Bedrich Smetana

La Moldava

Oltre la splendida esecuzione dell’ultima Sinfonia di Dvorák in questo CD vi è una delle riproduzioni migliori della “Moldava”, sicuramente la composizione più nota di Bedrick Smetana.
Nonostante a detta di molti queste registrazioni, fatte negli ultimi anni di vita di Karajan, non siano il massimo artisticamente parlando, io le adoro perché ritengo facciano traspirare la sua forza d’animo. L’audio riprodotto sembra essere perfetto. Questo potrebbe essere considerato un difetto poiché la musica risulta talmente perfetta da sembrare finta e montata in maniera artificiale. Invece non dimentichiamoci che sono stati tra i primi cd ad essere registrati in DDD, cioè, ogni singola fase, dalla registrazione alla masterizzazione, è fatta digitalmente e l’audio risulta per questo stupefacente. Registrazione effettuata nel 1985.
Altamente raccomandato.

 

Smetana: “La Moldava”

(1874), il secondo brano del ciclo per orchestra “La mia patria” (Má vlast), offre con le sue variazioni del motivo del Vysehrad una specie di topografia della Moldava. Alle sue sorgenti vi sono dei piccoli rigagnoli (tema introduttivo dei flauti), e quindi il fiume si ingrossa e serpeggia nel paesaggio boemo e moravo costeggiando rupi e foreste, teatro di ridde degli elfi e di feste rustiche, per raggiungere infine, dopo aver attraversato delle rapide, Praga e il Vysehrad, la rupe scoscesa su cui fu eretto il primo Castello di Praga.
Il ritmo in 6/8, la tonalità elegiaca di mi minore e il lustro di un’istrumentazione di tipo lisztiano caratterizzano questo poema sinfonico, testimonianza elevata di un’arte di spirito nazionale.

Dvorák: Sinfonia n. 9 “Dal Nuovo Mondo”

Anche le Sinfonie composte da Antonin Dvorák raggiunsero il numero fatidico di nove. La sua Nona e ultima Sinfonia fu composta nel 1893 in America, il “Nuovo Mondo” dove nel secolo 19o si era riversato un flusso di dinamici emigranti e dove Dvorák era stato chiamato a dirigere la Nazional Conservatory di New York.
La Sinfonia è contraddistinta da una grande incisività. Temi brevi e assai pregnanti di quattro o anche otto battute risuonano con accento spontaneo, naturale, semplice.
Reminiscenze pentatoniche conferiscono soprattutto al malinconico Largo una nota stimolante di esotismo. La tendenza che si può ravvisare nella configurazione tematica, e cioè di ritornare sempre sulla nota fondamentale, crea attraverso queste accentuazioni del fulcro melodico un tono fondamentale di malinconia slava.
Si riallaccia alla musica popolare la tecnica di far risuonare i temi ed inserire le esplosioni dinamiche sul sostrato creato da note prolungate o da quinte di bordone.
Il principio della costruzione ciclica divenuto consueto a cominciare da Berlioz e Liszt, si può rilevare nel legame instaurato tra i quattro movimenti mediante un tema in accordi, che emerge dall’introduzione (Adagio) profilandosi come un segnale del corno e ritorna in ogni movimento con la funzione di elemento unificatore.
Sarebbe ingiusto rimproverare a Dvorák di aver fatto uso di citazioni del folklore americano: “Io” – così il compositore stesso – “non ho impiegato nessuna di queste melodie. Ho scritto semplicemente temi originali, nei quali ho immesso elementi peculiari della musica dei pellirosse. E nel prendere spunto da questi temi, li ho sviluppati servendomi di tutte le risorse della ritmica, dell’armonizzazione, dell’elaborazione contrappuntistica e della colorazione orchestrale dei tempi moderni”.
Il movimento iniziale in 2/4 ha una costruzione chiaramente conforme allo schema classico; il motivo secondario e il complesso tematico conclusivo sono, secondo le regole scolastiche, in sol minore e sol maggiore, dove il tema in sol minore dei flauti e oboi riceve il suo caratteristico accento dalla diminuzione del settimo grado.
Il tema principale dell’Allegro molto, ritmicamente marcato, è costituito dal motivo ciclico dell’intera Sinfonia, che qui risuona nella sua chiara veste tematica in accordi.
Alla prima frase di quattro battute del tema, intonata dal corno, ne segue un’altra, pure di quattro battute, affidata ai legni che procedono ad intervallo di terza. Il Largo in re bemolle maggiore con il suo tema intonato dal corno inglese, di carattere elegiaco e sempre ripiegante sulla sua armonia di base, e con la sua sezione centrale più mossa nella tonalità di do diesis maggiore, raggiunta enarmonicamente, è una delle più popolari composizioni di Dvorák. Il movimento si apre con sette accordi, di andamento greve e intensamente modulanti, dei fiati (tra i quali quattro corni, due tombe, tre tromboni e una tuba). La parte centrale in do diesis maggiore è più una sezione di sviluppo che di contrasto.
Kerbert von Karajan

Lo Scherzo (in mi minore e nella misura di 3/4) ha una fisionomia chiara e differenziata al tempo stesso, varia ma anche ben definita. Il motivo che funge da motto crea un legame unitario tra i vari episodi.
Nel Trio in do maggiore si può rilevare chiaramente l’intimo legame che ricollega Dvorák a Schubert: significativi a riguardo gli accordi dei legni sulle note prolungate degli archi. Come sarà nelle Sinfonie mahleriane, anche il movimento finale di questa Sinfonia di Dvorák si pone a coronamento e fulcro dell’intera opera.
Vi si ripresentano i temi principali dei movimenti precedenti, mentre il vero e proprio tema del finale è una variante del motivo di base della Sinfonia. Sviluppo, procedimenti contrappuntistici e modulatori sono elaborati con la massima accuratezza.

Karl Schumann
(Traduzione: Gabriele Cervone)

Vltava (“La Moldava”)

In quanto sede della corona di Boemia, che cingeva il capo dell’imperatore d’Austria, Praga era, al pari di Budapest, una delle capitali dei domini degli Asburgo e orbitava intorno a Vienna, dal punto di vista politico e anche musicale. Questo non generò alcun tipo di rivalità, almeno finché il cosmopolitismo del Settecento non cedette il passo al nazionalismo dell’Ottocento, quando la sempre più ricca, numerosa e potente borghesia ceca cominciò a mal sopportare il governo straniero. Il desiderio d’indipendenza politica ebbe come corollario la ricerca di una differenziazione dal dominatore anche in campo culturale e, più specificamente, musicale: nacque così la scuola nazionale ceca, una delle più vivaci fra quelle sbocciate verso la metà del Diciannovesimo secolo in quei paesi europei, dalla Spagna alla Norvegia e alla Russia, che erano stati fino ad allora colonizzati dalle nazioni musicalmente dominanti, cioè Italia, Francia e Germania. Ma la rivolta antitedesca dei musicisti cechi era in un certo senso paradossale, perché essi stessi erano profondamente intrisi di cultura austro-tedesca.
Anche Bedrich Smetana fu educato nella lingua tedesca e non scrisse una sola parola in ceco fino ai trentadue anni d’età. Quanto alla musica, da giovanissimo ammirava incondizionatamente Mozart e Liszt (“Con l’aiuto di Dio, sarò un Liszt della tecnica e un Mozart della composizione”: che bizzarro abbinamento!) e poi conobbe personalmente Liszt, Schumann e Berlioz, subendone l’influenza, cui si può aggiungere quella di Weber. Ma una formazione di questo tipo era perfettamente conciliabile con un appassionato
patriottismo, dunque si deve dare credito ai suoi connazionali, che hanno proclamato Smetana “il padre della musica ceca”.

Bedrich Smetana

Il suo nazionalismo consistette nello scrivere opere e poemi sinfonici ispirati alla storia, alla natura e alle leggende della patria e ad usare la lingua ceca nella
musica vocale, ma, per quanto riguarda gli aspetti strettamente musicali, solo la sporadica citazione di melodie e danze popolari rivelava la mano d’un musicista ceco. Tuttavia anche questo – per quanto possa apparire poco – non va sottovalutato, se si pensa che ancora nel 1905 la semplice richiesta di poter usare la lingua ceca accanto al tedesco all’università di Praga fu respinta brutalmente dal governo austriaco.
Insieme e più delle opere teatrali, le composizioni emblematiche del nazionalismo musicale di Smetana sono i Poemi Sinfonici, soprattutto i sei composti dal 1874 al 1879 e riuniti col significativo titolo Ma Vlast (La mia patria).
Il 20 novembre 1874 Smetana cominciò a lavorare alla Moldava – il più popolare dei suoi Poemi Sinfonici, dedicato al fiume che attraversa tutta la Boemia e si getta nell’Elba – e la completò in appena tre settimane. Erano passati soltanto pochi giorni da quando all’improvviso aveva perso l’udito quasi completamente, a causa di un sibilo incessante, che lo tormentò per il resto della sua vita e lo condusse infine alla follia: tuttavia continuò a comporre finché gli fu possibile, con una forza morale che lo avvicina a Beethoven.
La prima idea di questo pezzo risaliva a ben sette anni prima, al 1867, quando aveva buttato giù alcuni abbozzi sotto la suggestione di una gita al punto in cui i fiumi Vydra e Otava riuniscono le loro acque, formando la Moldava. Tre anni dopo un nuovo spunto gli venne da un’escursione alle rapide di San Giovanni, quando annotò: “Ho navigato in una barca sulle onde immense e sull’acqua profonda; la vista sul paesaggio delle due rive era magnifica e grandiosa”. Come per gli altri Poemi Sinfonici, il programma della Moldava fu pubblicato come prefazione alla prima edizione della partitura: “Due fonti sgorgano all’ombra della foresta boema, una calda e zampillante, l’altra fredda e tranquilla. Le loro acque scorrendo allegramente sul letto roccioso scintillano ai raggi del sole mattutino e, unendosi, formano il fiume Vltava [nome ceco della Moldava], che attraversando le valli della Boemia diventa un ampio fiume. Scorre in mezzo a folti boschi, in cui si sentono sempre più vicini gli allegri rumori della caccia e i suoni dei corni dei cacciatori, e attraversa pascoli erbosi e pianure, dove si celebra una festa di nozze con canti e danze. Di notte le ninfe del bosco e dell’acqua appaiono nelle sue onde luccicanti, in cui molte fortezze si riflettono come testimoni della gloria passata dei cavalieri e della fama guerriera svanita di epoche trascorse. Alle rapide di San Giovanni il fiume si getta ondeggiando tra le cataratte e con i suoi flutti spumeggianti si apre una strada attraverso i passaggi tra le rocce, fino all’ampio letto in cui scorre verso Praga, accolto dall’antica e onorata rocca di Vyserhad, dopo di che si allontana svanendo allo sguardo del poeta”.

Il programma è tradotto in musica con immediata evidenza: le due sorgenti sono rappresentate dal motivo leggermente ondeggiante dei due flauti (la prima) e dei clarinetti (la seconda) e acquistano progressivamente forza, finché violini, oboi e fagotti si uniscono nel tema del fiume, che tornerà più volte in seguito, dando a questo Poema Sinfonico la forma d’un Rondò (questo tema, pietra angolare della musica nazionale ceca, è in realtà derivato da una melodia popolare svedese, che Smetana aveva sentito negli anni in cui aveva insegnato a Goteborg). Corni e arpe descrivono lo scorrere della Moldava nel bosco, quindi gli squilli e i segnali della caccia si uniscono al motivo del fiume. Quando lungo le rive si svolge la festa nuziale campestre, si ascoltano una Polka e una Marcia. Un momento di magica emozione è costituito dalle figurazioni in pianissimo degli strumenti a fiato che accompagnano la danza acquatica delle ninfe, al sorgere della luna, la cui luce si riflette sull’acqua. Il fiume scorre placidamente, finché accelera e si getta spumeggiando nelle rapide di San Giovanni. Ripreso il suo corso solenne, giunge alle porte di Praga e passa sotto la fortezza di Vysehrad, simbolo della nazione ceca (qui Smetana cita il tema principale del primo dei Poemi Sinfonici di Ma Vlast, intitolato appunto Vysehrad). Attraversata Praga, la Moldava scorre inesorabilmente verso l’Elba e la musica svanisce lentamente, ma la narrazione si chiude con due sonori accordi finali.

Dvorák: Sinfonia n. 9 in mi minore “Dal Nuovo Mondo” op. 95

Quando nel 1891 Jeannette Thurber, mecenate e fondatrice del National Conservatory of Music di New York propose ad Antonìn Dvoràk di trasferirsi negli Stati Uniti per dirigere quel Conservatorio, offrendogli una somma di 15.000 dollari annui, si rivolgeva ad uno dei compositori più famosi di tutta Europa, che aveva ricevuto anche due lauree honoris causa conferitegli rispettivamente dall’Università di Praga e dall’Università di Cambridge. Dopo le prime perplessità Dvorak si risolse a partire, e il 17 settembre 1892 si imbarcò per l’America insieme con la moglie e due dei figli. Accolto con grande entusiasmo, tenne il suo primo concerto il 21 ottobre, proprio in coincidenza con il quarto centenario dello sbarco di Colombo, e tre mesi dopo iniziò a comporre la Sinfonia in mi minore detta “dal Nuovo Mondo”. Suo primo lavoro “americano” e ultima delle sue Sinfonie (inizialmente numerata come quinta perché, delle nove Sinfonie di Dvoràk, le prime quattro furono pubblicate postume), appare permeata dalla nuova atmosfera nella quale si trovò a vivere il compositore, che affermava: «Mi piace molto e si distingue in modo sostanziale dalle mie precedenti composizioni.

Antonin Dvorák

Certamente l’influenza dell’America può esser sentita da chiunque abbia un naso». E ancora: «Credo che la terra americana influenzerà in modo benefico i miei pensieri, e potrei quasi dire che qualcosa del genere si sente già nella nuova Sinfonia». Sin dalla sua prima esecuzione, avvenuta alla Carnegie Hall di
New York il 16 dicembre 1893, la Sinfonia “dal Nuovo Mondo” ebbe un successo enorme e acquistò da allora una grandissima popolarità nel repertorio sinfonico. Molti vollero vedervi, equivocando, una musica piena di sentimenti patriottici, costruita su melodie della tradizione popolare negra o indoamericana, salutando addirittura la nascita di una scuola nazionale statunitense, è vero che Dvorak fu molto attratto da alcune musiche americane, soprattutto dagli spirituals («nelle melodie dei neri d’America ho potuto trovare tutto ciò che serve a una grande e nobile scuola di musica. Esse sanno essere patetiche, tenere, appassionate, malinconiche, solenni, religiose, vigorose, amabili allegre […] Non vi è nulla in tutta la varietà del comporre che non possa essere detto con questi temi») e dai songs di Stephen Collins Poster, che aveva conosciuto grazie al giovane cantante di colore Harry Burleigh.
Ma nella sua nuova Sinfonia non citò alcun tema e, pur condividendo l’idea che si trattasse di una “Sinfonia americana”, non voleva che si facesse troppo caso al titolo, aggiunto all’ultimo momento prima di inviare la partitura al direttore d’orchestra Anton Seidl che ne diresse la prima. Alla vigilia della prima, in un’intervista sul New York Herald del 5 dicembre, dichiarò: «È lo spirito delle melodie negre e degli indiani d’America che mi sono sforzato di ricreare nella mia nuova Sinfonia. Non ho usato neanche una di quelle melodie. Ho semplicemente scritto dei temi caratteristici incorporando in essi le qualità della musica indiana, e usando questi temi come mio materiale li ho sviluppati servendomi di tutti i moderni mezzi del ritmo, del contrappunto e del colore orchestrale». Come in altre Sinfonie di Dvorak si coglie il sapore boemo senza che vi siano citate melodie popolari boeme, così in questa Sinfonia sono semplicemente alcune strutture ritmiche e intervallari (matrice ricorrente è la successione di una terza minore ascendente, una nota ribattuta e un frammento di scala discendente, associata spesso a un ritmo giambico) ad alludere alla musica americana, e i suoi temi sono semmai più vicini all’idealizzazione di un canto popolare che all’ipotetico originale. La partitura, portata a termine il 24 maggio 1893, mostra la chiara impronta della scrittura sinfonica tedesca, soprattutto brahmsiana, una rigorosa forma classica, ma anche una concezione ciclica data dal ricorrere del tema principale (esposto nel primo movimento dal corno, dopo l’introduzione lenta), che affiora nei movimenti successivi, e dalla ricapitolazione di tutto il materiale tematico nel finale. Il movimento più celebre della Sinfonia è il Largo, che si apre con un corale modulante degli ottoni seguito da una nostalgica melodia del corno inglese (divenuta molto popolare negli Stati Uniti); melodia ripresa alla fine del movimento, dopo un episodio dal carattere pastorale, introdotto da un disegno staccato dell’oboe, caratterizzato da un’amplificazione del tessuto orchestrale, nella quale si innesta ancora il tema ciclico.

 

Jannette Thurber

Questo movimento e il successivo Scherzo sono entrambi ispirati a un poemetto di Henry Longfellow, intitolato Song of Hiawatha, che Jeannette Thurber aveva donato al compositore: il Largo evoca i funerali della sposa dell’eroe; lo Scherzo richiama una danza di pellirosse nella foresta, che si trasforma in una musica piena di vitalità, costruita con una parte principale divisa in due episodi distinti, un doppio Trio, e una coda che ripresenta più volte il tema ciclico. La Sinfonia si conclude con il trascinante finale, Allegro con fuoco, che ricapitola, come già detto, i temi della Sinfonia, riproponendo il tema principale con la forza di una apoteosi, e che appare, nel suo sviluppo multiforme e nella duttilissima orchestrazione, come una perfetta sintesi delle componenti boeme, mitteleuropee e americane del linguaggio sinfonico di Dvorak.