Mozart Wolfgang Amadeus
Grosse Messe in do minore

Nell’ottobre del 1990 (sei mesi prima della morte), nel suo appartamento di New York, Leonard Bernstein affronta il progetto che ha evitato per la maggior parte della sua carriera professionale: la Messa in do minore di Mozart. Non era la paura del pezzo a trattenerlo, quanto piuttosto il rispetto verso l’autore. In questa versione del 2006 della Deutsche Grammophon, registrata dal vivo nella Basilica barocca di Waldsassen, il Maestro offre una direzione che è un capolavoro della sua straordinaria carriera. Accompagnato da 150 cantanti e musicisti, dal coro e dall’orchestra della Radio bavarese, registrato nella splendida basilica rococò, acusticamente bilanciata e maestosamente impressionante, Bernstein porta questo concerto alla vita, o meglio, guida questo ensemble che anima uno dei pezzi d’epoca migliori scritti nello stile reverenziale della Messa. Il soprano Arleen Auger, il mezzosoprano Frederica von Stade, il tenore Frank Lopardo e il basso Cornelius Hauptmann offrono prestazioni incredibili per garbo e disinvoltura. Questa registrazione video rimarca perfettamente lo stato d’animo creato dalla musica e inestricabilmente intrecciato con l’ambiente. Il DVD contiene anche molte peculiarità accattivanti: un monologo in tedesco di Bernstein che descrive con gran partecipazione il pezzo e, tra gli altri piccoli omaggi, un tributo a Carlos Keibler in varie sale da concerto, con esibizioni in pubblico con orchestre diverse. Altamente raccomandato.
Messa in do minore per soli, coro e orchestra, K1 427 (K6 417a)
Il sacro e il profano nella musica religiosa è una questione infruttuosamente dibattuta dal tempo — si può dire — dei «travestimenti spirituali» del Rinascimento fino a tutto il Novecento: convenzioni, stilèmi, talvolta fumose sovrastrutture rendevano difficile l’analisi e una netta suddivisione fra i due generi. (La «Messa da Requiem» di Verdi, cui fu a lungo negato un significato sacro, costituisce forse l’esempio emblematico per eccellenza).
Nel caso di un compositore come Mozart che il problema religioso visse in stretta consonanza con la propria sfera estetica imbevuta — come dimostrano le sue opere — di «giusnaturalistica fiducia nell’età dell’oro» e, soprattutto nelle ultime composizioni, in perfetta sintonia con i dettami della massoneria, la ricerca non può prescindere dall’«iter» biografico e dalle dichiarazioni dello stesso musicista.
Nato in ambiente cattolico qual era quello salisburghese e da una famiglia sinceramente osservante, Mozart che pur da giovane dimostrava una genuina religiosità, veniva nondimeno rimproverato dal padre per una certa inadempienza ai suoi doveri di fedele. «Papà non deve preoccuparsi — scriveva il 25 ottobre 1777 — perché Dio mi è sempre dinanzi agli occhi». Ma Leopold niente affatto tranquillizzato: «Posso chiedere se Wolfgang non ha dimenticato la confessione? Iddio deve sempre venire prima di tutto!» (15 dicembre 1777). In realtà — e forse non si trattò solo di un prosaico calcolo economico — Mozart cercò una sistemazione come maestro di cappella in diverse sedi: presso Karl Theodor del Palatinato, Karl Eugen duca del Württemberg o la corte arcivescovile di Salisburgo. Va forse accettata la tesi di Srbik che sottolinea un solido rapporto di fedeltà all’idea del Sacro Romano Impero della Nazione Tedesca, che si stava ormai dissolvendo.
La religiosità di Wolfgang piuttosto che nei termini di una rigida ortodossia deve essere inquadrata alla luce di un latente fatalismo, il quale giustificherà poi l’adesione al movimento dei massoni. Troviamo una significativa testimonianza di questo atteggiamento in occasione della morte della madre che lo aveva accompagnato a Parigi per un giro di concerti, e, proprio nella città francese, si era spenta. Il fedele amico di casa Mozart, l’abate Bullinger, viene messo al corrente della tragica scomparsa: «Vi devo dire che mia Madre, la mia cara Madre non è più! Iddio l’ha chiamata a sé. Voleva averla, è chiaro. E perciò mi rimetto alla Sua volontà».
Mozart scrisse musica religiosa durante tutta la sua vita: a 10 anni componeva un breve «Kyrie» (K. 33) e nel periodo della sua malattia lavorava alacremente al «Requiem» rimasto poi incompiuto. Escludendo le opere strumentali (Sonate da chiesa destinate al servizio liturgico) e quelle legate per il loro spirito alla massoneria, la produzione comprende 18 Messe, il Requiem, 8 Litanie o Vespri, 34 lavori di vario genere (Kyrie, Offertori, Antifone, Mottetti, Inni). Iniziò studiando sulle musiche sacre di Karl Georg Reutter, su quelle venate di tenero lirismo di Johann Adolf Hasse e tenendo presente i compositori di Salisburgo: Ernst Eberlin, Anton C. Adlgasser, il padre Leopold e Michael Haydn. L’influenza italiana nelle composizioni di questo primo periodo è palese soprattutto nella giustapposizione vocale di soli-tutti che rimanda ai modelli veneti oppure nelle arie di «coloratura» mutuate dall’opera napoletana. Successivamente (1769-1772) l’avvincente onda wertheriana e dello Sturm und Drang lo influenzò in modo determinante sospingendolo verso un’intensità espressiva più profonda e matura. Il «Crucifixus» della «Messa solenne in do minore» (K. 139), per esempio, composto nel solco della tradizione strumentale di Salisburgo, produce, con il cupo impasto timbrico di trombe con sordina e tromboni, un’immagine di impressionante dolore.
Nel 1772, di ritorno dal terzo viaggio in Italia, nel suo ruolo di Konzertmeister alla corte dell’arcivescovo Colloredo, dovette adattarsi alla volontà del sovrano. Più brevi e concisi i lavori sacri vedono ora l’alternarsi frequente di contrappunto e omofonia, mentre il fugato e l’imitazione vengono trattati con grande perfezione formale. (Val la pena di ricordare un’ipotesi azzardata da Geiringer che rileva un’intrusione dell’arcivescovo perfino nella scelta della tonalità: i due terzi delle Messe scritte per Salisburgo sono in do maggiore, la tonalità prediletta dal suo signore).
Il rapporto fra i due — com’è noto — fu molto burrascoso anche se la critica mette oggi in dubbio che la colpa sia tutta da imputarsi al burbero e accentratore arcivescovo. Fatto sta che Mozart il 9 maggio 1781 preparò i suoi bagagli e parti da Salisburgo alla volta di Vienna: «La mia pazienza è stata messa a dura prova per molto tempo — scrive al padre — e alla fine è scoppiata. Non ho più l’enorme sventura di essere al servizio salisburghese. Oggi è stato il giorno più felice della mia vita». A Vienna andò ad abitare nella casa della sua futura suocera e durante il periodo di fidanzamento con Costanza Weber viene comunemente registrato un maggior entusiasmo devozionale: i due futuri sposi andavano in Chiesa ascoltando insieme la messa e confessandosi. Ma Greither con pungente ironia sottolinea l’abilità di Cecilia Weber «nell’accoppiare l’attrazione erotica alla bigotteria» e un tentativo di Wolfgang di «tranquillizzare almeno dal punto di vista religioso quel rigido cattolico» di suo padre «che non voleva saperne dei Weber».
La «Messa in do minore» K. 427 nacque da un voto che il compositore aveva formulato nel caso in cui il suo fidanzamento con Costanza avesse avuto esito favorevole e avesse potuto condurla in sposa a Salisburgo. «La partitura della prima metà della Messa che ancora aspetta di essere completata è la miglior prova della promessa da me fatta» (lettera al padre, 4 gennaio 1783). Ma l’opera non fu in realtà mai terminata. Nell’agosto 1783 «Kyrie», «Gloria», «Sanctus» e «Benedictus» erano ultimati; del «Credo» invece solo la prima parte e l’abbozzo dell’«Et incarnatus est»; mancante l’intero «Agnus Dei».
Il lavoro fu eseguito a Salisburgo il 26 ottobre nella cappella di S. Pietro: Costanza cantò alcuni a solo per soprano mentre Mozart avrebbe completato le parti lacunose della Messa con brani desunti da altre sue opere. (Nel 1901 Aloys Schmitt si impegnò — anche se percorrendo una strada filologicamente poco attendibile — a offrire una versione completa utilizzando alcuni pezzi tratti da lavori sacri dello stesso Mozart). Il compositore dal canto suo fece confluire nel 1785 parti della Messa nella cantata «Davidde penitente» (K. 469) commissionatagli dalla Società dei musicisti per un concerto di beneficienza; la traduzione in italiano era stata affidata a quell’abile librettista e uomo di teatro che era Lorenzo da Ponte.
Per la sua complessa e monumentale architettura quest’opera è uno degli esempi più convincenti di polifonia barocca che si rifà nella sua struttura portante ai modelli di Bach e di Haendel, da Mozart studiati dietro consiglio di Van Swieten. Il «Gratias» a cinque voci in la minore, contraddistinto dal maestoso rilievo del coro è suddiviso in sette parti indipendenti; la quarta sezione («Qui tollis») nella tonalità di sol minore, è costruita su un doppio coro a otto voci che suggerisce a Hermann Abert l’immagine di una «immensa processione di penitenti congiunti in profonda disperazione intorno alla Croce e poi dileguantisi in lontananza».
Leonard Bernstein

Il fiorito virtuosismo vocale degli a solo del soprano nel «Kyrie», nel «Laudamus te» e nell’aria dell’«Et incarnatus est», oppure il delicato duetto per due soprani del «Domine Deus», sono invece il frutto di quel prodigioso processo di assimilazione-rimeditazione del patrimonio linguistico italiano. Il ricco organico – dal quale sono esclusi i soli clarinetti, non reperibili a Salisburgo – evidenzia al massimo tutte le potenzialità timbriche con un interessante uso di trombe e tromboni («Kyrie» e «Sanctus») trattati in modo indipendente dal consueto sostegno vocale.
Effetti di grandioso rilievo drammatico sono riscontrabili in ogni pagina della partitura; segnaliamo in particolare il concertato dei due soprani nel «Gratias», l’incisiva alternanza piano-forte nel «Qui tollis», la fuga del «Cum sancto spiritu» che chiude con le quattro voci all’unisono, la doppia fuga del «Sanctus» da cui Mozart soppresse il contralto per creare un maggior contrasto attraverso la netta giustapposizione del registro acuto e basso.
Otto Jahn, uno dei più noti storiografi mozartiani dell’Ottocento, che pur non dimostra di apprezzare granché questa Messa, riserva all’«Et incarnatus est» una particolare attenzione. In effetti questa parte, che si apre dopo il cromatismo discendente del «Credo» — secondo un tipico ideogramma pre-barocco e barocco, alle parole «Descendit de coelis» — merita un posto a sé. Inaccettata dai puristi per il suo carattere profano questa «scena pastorale» è una vera e propria «aria» per soprano con archi, flauto, oboe e fagotto obbligati. Il cullante ritmo di 6/8, la finezza espressiva delle ventidue battute di cadenza nella sottile trama di abbellimenti, sembrano quasi la conferma del sentire religioso di Mozart. Nient’affatto ascetico o dogmatico, questo è permeato, invece, di un amore ingenuo per l’umanità, vista nella prospettiva massonica come depositaria di un messaggio di fratellanza e solidarietà. Molti studiosi riscontrano a questo proposito come nel pensiero di Mozart non vi sìa alcuna dicotomia fra massoneria e religione ma anzi una simbiotica e perfetta fusione: nell’anno della sua morte il compositore scriveva il massonico «Flauto magico» e metteva contemporaneamente in musica il testo liturgico del «Requiem». «Il Cattolicesimo e la Frammassoneria erano due sfere concentriche; ma la massoneria — l’anelito alla purificazione morale, il lavoro per il bene dell’umanità, l’intima conoscenza della morte — era la più alta, la più ampia, fra le due » (A. Einstein).
Testo delle parti vocali
KYRIE
CORO E SOPRANO
Kyrie eleison
Christe eleison
Kyrie eleison
GLORIA
CORO
Gloria in excelsis Deo, et in terra pax hominibus bonae voluntatis.
SOPRANO
Laudamus te, benedicimus te, adoramus te, glorificamus te.
CORO
Gratias agimus tibi propter magnam gloriam tuam.
SOPRANO I e II
Domine Deus, Rex coelestis, Pater Omnipotens,
Domine Fili Unigenite, Jesu Christe, Altissime,
Domine Deus, Agnus Dei, Filius Patris.
CORO
Qui tollis peccata mundi, miserere nobis, suscipe deprecationem nostram.
Qui sedes ad dexteram Patris, miserere nobis.
SOPRANO I e II, TENORE
Quoniam Tu solus Sanctus, Tu solus Dominus, Tu solus Altissimus.
CORO
Jesu Christe. Cum Sancto Spiritu in gloria Dei Patris. Amen.
CREDO (Symbolum Nicenum)
CORO
Credo in unum Deum, Patrem Omnipotentem, factorem coeli et terrae, visibilium omnium et invisibilium. Et in unum Dominum, Jesum Christum, Filium Dei, Unigenitum, et ex Patre natum ante omnia saecula, Deum de Deo, lumen de lumine, Deum verum de Deo vero, genitum, non factum consubstantialem Patri, per quem omnia facta sunt, qui propter nos homines et propter nostram salutem descendit de coelis.
SOPRANO
Et incarnatus est de spiritu sancto ex Maria Virgine, et homo factus est.
SANCTUS
CORO
Sanctus, Sanctus, Sanctus Dominus Deus, Sabaoth. Pieni sunt coeli et terra gloria ejus.
Osanna in excelsis.
BENEDICTUS
SOPRANO I e II, TENORE, BASSO
Benedictus qui venit in nomine Domini.
CORO
Osanna in excelsis.