Stravinsky Igor

Composizioni varie

Vi sono tre balletti russi all’interno.
I costumi sono fantastici.
Tutto è molto curato.
Ho inseguito questo dvd molto a lungo dopo averlo visto per la prima volta in SKY Classic. Immagini in HD ben definite e musica piena e corposa. Altamente consigliato.

L’oiseau de feu

La genesi dell’Uccello di fuoco venne narrata con le seguenti parole da Stravinskij nelle proprie memorie: «Già avevo cominciato a pensare all’argomento dell’Uccello di fuoco durante il mio viaggio di ritorno a San Pietroburgo da Ustilug nell’autunno del 1909, prima ancora d’aver ricevuto l’incarico ufficiale di Diaghilev: questi infatti mi telefonò in dicembre, chiedendomi di dar inizio subito alla composizione. Ed io gli risposi che già da un mese ne stavo scrivendo la musica. Di per sé, come soggetto, l’Uccello di fuoco non mi attirava granché. E questa ne era la ragione: al pari di tutte le vicende legate ad una destinazione ballettistica, v’era la necessità di un genere di musica descrittiva che allora non avevo intenzione di scrivere perché non ero tanto sicuro dei miei mezzi creativi e non mi ritenevo in grado di criticare apertamente le teorie estetiche dei miei collaboratori.
Nondimeno, decisi di farmi valere, e con arroganza, pur avendo soltanto ventisette anni. In realtà tutta la sottile arte diplomatica di Diaghilev risolse ogni problema il giorno che venne a trovarmi insieme al coreografo Fokine, al ballerino Nijinskij, agli scenografi Bakst e Benois; e quando tutti assieme, tutti e cinque, proclamarono formalmente la loro fiducia nel mio talento, allora, solo allora credetti in me stesso e accettai. Ero lusingato, naturalmente, dalla promessa dell’esecuzione della mia musica a Parigi e quando vi giunsi, provenendo da Ustilug, verso la fine del successivo mese di maggio, ero davvero in condizioni assai eccitate di spirito. Gli entusiasmi però furono, di colpo, raggelati perché alle prove mi sembrava che dappertutto, sulla scena e pure nella musica, vi fosse impresso il marchio della scritta “prodotto russo d’esportazione”. D’estrema crudezza erano infatti le scene mimiche ma, vista la sicurezza di Fokine, non sollevai alcuna obiezione».
Continua Stravinskij: «La première fu scintillante e ne conservo un ricordo memorabile. Ero nel palco di Diaghilev e, alla fine del balletto, fui chiamato diverse volte alla ribalta. Stavo ancora inchinandomi agli applausi del pubblico quando mi cadde in testa il sipario: Diaghilev corse ad aiutarmi e accanto a lui notai un signore dalla bella fronte spaziosa che mi rivolse la parola, presentandosi. Il suo nome era Claude Debussy. Ebbe espressioni gentili per la mia musica e m’invitò a cenare con lui. L’uccello di fuoco è, dal punto di vista stilistico, legato a quell’epoca, e segnato da un particolare rigore che è più evidente che in altre musiche legate a motivi d’ascendenza folclorica, ma, ora, non vi ritrovo una particolare originalità. Riconosco che la composizione presentava tutte le condizioni utili a riscuotere successo: successo che fu

immancabile e non solo a Parigi. Quando mi orientai a trame una Suite per l’esecuzione concertistica, l’Uccello di fuoco figurava sui cartelloni dell’intera Europa e, salvo che in Russia, non è mai uscito dal normale repertorio orchestrale. Ho da aggiungere, in proposito, ancora un ricordo: l’Uccello di fuoco ha svolto un ruolo fondamentale nella mia carriera di direttore d’orchestra, perché proprio a questa musica è legato il mio debutto come direttore: fu nel 1915, a Parigi, quando condussi l’esecuzione dell’intero balletto per una manifestazione a beneficio della Croce Rossa. Da allora sino al 1962, data di questo mio ricordo, l’ho diretto non meno di un migliaio di volte. Ma anche se l’avessi diretto diecimila volte, tale esperienza non sarebbe riuscita a cancellare dalla mia memoria il ricordo del terrore che soffersi quella prima sera del debutto nel lontano 1915».
Presentato all’Opera di Parigi il 25 giugno 1910 per la stagione dei Ballets Russes di Diaghilev, l’Uccello di fuoco ha significato la sintesi di tutte le esperienze compositive degli anni precedenti di Stravinskij, orientato ormai alla realizzazione di un nuovo stile russo, nel superamento dell’Impressionismo. Il linguaggio musicale di questa partitura, infatti, è ricco di smaglianti colori ed intriso delle seduzioni armoniche del retaggio di Rimskij-Korsakov e Skrjabin, nonché di qualche reminiscenza debussiana, pur se appare inequivocabilmente stravinskijano, specie nel terrificante dinamismo ritmico delle sue pagine più celebri.
Di per sé il balletto trasse l’ispirazione da una antica fiaba russa trasferita in sede coreografica da Bakst e da Fokine, formulatore quest’ultimo di una nuova teoria sul balletto che era antitetica alla ripetizione di passi già esistenti, nonché contraria alla funzione della musica come mero accompagnamento della danza.
La trama, di carattere magico, con tanto di apoteosi nuziale alla fine, simboleggia la vittoria delle forze del bene su quelle del male. Il principe Ivan cattura un uccello di fuoco ma gli ridona la libertà. Mentre Ivan si intrattiene con le tredici principesse prigioniere del mostro Katschej, questi giunge con il suo seguito e si appresta a trasformare ogni creatura in pietra con le sue arti magiche. Interviene però l’uccello che addormenta tutti gli astanti con un incantesimo al suono della dolce Berceuse, dando la possibilità ad Ivan di spezzare lo scrigno che contiene l’anima del mostro. Il regno dei malvagi viene distrutto ed Ivan è il nuovo re della terra liberata, accanto alla più bella delle principesse.
La partitura presenta due aspetti marcatamente differenti in riferimento ai mondi contrapposti dei due gruppi di personaggi, cioè al mondo sovrannaturale delle fiabe (che comprende Katschej, i suoi sudditi e l’uccello di fuoco) e al regno umano (di cui fan parte le tredici principesse prigioniere e il giovane Iva’n). Per la sfera dell’umano Stravinskij adotta un linguaggio essenzialmente

diatonico che si ricollega all’influenza del Gruppo dei Cinque e in parte anche a Cajkovskij, mentre il mondo magico del sovrannaturale viene a fondarsi su procedimenti cromatici di carattere orientale, nello scoperto influsso di certi episodi del Gallo d’oro di Rimskij-Korsakov. In tutta la musica dell’Uccello di fuoco si notano smaglianti raffinatezze di scrittura e straordinarie invenzioni strumentali, oltre ad una vibrante incidenza del ritmo e a una scoperta asprezza di timbri puri. I temi sono brevi e sintetici, il tessuto musicale appare sovente squadrato a blocchi, nella netta contrapposizione dei diversi piani tonali.
In questa partitura, inoltre, Stravinskij ebbe a sviluppare ulteriormente le esperienze maturate in lavori precedenti, come lo Scherzo fantastico e i Fuochi d’artifcio, in specie a proposito della struttura asimmetrica di certi accordi armonici e del peculiare impiego della politonalità. Attento essenzialmente ai contrasti tra gli effetti scenici, Stravinskij non si preoccupò minimamente che un medesimo linguaggio servisse sia per un elemento positivo come l’uccello di fuoco, sia per un elemento negativo come Katschej, pur se a quest’ultimo furono riservati gli intervalli più dissonanti.
Nella stesura originaria del balletto il compositore russo impiegò un vastissimo organico orchestrale, rimasto pressoché inalterato nella prima Suite sinfonica realizzata nel 1911 che faceva seguire all’Introduzione, le Suppliche dell’uccello di fuoco, il Gioco delle principesse con il pomo d’oro, la Ronda delle principesse, la Danza infernale dei sudditi di Katschej. Nel 1912 Stravinskij estrapolò la Berceuse che venne inserita nella seconda Suite concertistica, realizzata a Morges nel 1919 per un organico strumentale più limitato. Nel 1945, infine, venne curata da Stravinskij una terza Suite che, per ragioni ballettistiche, provvide a recuperare tra il primo e il secondo episodio della seconda Suite tre pantomime, un pas-de-deux e lo Scherzo-Danza delle principesse. In tale ultima veste l’Uccello di fuoco venne adottato da Balanchine nel 1950 per uno spettacolo del New York City Ballet.
La partitura integrale del balletto ha una peculiare sua fisionomia e si caratterizza per vari specifici parametri, armonici non meno che timbrici e ritmici. Un carattere, quindi, innovatore non soltanto nell’ambito della tecnica di “montaggio” del balletto che ne marcò lo stacco dalle azioni coreografiche del repertorio ottocentesco russo, essenzialmente descrittive, con il rischio dell’accademismo. Tra i momenti di più significativo impatto musicale vi è senz’altro l’Introduzione con il suo aspetto grave e solenne, quasi regolato sul respiro umano che, nel suo incedere cadenzato, riesce perfettamente ad introdurre l’ascoltatore in un mondo misterioso e fantastico.

Igor Stravinskj

Il clima malinconico e quasi opprimente del movimento viene all’improvviso interrotto dai furiosi accenti degli archi che sottolineano il risveglio dell’uccello che, in tutto il suo splendore, fa la sua apparizione nel giardino fatato, sottolineato da raffinati effetti coloristici.
Altrettanto memorabile risulta la Ronda delle principesse, nella preziosa tinteggiatura di un bozzetto orientale. Ma, all’apparire dei sudditi del re Katschej e alla sua Danza, la tensione del discorso musicale si incupisce ed il ritmo si fa ossessivo, nel rintronare dei fiati e negli improvvisi staccati degli archi. In modo simmetrico il quadro successivo della Berceuse ha di nuovo un andamento lento ed un carattere soporifero, con gli archi che suonano in lontananza e i lievi accenni dei legni e degli ottoni, mentre il Finale, pagina fiammeggiante, veloce e cadenzata dai timpani, appare improntato al più inequivoco tradizionalismo del tardo Ottocento ed è prossimo, sotto molti aspetti, alle conclusioni di tante opere sinfoniche e liriche del repertorio russo, tra presente e passato.

Petruska, burlesque in quattro scene

Dopo il successo dell’Uccello di fuoco, Stravinskij cominciò a progettare la Sagra della primavera. Quasi per distrarsi, nell’agosto del 1910, ebbe l’idea di scrivere un pezzo da concerto per pianoforte e orchestra: “Componendo questa musica – scrive nelle Cronache della mia vita – avevo nettamente la visione di un burattino scatenato che, con le sue diaboliche cascate di arpeggi, esaspera la pazienza dell’orchestra, la quale a sua volta gli replica con minacciose fanfare. Ne segue una terribile zuffa che, giunta al suo parossismo, si conclude con l’accasciarsi doloroso e lamentevole del povero burattino”. Poi trovò il personaggio che si adattava perfettamente con questo soggetto: “Un giorno ebbi un sussulto di gioia. Petruska!
L’eterno infelice eroe di tutte le fiere, di tutti i paesi! Era questo che volevo, avevo trovato il mio titolo”. A Sergej Diaghilev, che in autunno gli fece visita sul lago di Ginevra, Stravinskij fece ascoltare il nuovo pezzo. Diaghilev ne fu entusiasta e convinse il compositore a trasformare quella musica in un nuovo balletto. Petruska è un burattino del teatro popolare russo, presente negli antichi spettacoli di cantastorie (gli skomorochi), un personaggio spavaldo e manesco, dal linguaggio schietto, che però nella trama elaborata insieme da Stravinskij e Diaghilev assunse caratteri insieme più intimistici e più tragici, con molti punti di contatto con Pierrot e anche con Pinocchio, come un “essere” inanimato che prova il desiderio impossibile di una vita umana.
La vicenda è ambientata a Pietroburgo, nella piazza dell’Ammiragliato, durante le feste della settimana grassa: in mezzo a una folla chiassosa e variopinta, un Ciarlatano presenta al pubblico i suoi burattini animati, Petruska, la Ballerina e il Moro. Il più sensibile è Petruska che si innamora della Ballerina. Lei però gli preferisce l’ottuso ma prestante Moro, che alla fine uccide Petruska in mezzo alla confusione del Carnevale.
Il compositore portò a termine la partitura nel maggio del 1911, e il balletto andò in scena il 13 giugno 1911 al Théâtre du Châtelet di Parigi, con le innovative coreografie di Michel Fokine, con due interpreti prestigiosi come Nijinski e la Karsavina, con le coloratissime scenografie di Alexandre Benois, e con Pierre Monteux sul podio. L’intersecarsi dei personaggi sulla piazza con quelli del teatrino, la dimensione del meta teatro, l’atmosfera festosa che acutizza il dramma personale, costituirono meccanismi molto efficaci per dare sostanza drammatica alla vicenda. L’idea delle emozioni imprigionate nel corpo di una marionetta suggerì anche a Stravinskij l’uso di materiali musicali di tipo meccanico, ripetitivi, il gusto per sonorità aspre, dissonanti, percussive, facendolo approdare ad un linguaggio musicale assai più moderno e antiromantico rispetto a quello dell’Uccello di fuoco, e lontano da ogni suggestione esotica e favolistica.

Stravinskij usa un grande organico orchestrale (con legni e ottoni per quattro) ma giocando sulla contrapposizione di blocchi sonori, prediligendo timbri stridenti, cercando di imitare il suono delle orchestrine popolari o degli organetti di Barberia. Abbandona anche la sintassi tonale, insieme con la logica dell’elaborazione tematica e dello sviluppo, per creare un struttura formale di tipo paratattico, elimina le cadenze (creando così un effetto di continua sospensione), sostituisce le funzioni tonali con strutture armoniche polarizzate. Anche se usa materiali più diatonici che cromatici, il continuo gioco di incastri e sovrapposizioni crea risultati politonali, e complessi reticoli sonori, accentuati anche dai continui cambiamenti di metro, che anticipano la ritmica del Sacre.
Nella partitura di Petruska Stravinskij intesse insieme una grande varietà di motivi, stilisticamente assai diversi, e sempre atomizzati, privi di ramificazioni, montati come in un collage: la musica da fiera, popolaresca e sfrenata, echi di canzonette e di marce, valzer e polke, musiche da cabaret e temi bandistici, in uno straniante caleidoscopio sonoro. L’animazione e la confusione della piazza pervade tutto il primo quadro (La fiera della settimana grassa): nell’introduzione (Vivace) Stravinskij stratifica tremoli di corni e clarinetti con motivi e formule ripetitive, creando una fascia sonora densa, brulicante, carica di tensione, che sfocia in una grande fanfara di tutta l’orchestra (su un tema liturgico della Pasqua, conosciuto come il canto dei Volocebniki), che accompagna il passaggio di un gruppo di ubriachi.
Nel caos della festa affiora anche l’imitazione di un organetto, affidata a due clarinetti all’ottava, e la citazione di una sguaiata chanson francese (“Elle avait une jambe de bois”), intonata delicatamente da flauti e clarinetti (poi anche dalla tromba) e punteggiata dal triangolo (poi anche dal Glockenspiel). Un poderoso rullo di tamburi attrae l’attenzione della folla sul teatrino del Ciarlatano (Lento): i disegni cupi di fagotti, controfagotto e contrabbassi, gli arpeggi dell’arpa e della celesta, gli armonici degli archi e una cadenza incantatoria del flauto disegnano un’atmosfera improvvisamente misteriosa, che introduce la Danza Russa (Allegro giusto) – il flauto del Ciarlatano anima i tre burattini che cominciano a danzare di fronte al pubblico stupefatto -, pagina brillante, vigorosa, omoritmica, basata su sequenze parallele di accordi martellanti, nella quale comincia ad emergere il ruolo concertante del pianoforte.
Questo strumento acquista un vero e proprio rilievo solistico nel secondo quadro (nella stanza di Petruska) che corrisponde anche all’iniziale partitura del Konzertstück. Dopo un prolungato rullo di tamburo, troviamo Petruska solo coi suoi pensieri. Tutto il suo carattere è concentrato in una breve cellula affidata a due arpeggi sovrapposti dei clarinetti, un insieme dissonante, che si insinua spesso nella trama della partitura, come una specie di Leitmotiv. Poi emergono gli altri stati d’animo di Petruska: la rabbia, che esplode in infortissimo di tutta l’orchestra (Furioso), dominato da un arpeggio discendente di tromba e cornetta (con sordina); i pensieri amorosi rivolti alla Ballerina, resi da un melodizzare dolce e malinconico del flauto (Andantino); la sua goffa gioia che esplode all’ingresso della Ballerina (Allegro) e che si interrompe dopo 13 battute con l’uscita di scena della stessa.
Il tamburo introduce anche il terzo quadro che descrive invece il Moro nella sua stanza, attraverso una rapida alternanza di gesti violenti e pesanti (Feroce stringendo), squarci sinistri, break improvvisi, una danza dal sapore orientale, affidata a clarinetto e clarinetto basso, accompagnati da piatti e grancassa, un motivo inquietante del corno inglese. Assai più serena la danza della Ballerina (Allegro), una spigliata melodia della cornetta a pistoni accompagnata dal tamburo. Poi insieme la Ballerina e il Moro avviano un valzer, basato su due temi distinti: il primo (Lento cantabile), in mi bemolle maggiore, intonato da cornetta e flauto (“cantabile sentimentalmente”) accompagnati dagli arpeggi del fagotto; il secondo (Allegretto), in si maggiore, affidato ai flauti e alle arpe. Anche qui Stravinskij crea un sofisticato gioco combinatorio, sovrapponendo questi due temi con quelli del Moro, mescolando quindi insieme motivi ternari e binari, e ottenendo in questo modo una dimensione sonora di estrema tensione con materiali in sé piuttosto neutri. Il pas de deux della Ballerina e del Moro è bruscamente interrotto dall’arrivo di Petruska, che piomba nella stanza per opporsi alla tresca, con il suo tema “gridato” dalla tromba. Ma il Moro lo affronta con la scimitarra e lo insegue, su un movimento rapido e staccato di archi e legni, che si conclude con violenti accordi sincopati.
Il tamburo introduce ancora l’ultimo quadro (La fiera dell’ultimo giorno di Carnevale) che riporta al brulichio orchestrale della festa, trasformato qui nel suono fluttuante di una grande fisarmonica. Su questo sfondo orchestrale Stravinskij innesta una serie di danze, molto colorite, basate su temi tratti da varie raccolte di melodie popolari russe: la danza agile e leggera delle Balie (Allegretto) sul motivo tradizionale “Lungo la via Piterskai’a”, introdotta dall’oboe, e seguita da uno spensierato refrain; la danza dell’orso (Sostenuto] caratterizzata da un incedere lento e pesante e da un motivo dissonante dei clarinetti; la scenetta delle zingare e del venditore ambulante, su un tema staccato e saltellante, scandito con forza dagli archi; la Danza dei cocchieri (Moderato), basata su un tema molto ritmato e accentato, prima suddiviso tra trombe, archi, tromboni e corni, poi ripreso da tutta l’orchestra, anche in forma di canone, in un crescendo martellante; l’ingresso dei saltimbanchi e delle maschere (Agitato) su una trama veloce volatile di archi e legni nella quale si innesta un pesante, drammatico motivo degli ottoni. Questo crescendo sfocia alla fine in un assolo della tromba: è Petruska che irrompe sulla scena, inseguito dal Moro che lo raggiunge e lo colpisce a morte, fra l’orrore dei presenti ai quali il Ciarlatano spiega che si tratta solo di una marionetta, mostrando la testa di legno e il corpo pieno di segatura.
Resta alla fine una trama uniforme dei corni, sulla quale ritorna il tema della tromba (con sordina), livido e agghiacciante: questa volta è il fantasma di Petruska che compare sul tetto del teatrino, facendo sberleffi. Mentre il sipario si chiude su un enigmatico motivo di quattro note pizzicate degli archi (Molto più lento).

Sheherazade, suite sinfonica, op 35 da le “Mille e una notte”

Rimskij-Korsakov compose Shéhérazade nel 1888, ispirandosi ad alcuni episodi delle Mille e una notte. Nella premessa alla partitura l’autore così espose il canovaccio della vicenda: “Il sultano Shahriar, convinto della falsità e della infedeltà femminili, giura di uccidere tutte le proprie mogli dopo la prima notte di nozze. Ma Shéhérazade riesce a salvarsi intrattenendo il suo signore con affascinanti novelle, raccontate una dopo l’altra per mille e una notte. Il sultano, spinto dalla curiosità, rimanda di giorno in giorno l’esecuzione della moglie e finisce in ultimo per rinunziare definitivamente al suo proposito sanguinario”.
Delle favolose storie raccontate nelle Mille e una notte, l’antica raccolta araba divenuta famosa in Occidente ai primi del Settecento, Rimskij si serve liberamente, limitandosi ad assegnare un titolo a ciascuna delle quattro parti di cui è composta la suite sinfonica, in modo da mettere in moto la fantasia dell’ascoltatore. “Tutto ciò che desidero”, aggiunge il compositore, “è che l’ascoltatore apprezzi la mia opera come musica sinfonica e porti con sé l’impressione che essa è senza dubbio una meravigliosa favola orientale piena di numerose e differenti immagini fiabesche. Tutte le storie che vi si narrano sono evocate da un’unica persona, Shéhérazade, che intrattiene con esse il suo austero marito”.

Rimskv-Korsakov

Musicalmente Shéhérazade e il sultano si identificano con due temi che sono presentati subito all’inizio (Largo e maestoso) e che ritornano più volte con funzione di veri e propri motivi conduttori: soprattutto quello di Shéhérazade, che ha fra l’altro il compito di legare un episodio all’altro. Se il sultano è raffigurato da pesanti e minacciosi accordi di trombone, tuba, corni, legni e archi, il canto di Shéhérazade gli si contrappone con una struggente melodia affidata al violino solo e contrappuntata dall’arpa, dapprima tremante e incerta, poi sempre più sicura di sé e ariosamente distesa. Ed è con la forza di questa melodia che Shéhérazade a poco a poco avrà la meglio sulla terribile severità del sultano.
“Il mare e la nave di Sinbad” è il titolo della prima parte (Allegro non troppo). L’ondeggiare delle onde, descritto dalla musica in senso più poetico che naturalistico, domina tutta questa scena; il suo movimento si fa sempre più violento contro la nave del povero Sinbad, fino a sfociare in una rabbiosa tempesta interrotta dall’improvviso ritorno del sereno, che riporta la calma nell’infinito azzurro del cielo. Proprio questa conclusione trasfigurata, tranquillamente ripresa dalla melodia del violino, ci dà la certezza che la giovane donna è riuscita almeno per un giorno a rinviare il suo destino di morte.
La seconda sera Shéhérazade racconta le burle amene del principe Kalender, divertendo il sultano con una serie di mirabolanti avventure ora patetiche, ora gioiose (Lento, Andantino). Qui Rimskij dà prova del suo virtuosismo inanellando una serie di episodi solistici affidati a strumenti diversi dell’orchestra. Spontanee canzoncine popolari, danze selvagge e fulminei squarci di sontuose feste barbariche si susseguono fra fanfare di ottoni e svolazzi di violini, raggiungendo il culmine di visioni incandescenti che estasiano il sultano, la cui curiosità è ora definitivamente conquistata. Shéhérazade è pronta ad osare un nuovo mezzo di seduzione, a rischiare tutto. La terza sera racconta la storia del giovane principe e della giovane principessa (Andantino quasi allegretto). Non sappiamo chi fossero questi principi della favola, ma certo si amavano e nei loro incontri si abbandonavano alla passione e alla tenerezza, celebrando la loro felicità con grazia. Le meravigliose melodie dei violini ci ridanno la voce suadente del principe, mentre la principessa risponde cantando una canzone accompagnata dal clarinetto: nelle variazioni che seguono, il dialogo si fa sempre più incalzante.
A sentir parlare di amore in questi termini il sultano interrompe bruscamente il racconto; ma poi si placa, commosso dall’ardente immedesimazione di Shéhérazade. E le concede un nuovo rinvio. La quarta sera Shéhérazade descrive una festa popolare a Bagdad e, dopo un cambiamento di scena improvviso, un orribile naufragio (“Il mare – La nave s’infrange contro uno scoglio”: Allegro molto, Lento, Vivo, Allegro non troppo maestoso). Prodigi di incantatori di serpenti, magici motivi di fachiri, esotici richiami, la folla curiosa e pettegola per le strade di Bagdad, all’inizio; poi, dopo che il sultano ha fatto nuovamente udire la sua voce sinistra e Shéhérazade si è rifugiata nella sempre più celestiale melodia del violino solo, ecco la descrizione della tempesta, ricca di colori e ritmi e di tutti gli effetti più strabilianti di cui l’orchestra di Rimskij- Korsakov era capace. All’inabissarsi della nave sventrata dallo scoglio s’insinua una stupefatta attesa: Shéhérazade ripete per l’ennesima volta la sua melodia, contrappuntata dai legni e poi dall’intera orchestra, quasi a voler chiedere conto del suo destino. E finalmente il sultano parla con accenti gentili e amorevoli, vinto dal coraggio e dall’immaginazione della donna. La dolcezza del suo motivo trionfante, si sovrappone alle armonie del sultano, ora non più severe e minacciose, in una raggiunta, completa unione.