Von Weber Carl Maria

Invito alla Danza

Nella Breve storia della musica (pag. 229), Massimo Mila accredita a Weber una “diabolica abilità nella combinazione di timbri”: aggettivazione quanto mai pertinente, se si considera che tale qualità diede frutti particolarmente suggestivi proprio nell’evocazione di ambienti spettrali come la Gola del lupo nel Freischütz. Eppure, tanta abilità non fu sufficiente a fare di lui un grande sinfonista nel senso classico del termine. Le sue uniche due sinfonie (la seconda delle quali, primo tempo a parte, è così sommaria da sembrare un abbozzo o poco più) sono esperimenti giovanili, basati su strutture haydniane semplificate, la cui gracilità è messa in ancor maggiore risalto dalla corposità degli effetti orchestrali: con l’aggravante che i temi appaiono costruiti proprio in funzione della timbrica ben più che dell’elaborazione.
La grandezza sinfonica di Weber si manifesta invece appieno nel libero mondo dell’ouverture: soprattutto in quelle delle tre grandi opere, che ne passano in rassegna i temi più suggestivi con tecnica combinatoria sopraffina. Qui il talento dell’orchestratore si è fatto così consumato da poter all’occorrenza anche rischiare la spericolatezza: come quando, nell’ouverture dell’Oberon, decide di far intonare – e mai verbo fu meno appropriato – il tema del coro conclusivo alle trombe, cioè proprio a strumenti che, se da un lato gli conferiscono la veste strumentale più suggestiva, dall’altro ne mettono però spietatamente in luce gli effetti dissonanti.
Abbiamo poi le ouvertures delle opere minori e quelle da concerto. Fra di esse spicca per brillantezza quella brevissima di Abu Hassan, Sinsgpiel in un atto tratto dalle Mille e una notte dove si tratta di un uomo che si finge morto per sfuggire ai creditori, come farà poi il Lizio Gallo della pirandelliana Berretta di Padova. Il clima timbrico è quello delle musiche turchesche con piatti, timpani e triangolo, come nelle ouvertures del Ratto di Mozart, del Moro di Salieri o di Alì Babà di Cherubini; salvo che la sostanza musicale è poi piuttosto di marca zingaresca. Il dominatore degli spiriti, dal canto suo, catalizza in forma sintetica quelle avvolgenti atmosfere demoniache che avrebbero trovato l’attuazione suprema nel secondo atto del capolavoro, mentre Peter Schmoll, notevole per ampiezza e solidità costruttiva, si colloca a mezza via tra Haydn e il primo Rossini, ma sempre con timbriche inconfondibilmente weberiane.
Dalla silloge di Karajan – che, par quasi banale rilevarlo, si segnala per ricercatezza timbrica e cesellatura dei dettagli – sono rimaste fuori alcune delle ouvertures meno note, come la spagnolesca Preciosa e la britannica Jubel- Ouverture, dove viene letteralmente portato in trionfo il tema dell’inno nazionale inglese. Abbiamo, in compenso, il celeberrimo Invito alla danza, che Weber compose nel 1819 sotto forma di “rondò caratteristico” per pianoforte in re bemolle maggiore: la versione orchestrale è dovuta ad uno strumentatore se possibile ancor più diabolico di lui, Hector Berlioz, che la approntò nel 1841 in vista di un allestimento parigino del Freischütz, dove, al solito, non si poteva fare a meno di una scena di balletto. E più diabolica che mai, nell’originale come nell’adattamento, è la scelta di chiudere con una ripresa dell’introduzione lenta (per Berlioz, sotto forma di assolo del violoncello), quando, dopo una coda trionfale seguita a bella posta da una lunga pausa, il pubblico è fatalmente già scoppiato ad applaudire. Anche se a dire il vero, nel programma originario della composizione, quello che oggi può sembrarci uno scherzo un po’ maligno si spiegava del tutto innocentemente con l’intento di evocare il risveglio di una fanciulla da un sogno.
Registrazioni eseguite dal 1972 al 1973 e rimasterizzazione effettuata nel 1986. Altamente raccomandato per non dire imperdibile!

Carl Maria von Weber Invito alla danza

“Invito alla danza: siamo trasportati nell’atmosfera festosa di una sala da ballo, si sente una sommessa confusione di voci, il fruscio delle vesti delle dame, il tintinnare armonico dei bicchieri. Un rondò della gioia di vivere. Weber stesso ha chiarito che cosa volesse dire con questa composizione da lui dedicata alla sua giovane moglie e dietro cui è possibile supporre un’esperienza personale: “Introduzione. Primo approccio del ballerino che riceve una risposta elusiva della dama. Il suo invito si fa più insistente. Lei acconsente ora al suo desiderio. Parlano insieme. Lui comincia, lei risponde, l’espressione di lui si fa più intensa, lei consente con più trasporto. Adesso parlano della danza! Lui le fa un invito diretto a ballare, lei risponde, essi si avvicinano l’uno all’altra, si portano sulla pista da ballo; attendono che la danza inizi – La danza. – (Mentre danzano si parlano nuovamente e si dichiarano reciprocamente il loro amore). Fine della danza: il ringraziamento di lui. La risposta di lei. Si allontanano dalla pista. Silenzio”.

Herbert von Karajan

A rigore di termini, Weber ha scritto una sola Ouverture da concerto che non sia legata né ad un’opera né a una musica di scena, la Jubel Ouverture op. 59 del 1818, alla cui conclusione risuona l’inno “Heil Dir im Siegerkranz”. Tutte le altre Ouvertures appartengono a opere destinate alla scena e si pongono pertanto in relazione, quanto al contenuto, con l’opera che precedono.
La grande Ouverture da concerto op. 8 introduceva originariamente la sfortunata opera Peter Schmoll. Nella versione del 1807 Weber vi aggiunse qualche battuta e integrò l’organico con due clarinetti, un trombone e tre timpani. – L’Ouverture del Dominatore degli spiriti op. 27 fu composta nel 1811; si tratta di un profondo rimaneggiamento dell’Ouverture dell’opera rimasta incompiuta Rubezahl, il cui manoscritto è andato perduto. – Per quanto il soggetto che sta alla base dell’opera Abu Hassan, che ottenne un modesto successo di stima il 4 giugno 1811 al Residenztheater di Monaco, sia tratto dalle “Mille e una notte”, Weber evita ogni colorito orientale.
Dopo l’inizio impetuoso, l’oboe fa suo il secondo tema, ripreso poi anche nello sviluppo. – È solo nel 1821 con il Franco cacciatore che a Weber riesce di creare un capolavoro. L’opera lo fa rapidamente conoscere, di più: lo rende popolare. Il colore specifico dell’opera è ottenuto da Weber sfruttando timbricamente i suoni profondi del corno e del registro scuro dei clarinetti. Con il Franco cacciatore Weber crea un’opera romantica tedesca. – Euryanthe è il primo tentativo di Weber di comporre una grande opera il cui libretto fosse musicato per intero, senza recitativi parlati. L’inizio dell’Ouverture è di splendore cavalleresco, nella ripresa Weber spinge il cantabile secondo tema (Aria di Adolar) fino ad un fortissimo, e alla sua seconda comparsa intensifica l’effetto sonoro mediante il raddoppio all’ottava del secondo violino, un collaudato effetto di strumentazione impiegato già dai compositori d’opera italiani. – L’Ouverture dell’Oberon, l’ultima opera di Weber, comincia con il richiamo del corno di Huon.
Anche qui Weber sfrutta il raddoppio all’ottava per ottenere la splendida sonorità del tema principale. Il secondo tema (in la maggiore), eseguito dai clarinetti, è ripreso dai violini (dolce) e infine trapassa nel tema esultante di Rezia dall’Aria dell’Oceano. – Per quanto le due ultime opere di Weber siano ricchissime di musica entusiasmante, esse sono quasi scomparse dal repertorio operistico. Le loro Overtures ne mantengono vivo il ricordo.

Heinz Becker
(Traduzione: Adriano Cremonese)