristano, cerca la soluzione di quel conflitto nella trascendenza, nel passaggio a una forma “altra”, diversa da quella umana, di concepire quel desiderio di vita, che costituisce la fonte inesauribile dell’eros. Wagner chiamava il Liebestod di Isolde una Verklärung, una trasfigurazione.
Mahler e Strauss concepirono il proprio mondo in sintonia con la cultura del loro tempo, in cui le voci moderne erano Schopenhauer, Wagner, Nietzsche. Su questo sfondo di idee e di sensibilità si collocano entrambe le musiche in programma nel concerto odierno, malgrado le loro grandi differenze formali e spirituali.
La soluzione che Wagner aveva prospettato nel finale di Tristan costituisce lo sbocco poetico anche della terza Tondichtung di Richard Strauss, Tod und Verklärung (Morte e trasfigurazione). La musica fu composta tra il 1888 e il 1890, anno in cui Strauss diresse la prima esecuzione del lavoro a Eisenach. Il programma ideale del pezzo è sintetizzato dall’autore in una lettera del 1894, indirizzata all’amico Friedrich von Hausegger: «Sei anni fa mi venne in mente l’idea di rappresentare musicalmente in un poema sinfonico i momenti che precedono la morte di un uomo, la cui vita fosse stata un continuo tendere ai supremi ideali: un tale uomo è per eccellenza l’artista».
Tod und Verklärung descrive l’ultima notte di un malato, che giace assopito nel ricordo di un momento di felicità. Il sonno leggero è interrotto da un soprassalto del male, finché l’allentarsi della morsa del dolore gli permette di ripensare alle grandi aspirazioni della sua vita. Avvicinandosi alla morte, l’uomo si rende conto che gli ideali per cui ha vissuto e combattuto giungeranno a compimento nella forma più splendilida solo nello spazio eterno, in cui la sua anima troverà finalmente riposo.
L’argomento è esposto in una poesia di Alexander Ritter, che accompagna la partitura. Lo stile enfatico e declamatorio dei versi mescola il Kitsch al gusto macabro ampiamente diffuso tra i giovani artisti dell’epoca, come dimostrano certe pagine di Arrigo Boito o di Iginio Ugo Tarchetti nella nostra letteratura. È interessante però notare come il motivo della trasfigurazione rimanga un tema duraturo nella sua opera. In uno dei Vier letzte Lieder, Im Abendrot, composto a quasi sessanta anni di distanza da Tod una Verklärung, Strauss cita molto delicatamente, come un ricordo lontano, il tema della Verklärung intrecciato a quello dei fruendliche Träume, dopo che la voce ha terminato di cantare “è forse questa la morte?”. Non fu, per Strauss, l’ultima citazione di Tod und Verklärung. Quirino Principe racconta così gli ultimi giorni del musicista:
Ai primi di settembre disse ad Alice: “È come se ascoltassi musica!”. “Vuoi carta da musica?” “L’ho già scritto sessant’anni fa, in Tod und Verklärung. È
così, è proprio così…”. Uremia, angina pectoris, maschera d’ossigeno: l’ultima sua maschera. Erano le 14.12 di giovedì 8 settembre 1949, e un nome fu pronto per l’albo dei rimpianti e delle vanità.
Tod una Verklärung è un’eloquente testimonianza della crisi in cui si trovarono coinvolti i compositori venuti dopo Wagner. La parte narrativa è sviluppata in uno stile naturalistico, che rende problematico il rapporto tra gesto e metafora. Strauss, però, è attento ad articolare il percorso della vicenda su una struttura musicale solida, in una forma riferita all’arco di tensione classico: esposizione – sviluppo – ripresa.
In questa fase, incluso il tentativo della prima opera Guntram, Strauss era impegnato a forgiare i mezzi per creare un’originale drammaturgia musicale. Una folta schiera di suoi contemporanei inclinava verso l’imitazione degli aspetti esteriori della musica di Wagner, senza comprendere il senso autentico del suo teatro, che nasce dal ceppo delle forme musicali. Strauss, invece, cercò di continuare in modo moderno la strada di Wagner, mescolando l’idea di dramma musicale con il linguaggio strumentale del suo tempo. L’intero percorso dei Poemi Sinfonici è interpretabile come un grande periodo d’apprendistato teatrale, in cui Strauss mise a punto gli strumenti utili per il mondo prediletto dalla sua natura, quello dell’opera. La ricca immaginazione dell’autore arriva così a ricoprire d’immagini un torso sinfonico, che non è già autentico teatro musicale, ma solo la locandina di un dramma ancora da rappresentare.
È facile seguire sulla partitura, con un occhio al programma poetico, la sequenza degli episodi: la debole pulsazione del battito cardiaco, il sogno di un antico sorriso, l’insorgere della crisi, la lotta contro la morte, il quietarsi del dolore, la visione dell’ideale trascendente. Norman Del Mar ha osservato che Tod und Verklärung si apre su una scena d’opera vera e propria. Si potrebbe forse aggiungere che somiglia piuttosto all’espressionismo del cinema muto, dove l’attore, privato della parola, torce il volto e muove il corpo con gesti esagerati, nell’urgenza di comunicare le emozioni.
Non è da sminuire questa fase di passaggio verso forme più originali. Il desiderio di dar vita con la musica a un repertorio d’immagini corrispondeva alla ricerca di un’accelerazione della drammaturgia. Lo stile di Strauss è sempre diretto, anche in queste opere di apprendistato. Il secolo correva più in fretta e l’autore sentiva la necessità di modellare la scena in pochi, essenziali quadri di rapida presa. Non era più il momento delle interminabili notti wagneriane, al loro posto l’autore cerca la plasticità immediata dei gesti e la contrapposizione sintetica delle situazioni. Tod una Verklärung è ricca di riferimenti a Wagner, ma la trasfigurazione della vita nella morte avviene ora all’interno di un tempo scandito dal ritmo dei motori.