Verdi Giuseppe

Oberto

Nel 1836 il ventitreenne Verdi è a Milano per tentare la fortuna con il suo primo lavoro per il teatro, un dramma storico. Prima pensa a un “Rochester” su libretto della Tasca, poi a un “Hamilton” su testo di Antonio Piazza, infine si decide per “Oberto, conte di San Bonifacio” sempre del Piazza ma modificato da quel Temistocle Solera che gli scriverà altre quattro opere. Passeranno però quasi

quattro anni prima che Verdi possa vedere il lavoro sulle scene.
Il discreto successo con cui fu accolto al teatro alla Scala nel novembre 1839 gli assicurò 14 recite, ma se il pubblico «parco d’applausi al primo atto, esuberò in acclamazioni al secondo» meno benevola fu la critica indecisa se vedere nel lavoro qualcosa di nuovo oppure ritrovarvi lo stile donizettiano o rossiniano allora imperante. E in effetti ‘”Oberto” è sì nel solco della tradizione, ma già fanno capolino il piglio teatrale e l’energia dei personaggi, fra tutti quell’Oberto, primo di una serie interminabile di ‘padri’ nell’opera verdiana. Caratteristici sono già i finali un po’ bandistici con gran frastuono di piatti e percussioni varie.

Oggi ci sono poche opportunità di vedere quest’opera messa in scena, così poche che ci si potrebbe chiedere se quest’opera abbia una forza tale da poter essere interpretata ancora oggi e se questa produzione le rende giustizia. Rispondo con un bel “sì” ad entrambe le domande. Il canto è davvero adeguato in ogni punto, i numeri del coro sono particolarmente stimolanti e la scenografia è giusta senza stranezze varie. Le esibizioni sono spesso seguite da grandi applausi.
Audio e video discreti.
Una piacevole serata all’opera. Raccomandato.