Mendelssohn Felix

Elias

Questa è, per me, la migliore interpretazione di Elias (Elia) di Mendelssohn in tedesco che abbia mai ascoltato.
Theo Adam è brillante come Elijah. Elly Ameling sfodera la sua inimitabile personalità argentata in diversi ruoli (La vedova, L’angelo, Il serafino), Peter Schreier (uno dei miei più amati tenori tedeschi degli ultimi cinquanta anni) interpreta ottimamente Obadia. Il superbo canto del Rundfunk Choir di Lipsia, registrato meravigliosamente, e il lussureggiante suono della Gewandhaus Orchestra di Lipsia sotto la direzione di Wolfgang Sawallisch, rendono questa performance irraggiungibile. Anche se questa registrazione risale al 1968, il suono in stereo è magnifico. Imperdibile!

Elijah Oratorio per soli coro e orchestra op. 70

Uno spazio di dieci anni separa il primo dal secondo oratorio di Mendelssohn, Paulus da Elias. La prima esecuzione di Paulus – al Festival del Basso Reno di Düsseldorf il 22 maggio 1836 – aveva interrotto il lungo silenzio dei
compositori della giovane generazione romantica in materia di oratorio. O meglio, era dal tempo dei due grandi oratori di Haydn – Die Schöpfung (La creazione del 1799) e Die Jahreszeiten (Le stagioni del 1801) – che non venivano scritti in terra tedesca altri lavori notevoli in questo ambito creativo. Al genere oratoriale erano stati sostanzialmente refrattari tanto Beethoven che Schubert (quest’ultimo attratto però irresistibilmente dal teatro d’opera), mentre esiti non memorabili avevano lasciato autori “minori” come Ludwig Spohr e Friedrich Schneider.
Non è un caso che il primo musicista convinto dell’opportunità di raccogliere e tenere alta la fiaccola lasciata cadere da Haydn fosse proprio Mendelssohn. Rientravano in questa precisa scelta sia motivi di ordine personale che formativo. Proveniente da una famiglia di origine ebraica ma convertita al culto riformato, Mendelssohn avvertì sempre in modo pressante il problema religioso; la storia di Paolo, ebreo folgorato sulla poi proverbiale via di Damasco e autentico diffusore del verbo cristiano, doveva apparire al musicista come la logica proiezione delle sue vicende familiari.
Ma era poi la formazione musicale di Mendelssohn a fargli guardare con attenzione a un modello che ai compositori della sua generazione poteva apparire obsoleto. Il viaggio in Italia del 1830-31 gli aveva rivelato la tradizione polifonica palestriniana e lo aveva portato alla creazione di alcune pagine corali – i Tre pezzi sacri op. 23, il salmo «Non nobis, Domine» e il corale tedesco «O Haupt voli Blut und Wunden», fra gli altri – che costituiscono altrettanti studi sulle possibilità di trattamento multiplo del gruppo corale.

Inoltre, come nessun altro compositore del suo tempo Mendelssohn conosceva e amava la musica del passato. Era stato Carl Friedrich Zelter – a partire dal 1819 suo insegnante di teoria e composizione, nonché compositore di qualche merito come liederista e consigliere musicale del vecchio Goethe, al quale volle presentare il piccolo Mendelssohn – a infondere in Felix il culto per Händel, per Bach, per la musica corale antica. Senonché quella che per Zelter era una passione antiquaria, da “erudito” di altra epoca, doveva trasformarsi per Mendelssohn nella scoperta della Storia con la maiuscola, cioè della possibile attualità della musica del passato, concetto che era sostanzialmente sconosciuto nelle epoche precedenti e che si traduceva anche nella rivendicazione di una identità musicale autenticamente “tedesca”.

Basterebbe considerare, a questo proposito, l’attività svolta da Mendelssohn come direttore d’orchestra e divulgatore dei grandi oratori barocchi. Del 1829 è la storica riesumazione della Passione secondo Matteo di Bach, a Berlino; vennero poi le partiture di Händel: Israel in Egypt e Alexander Feast nel 1833, The Messiah, Dettingen Te Deum e Judas Maccabeus nel 1834, e Solomon nel 1835.

Carl Friedrich Zelter

Logico che le influenze dei due grandi modelli venissero in qualche modo riplasmate all’interno di Paulus, sia in termini di scelte stilistiche – il trattamento di voci solistiche e coro, l’inserimento di corali luterani – sia in termini di impianto costruttivo – il carattere drammatico dell’oratorio, interrotto da pagine riflessive. Il successo travolgente arriso a Paulus in terra britannica, dopo l’esecuzione di Liverpool del 1837, doveva essere all’origine della decisione di dar vita a un nuovo oratorio. Per un aiuto nella stesura del libretto e nella stessa scelta del soggetto Mendelssohn si rivolse dapprima a Karl Klingemann – suo amico residente a Londra, nonché traduttore in inglese di Paulus e traduttore in tedesco degli oratori di Händel – proponendogli quale protagonista San Pietro, Elia o magari qualche altro personaggio biblico, che animasse un libretto non ancora ben definito nel suo carattere; «Puoi scriverne uno drammatico, come il Maccabeus, oppure epico, o anche una via di mezzo tra i due; per me va bene. Non devi chiedermi nulla». Tanta fiducia però non riuscì a scuotere le diffidenze di Klingemann; Mendelssohn aveva ricevuto in visione, inoltre, due inadeguati libretti sul soggetto di Elia da parte di due letterati inglesi (Charles Greville e l’ecclesiastico James Barry) e temeva dunque di essere preceduto da qualcun altro su quella strada.
Sfumata la prospettiva della collaborazione con Klingemann, Mendelssohn ripiegò sul suo consulente teologico, il pastore Julius Schubring, già collaboratore per Paulus; nel corso di un denso carteggio, nel 1838, si definì nella mente del compositore la traccia essenziale del nuovo oratorio. Eppure l’anno seguente questo tema sembrò venire meno negli interessi dell’autore, per tornarvi solamente nel 1845, quando il comitato organizzatore del Festival di Birmingham lo incaricò della direzione della successiva edizione della manifestazione nonché della stesura di un nuovo oratorio.
L’entusiastica accettazione provocò nuovi contatti con Schubring e la definizione del libretto, tradotto poi in inglese da William Bartholomew; la partitura venne terminata all’inizio dell’estate 1846.
La prima esecuzione avvenne il 26 agosto 1846 a Birmingham riscuotendo un pieno successo, grazie anche al contributo di un prezioso cast vocale (il celebre soprano Maria Caradori-Allan, il contralto Maria Hawes, il tenore Charles Lockley e il basso Joseph Staudigl). Trionfale fu l’accoglienza della prima esecuzione a Londra, il 16 aprile 1847, alla presenza della regina Vittoria e del principe Alberto. Quest’ultimo inviò all’autore un libretto con una eloquente dedica: «Al nobile artista che, circondato dal culto idolatra di un’arte menzognera, è arrivato, grazie al suo genio e al suo lavoro, a preservare l’arte veritiera, come un novello Elia, e a riabituare il nostro orecchio ai suoni puri di una sensibilità evocatrice e di una giusta armonia, fuori dal tumulto insano di un banalità musicale – al gran maestro che svolge davanti a noi tanto i più dolci mormorii quanto il maestoso scatenarsi degli elementi, secondo il sereno sviluppo del suo pensiero». Parole che lasciavano presagire la fortuna che sarebbe toccata all’oratorio in Gran Bretagna, dove ebbe diffusione assai

maggiore che nei paesi tedeschi. A quella esecuzione e a quella dedica Mendelssohn non doveva sopravvivere che poche settimane.
«In un soggetto come l’Elias mi pare che dovrebbe predominare l’elemento drammatico, come in tutti quelli tratti dal Vecchio Testamento – con l’eccezione forse di Mosè. I personaggi dovrebbero parlare e agire come esseri umani in carne ed ossa; per amor del Cielo, non facciamone un affresco musicale, ma un ritratto del mondo reale, come quelli che si trovano in ogni capitolo del Vecchio Testamento». Queste le parole inviate da Mendelssohn a Schubring nel 1838, nel corso dei lunghi scambi epistolari sul libretto dell’oratorio. Parole assai significative, che indicano chiaramente una precisa scelta dell’autore.
A differenza di Paulus manca in Elias il racconto in terza persona dell’azione ad opera di uno storico, mentre sono gli stessi personaggi a vivere lo sviluppo della vicenda. Mendelssohn, insomma, evita il modello delle Passioni di Bach – dove la figura dello storico è centrale – e si richiama compiutamente piuttosto agli oratori di Händel, dove lo storico è assente e l’azione è drammatizzata. D’altra parte non mancano nella partitura le pagine contemplative, in cui al racconto narrativo si sostituisce la riflessione su questo o quell’aspetto della vicenda. E proprio il taglio librettistico non perfettamente calibrato di questa alternanza fra momenti dinamici e pagine riflessive è all’origine delle critiche che più hanno colpito la partitura di Mendelssohn.
La quale partitura è di per sé ricchissima. Vi è intanto da parte dell’autore l’impegno ad ampliare le parti solistiche rispetto a Paulus, impegno che era la logica conseguenza della scelta della drammatizzazione. Abbiamo così i personaggi principali delineati all’interno di arie molto caratterizzate. La figura del profeta (basso) viene definita dall’aria “di furore” della prima parte (n. 17: «Ist nicht des Herrn Wort wie ein Feuer») e da quella dolente della seconda parte (n. 26: «Es ist genug!») come dai numerosi recitativi incisivi e scultorei. Si affiancano le caratterizzazioni di Obadia (n. 4), della Vedova (n. 8), della Regina (n. 23), dell’Angelo (n. 31). Ma largo spazio agli interventi solistici è anche quello delle arie “contemplative”, non personalizzate.
Soprattutto però Elias è una partitura corale, in cui Mendelssohn riplasma tutti i suoi studi sulla coralità antica, per dar nuova vita alle tecniche del passato. Gli intrecci trasparenti della polifonia palestriniana si affacciano ripetutamente. Abbiamo poi la tecnica del Doppio Quartetto (n. 7) del Terzetto a cappella (n. 28) e il ricorso al Corale (vedi il n. 5 e il n. 15), che imprime una caratterizzazione protestante all’oratorio. Non mancano ovviamente le elaborazioni fugate di stampo bachiano.

Wolfang Sawallisch

Tutte queste tecniche, peraltro, non sono nettamente separate, ma piuttosto rielaborate in uno stile personalissimo, che risente nella sua logica duttile, variata e insieme spettacolare, dell’esempio di Händel. Senza questo illustre modello sarebbe impensabile, ad esempio, una delle pagine più efficaci di tutta la partitura, l’invocazione senza risposta al falso dio Baal da parte del popolo idolatra (n. 13). La struttura narrativa dell’oratorio può essere divisa in quattro blocchi per ciascuna delle due parti, con l’aggiunta di un preambolo e di una conclusione. La prima parte si apre in modo inconsueto, con un recitativo del profeta che lancia la sua maledizione; il tema ritmico di questo episodio si innesta profondamente nell’ouverture che segue. Dopo questo preambolo abbiamo il primo blocco di numeri musicali, nn. 1-5: con la successione di Coro-Duetto-Recitativo-Aria-Coro troviamo la disperazione del popolo ebreo per la situazione di siccità. Il secondo blocco, nn. 6-9, costituisce il miracolo della guarigione del figlio della Vedova, ad opera della implorazione del profeta. I nn. 10-16 sono dedicati invece al miracolo del fuoco, con la sconfitta dei falsi profeti di Baal e il trionfo di Elia e del vero Dio. I nn. 17-20 illustrano il miracolo della pioggia e chiudono la prima parte con il poderoso inno di ringraziamento.
La seconda parte si apre con un episodio di riflessione (nn. 21-22); esortano alla fede l’aria del soprano e il seguente coro. Il secondo blocco della seconda parte è il più massiccio (nn. 23-31) e illustra la collera della regina Gezabele e la fuga di Elia verso il deserto, la sua disperazione per non essere riuscito nella sua missione, poi la convocazione sul monte (mirabile e celebre è l’aria n. 31 del soprano «Sei stille dem Herrn»). Segue, con i nn. 32-38, la manifestazione di Dio al profeta e la sua ascensione al cielo, episodio che trova i suoi culmini nei plastici cori nn. 35 e 38. I nn. 39-41 sono un’ulteriore meditazione, condotta attraverso l’aria del tenore e il coro che sfocia nel quartetto di voci sole. Chiude la partitura il coro n. 42, pagina di grande dinamismo e spettacolarità, ascoltando la quale non è difficile identificare lo stesso ritmo (o meglio una variante) della “maledizione” che aveva aperto l’intero oratorio e innervato l’ouverture. Un prezioso indizio che la partitura di Elias si nutre anche di una ferrea logica interna, di corrispondenze sotterranee; causa non ultima dell’ammirazione di cui ha goduto questo estremo monumentale capolavoro della creatività di Mendelssohn.